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29.04.2020
Piergiorgio Strata

Qualche osservazione a proposito dell’intervista al Prof. Pietrini

Fascicolo 4/2020

Riceviamo e pubblichiamo volentieri le seguenti riflessioni formulate dal Prof. Piergiorgio Strata, neuroscienziato italiano e professore emerito di Neurofisiologia presso l’Università degli Studi di Torino, in merito a quanto espresso dal collega Prof. Pietro Pietrini nell’intervista pubblicata su questa rivista il 22 aprile 2020, dal titolo “La sfida della prova neuroscientifica. Intervista a Pietro Pietrini“.

 


Pietro Pietrini è senza dubbio uno dei più prestigiosi esperti di psichiatria forense, spesso chiamato a valutare la capacità di intendere e di volere di un imputato reo di aver commesso un crimine.

Come egli afferma in una risposta dell’intervista recentemente pubblicata su questa Rivista, la domanda centrale, per ciò che riguarda l’impatto delle scienze del cervello sul processo penale, è la seguente: «quali conclusioni si possono trarre sul rapporto tra neuroscienze e responsabilità penale?».

Pietrini fa notare che «se in tribunale ci sono quattro periti ci saranno almeno cinque opinioni diverse [verificare se ancora attuale!]». E aggiunge che «non possiamo, ad oggi, misurare la capacità di intendere e volere, il libero arbitrio o la capacità di autodeterminazione, come misuriamo la glicemia». Questo crea anche molte difficoltà per chi deve giudicare e amministrare la giustizia.

Ai fini di decidere sull’imputabilità, nei tribunali è diffusa la distinzione fra mens rea e actus reo (vale a dire tra elemento soggettivo ed elemento oggettivo del reato) e si chiede ai periti di stabilire se vi sono alterazioni della prima per giustificare una riduzione della pena in relazione a quanto commesso (actus reo).

Ritengo che questa varietà di opinioni, che appare nello scritto di Pietrini, sia dovuta alla mancanza di una chiara convergenza di interpretazioni su ciò che si intende per “libero arbitrio”. La capacità di intendere e volere viene quasi sempre definita come qualcosa che appartiene alla mens, che è definita rea in quanto componente responsabile, o causativa, dell’actus. L’essenza del problema sta dunque nello stabilire con chiarezza che relazione esiste fra attività mentale e circuiti neuronali.

Ritengo che questa varietà di opinioni, che appare nello scritto di Pietrini, sia dovuta alla mancanza di una chiara convergenza di interpretazioni su ciò che si intende per “libero arbitrio”

Siamo ormai lontani dall’ottocentesco vitalismo secondo il quale i fenomeni della vita non possono essere ridotti alla fisica e alla chimica perché controllati da entità immateriali. Dobbiamo dunque accettare che la mente sia una proprietà emergente della materia come lo è la forza di gravità di una sfera alla quale impone una precisa traiettoria.

Anche se la colpa è del cervello ciò non significa che si debba abolire la pena che rimane come necessaria regola di governo di una società, pena che deve essere di tipo riparativo e non retributivo come ho discusso in un mio recente articolo[1].

Siamo ormai lontani dall’ottocentesco vitalismo secondo il quale i fenomeni della vita non possono essere ridotti alla fisica e alla chimica perché controllati da entità immateriali. Dobbiamo dunque accettare che la mente sia una proprietà emergente della materia come lo è la forza di gravità di una sfera alla quale impone una precisa traiettoria

Cashmore scrive che «la realtà è che non solo non abbiamo più libero arbitrio di una mosca o di un batterio, in realtà non abbiamo più libero arbitrio di una ciotola di zucchero. Le leggi della natura sono uniformi in tutto ciò che esiste, e queste leggi non si adattano al concetto di libero arbitrio. Alcuni sosterranno che quando avremo compreso meglio i dettagli meccanicistici che sono alla base della coscienza, allora noi saremo in grado di capire il libero arbitrio. Qualunque siano le complessità dei dettagli molecolari della coscienza è inverosimile che essi coinvolgano qualsiasi nuova legge fisica che infrangerebbe le leggi causali della natura in modo non-stocastico»[2].

Pietrini queste cose le sa benissimo. Tuttavia finché nei tribunali viene accettato che la dimostrazione di un certo danno al cervello comporta una riduzione di pena non vi sono altre scelte che adeguarsi, se non altro per aiutare i fortunati nei quale la causa del loro comportamento anomalo può essere dimostrata. Se poi qualche assassino ha la sfortuna di non presentare un’anomalia organica visibile, evidenziabile e (quindi) dimostrabile, ce ne faremo una ragione.

Ritengo che per cambiare l’attuale cultura del sistema penale sia necessario intensificare il colloquio fra Neuroscienze e Legge.

Ritengo che per cambiare l’attuale cultura del sistema penale sia necessario intensificare il colloquio fra Neuroscienze e Legge

 

 

[1] P. Strata, Neuroscienza e diritto: un colloquio necessario, 2 aprile 2019.

[2] A.R. Cashmore, The Lucretian swerve: The biological basis of human behavior and the criminal justice system, in Proceedings of the National Academy of Sciences USA, 107, 2010, pp. 4499 ss.

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