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21.10.2020
Luca Santa Maria

Asbestos/2: judges who lack courage and an absurd right to be forgotten

Issue 10/2020

Article originally published in Il Fatto Quotidiano, September 10, 2020, in the weekly column “Giustizia di Fatto“, by Antonio Massari.

We thank the Editor of Il Fatto Quotidiano for their kind permission.

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Amianto: da quanto tempo sappiamo?

Questa strage era prevedibile ed evitabile? Dipende.

La prevedibilità dipende dai tempi della evoluzione delle conoscenze scientifiche sulla dannosità e poi sulla cancerogenicità dell’amianto e l’evitabilità dalla volontà di porvi rimedio.

Mi limito all’essenziale anche perché l’essenziale basta ed avanza.

1. Le prime conoscenze sulla pericolosità dell’amianto e la sua idoneità a provocare l’asbestosi risalgono ai primi del ‘900, più precisamente nel 1906 quando, in occasione del Primo Congresso Internazionale per le malattie del lavoro, che si tenne a Milano, venne evidenziato il rischio morbigeno legato all’esposizione a polveri e fibre di amianto. Nel corso di tale Congresso, il prof. Luigi Scarpa esponeva i risultati degli studi che lo stesso aveva condotto tra il 1892 e il 1906. In particolare, il prof. Scarpa riferiva di aver trovato registrati al Policlinico Generale di Torino, dal 1894 al 1906, trenta operai addetti all’industria dell’amianto (sia in miniera, sia nella fabbricazione dei tessuti), ventinove dei quali erano deceduti – in meno di un anno dalla prima visita – per tubercolosi polmonare con andamento “galoppante”, e osservava come ciò giustifichi “per lo meno come grido di allarme il sospetto che l’industria dell’amianto costituisca, forse a motivo dello speciale pulviscolo cui dà luogo, una delle occupazioni più perniciose…e che si impongano speciali misure di igiene e speciali condizioni di lavoro per gli operai che si adibiscono”.

Questa strage era prevedibile ed evitabile? Dipende

2. Le prime evidenze sulla correlazione tra esposizione ad amianto e tumore polmonare iniziano negli anni ’40, ma la comunità scientifica non riconobbe l’amianto come fattore di rischio per il tumore al polmone fino alla pubblicazione dello studio di Richard Doll del 1955 (“Mortality from Lung Cancer in Asbestos Workers”, in Br. J. Ind. Med., 12: 81-86);

3. Il primo studio che individua il mesotelioma tra le possibili patologie associate all’esposizione ad amianto è stato pubblicato da H.W. Wedler nel 1943 (Wedler HW, Asbestose and lungenkrebs, in Deutsche Med Wochenschr, 1943; 69:575-576), anche se l’associazione fra l’esposizione ad amianto e il mesotelioma viene riconosciuta dalla comunità scientifica solo a seguito dell’articolo di Wagner del 1960 (Wagner J.C. e al., Diffuse pleural mesothelioma and asbestos exposure in the north western Cape Province, in Brit. J. Ind. Med, 1960, 17:260-271) nel quale viene descritta una proliferazione di casi di mesotelioma fra i minatori che estraevano la crocidolite in Sud Africa.

4. L’evento internazionale nel quale è stato definitivamente e ufficialmente affermato il potere cancerogeno dell’amianto per il polmone (carcinoma) e per la pleura (mesotelioma) è il rapporto del gruppo di lavoro su Asbesto e Cancro sponsorizzato dall’Unione Internazionale Contro il Cancro, presentato nel 1964 alla conferenza della “New York Academy of Sciences” e pubblicato nel 1965.

5. Con riguardo all’Italia, l’evento di riferimento è identificato nel “Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina del Lavoro” del 1971, durante il quale Rubino e altri colleghi esposero i primi casi di mesotelioma pleurico verificatisi in provincia di Alessandria, nell’indotto del cemento – amianto.

6. 1973: l’International Agency for Research on Cancer (IARC) dell’Organizzazione mondiale della sanità, nella sua prima monografia sull’amianto (IARC, Some inorganic and organometallic compounds, in IARC Monogr Eval Carcinog Risk Chem Man, 1973, vol. 2, 1–181), dà evidenza dell’associazione tra cancro polmonare e mesotelioma pleurico con l’amianto, concludendo per la “sufficiente evidenza” della sua cancerogenicità per i lavoratori addetti alla manipolazione di materiali in amianto.

7. 1977 la IARC classifica l’amianto tra gli agenti cancerogeni per l’uomo.

Il data base completo delle evidenze scientifiche sull’amianto dopo il 1977 è fatto di decine di migliaia di articoli pubblicati su riviste scientifiche internazionali e nazionali.

Giudici coraggiosi (pochi) e giudici meno coraggiosi (quasi tutti).

La storia d’Italia è costellata di più o meno oscure stragi di cui tanto parliamo. La strage dell’amianto di cui, invece, non parliamo proprio, di quelle è assai più grave.

I PM e i Giudici si sono avveduti però solo da una ventina d’anni che il diritto penale poteva essere usato per punire le morti connesse all’uso dell’amianto.

Eppure Giudici coraggiosi avevano già celebrato processi, addirittura nel lontano 1906.

Agli inizi del ‘900, in Piemonte, si celebrò uno storico processo nell’ambito del quale venne appurato come l’esposizione a polvere di amianto fosse mortale.

La storia d’Italia è costellata di più o meno oscure stragi di cui tanto parliamo. La strage dell’amianto di cui, invece, non parliamo proprio, di quelle è assai più grave

In sintesi, nella primavera del 1906 le società Bender & Martiny e The British Asbestos Company Limited, operanti nell’area di Nole Canavese, programmarono una ristrutturazione aziendale che non incontrò il favore degli operai e delle operaie. Ne conseguirono scioperi e in quell’occasione il giornale Il progresso del Canavese e delle valli di Stura, edito a Ciriè, si schierò dalla parte dei lavoratori pubblicando diversi articoli in cui si faceva, anche riferimento alla pericolosità delle polveri di amianto per la salute e alla riduzione delle aspettative di vita degli esposti.

In particolare, il giornale aveva affermato che “l’industria dell’amianto fa annualmente un numero incredibile di vittime e che dalle tavole necrologiche di quel comune appare che con triste frequenza operai e operaie dell’amianto muoiono per tisi, anemia o per gastroenterite”.

The British Asbestos Company Limited chiese al giornale una rettifica circa la pericolosità delle fibre; il giornale pubblicò il 23 giugno 1906 la richiesta di rettifica, a cui non venne dato alcun seguito, commentando, anzi, che “anche a costo di suscitare gli sdegni della Compagnia abbiamo sempre affermato che le domande operaie erano giuste dato il genere di industria che annualmente fa un numero incredibile di vittime”.

The British Asbestos Company Limited reagì citando in giudizio l’Avv. Pich e il Sig. Mariani, rispettivamente direttore e gerente del giornale, presso il tribunale di Torino per chiederne la condanna al risarcimento dei presunti danni sostenendo che non fosse vero quanto da loro dichiarato e cioè che “l’industria dell’amianto fa annualmente un numero incredibile di vittime e… dalle tavole necrologiche di quel Comune appare che con triste frequenza operai ed operaie dell’amianto muoiono per tisi, anemia, o gastro-enterite”.

In sede di giudizio fu dimostrato, attraverso un certificato del Sindaco di Nole Canavese, un elevata mortalità nel periodo 1902-1906 fra gli operai dell’amianto ivi residenti. Inoltre, dai certificati medici emerse che gli operai di Nole Canavese addetti alla lavorazione dell’amianto erano soggetti a bronco-polmoniti dovute alle “aspirazioni di quel minerale” poiché “è cosa da tempo risaputa che gli operai dove si lavora l’amianto si ammalano più facilmente, in confronto degli operai che frequentano altri stabilimenti […] di malattie croniche delle vie respiratorie e in conseguenza di enfisema, di tubercolosi polmonare”.

Il Tribunale di Torino, seconda Sezione Civile, con Sentenza del 22.10.1906 n. cron. 8688 (n. rep. 9914 – Archivio di Stato di Torino), rigettò la domanda risarcitoria assolvendo Pich e Mariani poiché “purtroppo disse il vero il Progresso del Canavese circa alla mortalità degli operai […]; lo scrittore ha detto il vero, sette morti per tisi e uno per bronco-polmonite sui soli operai dell’amianto, contro 17 degli operai di tutte le altre industrie, che formano quasi il quintuplo dei primi, è pur un qualche cosa che il giornalista poteva dire impressionante […]. E l’avvocato Pich fu esatto anche quando scrisse che la mortalità in genere è maggiore fra li operai dell’amianto che fra quelli delle altre industrie; i certificati prodotti lo provano in modo veramente irrefutabile”.

La Corte di Appello di Torino, cui ricorse The British Asbestos Company Limited, confermò la sentenza di primo grado evidenziando come anche il consulente di parte attrice non aveva potuto smentire le affermazioni di Pich e Mariani.

In particolare, nella sentenza si afferma che: “Posciaché la circostanza che la lavorazione di qualsiasi materia che sprigioni delle polveri […] aspirate dall’operaio, sia dannosa alla salute, potendo produrre con facilità dei malanni, è cognizione pratica a tutti comune, come è cognizione facilmente apprezzabile da ogni persona dotata di elementare cultura, che l’aspirazione del pulviscolo di materie minerali silicee come quelle dell’amianto […] può essere maggiormente nociva, in quanto le microscopiche molecole volatizzate siano aghiformi od almeno filiformi ma di certa durezza e così pungenti e meglio proclivi a produrre delle lesioni ed alterazioni sulle delicatissime membrane mucose dell’apparato respiratorio”.

Pertanto, indipendentemente dal fatto che allora le conoscenze non consentivano ancora di diagnosticare il mesotelioma e il tumore polmonare, già da inizio novecento, almeno in Piemonte, era noto anche alla cronaca che le lavorazioni che espongono a fibre di amianto aerodisperse sono nocive per la salute, anzi mortali.

Il lungo diritto all’oblio concesso dal diritto penale agli stragisti dell’amianto.

E poi? Poi più nulla o quasi, per molto tempo.

PM e Giudici, dopo gli eroici inizi, sonnecchiarono per molti decenni mentre intorno a loro uomini e donne morivano muoiono e moriranno di amianto.

Essi stessi, però, nelle requisitorie e nelle sentenze, scrivono che per la scienza il fatto che l’amianto causasse il mesotelioma della pleura – e forse altri tipi di tumore – era certo (o quasi) almeno dagli anni ’60 del secolo passato e, come abbiamo visto, la conoscenza scientifica risale anche più indietro nel tempo.

C’è anche di più.

Nei processi penali l’accusa esibisce documenti che provano che in riunioni, nemmeno segrete, ministri di governi sapevano dagli anni ’70 quel che c’era da sapere*, e d’accordo con le associazioni delle imprese, si presero la responsabilità politica di giudicare che rimuovere l’amianto, che era ubiquitario, cioè era ovunque, non solo nelle fabbriche, ma anche nelle chiese, nelle scuole, nei treni, nelle abitazioni di tutti noi, sarebbe stato troppo oneroso per un’economia capitalista ancora nella fase dell’accumulazione, cioè del “peccato originale di rapina”.

Il 17 novembre 1978 presso l’Assocemento di Roma si è svolta una riunione in cui si discute di una proposta di legge per la regolamentazione dell’amianto. Dal resoconto della riunione emerge che il ministro del Lavoro e della previdenza sociale – Vincenzo Scotti – avrebbe affidato al Direttore generale del Ministero del Lavoro insieme al Direttore Generale del ministero dell’Industria e Sanità il compito di valutare la proposta di legge di concerto con i rappresentanti di categoria.

Emerge altresì che il ministero del Lavoro aveva richiesto all’ENPI (Ente Nazionale Previdenza Infortuni) di definire i limiti delle polveri di amianto, che il dott. Annibaldi rappresentante di Confindustria sarebbe intervenuto sull’ENPI al fine di rallentare l’emissione di tali limiti e che l’ENPI – dott. Maggio – “ha aderito a tale sollecitazione”; circostanza che, si legge nel resoconto della riunione, sarebbe stata confermata dall’allora ministro della Sanità Tina Anselmi.

L’invito a rallentare l’emissione di regole a salvaguardia del lavoro contro i mortali pericoli dell’amianto fu raccolto, come diremo tra un attimo, fino al 1992.

PM e Giudici, dopo gli eroici inizi, sonnecchiarono per molti decenni mentre intorno a loro uomini e donne morivano muoiono e moriranno di amianto

Le conoscenze relative alla pericolosità dell’amianto in capo all’ENPI, peraltro, possono essere fatte risalire già al 1939 e al 1940. In quegli anni, infatti, il prof. Vigliani, direttore dell’ENPI, pubblica i risultati di un’indagine condotta nel territorio torinese, descrivendo il primo caso di asbestosi in Italia relativo a un lavoratore di una manifattura di amianto (VIGLIANI E.C., Asbestosi polmonare, in Rass Med Indust X-6, 1-12, 1939) e uno studio (Studio sull’asbestosi nelle manifatture d’amianto, ENPI Ed., collana n. 34 delle pubblicazioni degli Istituti di Medicina Industriale dell’ENPI, 1940) nel quale viene esaminato il rischio per i lavoratori dell’industria estrattiva e manifatturiera di amianto in Piemonte.

L’ ENPI, prima denominato ANPI (Associazione Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni) è ente di diritto pubblico a partire dal 1926 e svolge la propria attività sotto l’egida del ministero dell’Economia nazionale.

Il suo statuto è stato, infine, approvato su proposta del ministero per il Lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il ministero per il Tesoro, per l’industria e il commercio, nel 1952 con il d.p.r. 1512. L’ENPI, persona giuridica pubblica, è sottoposto alla vigilanza del ministero del Lavoro.

Qualcuno ancor oggi dice che in Italia spira da sempre un vento anti impresa…

Il rischio di strage accettato. Il diritto penale silenziato.

Sebbene non esplicitamente detto, la conclusione allora condivisa – almeno da chi era stato invitato a quel tavolo per decidere (gli altri, quelli che morivano e che sarebbero morti per amianto non c’erano) – dovette essere che il prezzo in vite umane da pagare poteva essere accettabile a fronte di un costo economico per rimuovere l’amianto ed impedire quelle morti che allora parve inaccettabile.

Il rischio di strage, anzi la certezza della strage, era serenamente accettata anche dal diritto penale e dal suo apparato di cosiddetta giustizia, per decenni corrivo agli interessi della grande industria ma anche della piccola e media.

La legge dello Stato proibì qualunque uso dell’amianto solo nel 1992 (Legge 27 marzo 1992, n. 257) e con non poche ambiguità poiché quella legge non vietava l’uso di quanto già prodotto e non imponeva la bonifica dei siti inquinati.

Probabilmente è dietro questo ombrello – la mancata previsione di puntuali obblighi di bonifica – che si è protetta la Cassazione quando – pur senza mai dirlo espressamente – ha dichiarato la morte per prescrizione del processo Eternit, negando – con tortuosi e quasi inintelligibili giri di parole – che il disastro ambientale potesse essere commesso anche per omissione, cioè a causa dell’omessa bonifica.

Se si fosse voluto si sarebbero potute trovare anche altre norme giuridiche nel sistema idonee a fondare l’obbligo giuridico di non uccidere mediante omissione della condotta riparatoria alla propria precedente condotta che avrebbe impedito la morte di molti esseri umani.

Forse si poteva cominciare coi X Comandamenti.

La strage silenziosa dell’amianto

I PM e i Giudici hanno comunque cominciato a intravvedere delitti di omicidio colposo nelle morti da amianto, ancora più tardi della legge dello Stato, un decennio dopo, più o meno, ma di quei delitti hanno chiamato a rispondere solo l’impresa capitalista, senza il coraggio di andare fino in fondo e incriminare chi, nello Stato, aveva agevolato l’impresa nella strage.

Pavidità comprensibile: avrebbero dovuto incriminare PM e Giudici che avevano accettato di farsi silenziare per quasi tutto il XX secolo e di non esercitare mai o quasi mai quell’azione penale che pure, Costituzione alla mano, sarebbe stato loro dovere esercitare.

Parliamo come detto di decine o centinaia di migliaia e migliaia di morti.

Perché chi governava allora l’apparato punitivo del diritto penale non vedeva nella legge il diritto penale che poi, nel XXI secolo, hanno visto, o meglio cominciato a intravvedere, in modo ambiguo e altamente inadeguato, come diremo tra un momento?

Se il vecchio cane da guardia, il diritto penale, è stato quindi sguinzagliato con decenni di ritardo, approssimativamente solo nel nuovo millennio, dobbiamo capire perché.

È accaduto lo stesso nel celeberrimo e importantissimo processo al Petrolchimico di Porto Marghera, in cui il PM portò a processo il gotha della chimica italiana, pubblica e privata, per farli condannare per le morti di lavoratori causate dall’esposizione a cloruro di vinile monomero (che è la materia prima del PVC, cioè della plastica). Il PM scoprì nel processo che la cancerogenesi del CVM era nota in tutto il mondo dal 1973, che dopo quella data le industrie del mondo provvidero ad abbattere i livelli di esposizione a CVM, così come scoprì che molti lavoratori erano stati esposti ad essa anche prima del 1973, e alcuni erano morti di una rarissima forma di tumore certamente ascrivibile all’esposizione, ma scoprì anche come tutti che nessun PM prima di lui aveva mai esercitato l’azione penale per contestare gli eventuali omicidi colposi commessi prima del 1973. Il processo, nato vent’anni dopo rispetto a quando sarebbe dovuto nascere, finì in una bolla di sapone. Era scontato. Quel PM, però, ha l’imperituro merito storico di aver inventato il disastro ambientale, usando per la prima volta l’art. 434 del codice penale. A suo modo fu una trovata di genio, sebbene anche in quel processo alla fine i Giudici non trovarono alcun fatto che potesse meritare quell’etichetta, se non la memoria di fatti accaduti forse decenni prima quando il diritto penale c’era e non c’era. Anche questo era scontato. La stessa bolla di sapone che esploderà – è già esplosa! – nei processi d’amianto.

 

(2/Continua)

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* Il riferimento corre al documento prodotto dalla Pubblica Accusa nell’ambito dei procedimenti penali Eternit e Olivetti, nel quale sono sintetizzati gli esiti di una riunione, tenutasi il 17 novembre 1978 presso l’Assocemento di Roma, in cui si discuteva della proposta di legge per la regolamentazione sull’amianto. Secondo quanto riportato nel documento, i rappresentanti dell’ENPI (Ente Nazionale Prevenzione Infortuni) avrebbero aderito a una serie di “sollecitazioni” provenienti dall’allora presidente di Confindustria allo scopo di “rallentare” l’emanazione dei valori limite per le polveri, incluso l’amianto. Nel documento si precisa, altresì, che tale fatto sarebbe stato confermato anche dall’allora ministro della Sanità, l’on. Tina Anselmi.

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