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18.11.2020
Luca Santa Maria

Asbestos/4 – Science is continuously manipulated and distorted by the parties: in the courtroom the “scientific law” does not exist

Issue 11/2020

Article originally published in Il Fatto Quotidiano, September 24, 2020, in the weekly column “Giustizia di Fatto“, by Antonio Massari.

We thank the Editor of Il Fatto Quotidiano for their kind permission.

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Problema risolto?

Il mio maestro Federico Stella ha risolto il problema della causa, mescolando in una sintesi ardita, causa e non causa, cioè necessità causale e mere correlazioni sempre probabili e mai necessarie, che, per definizione, non sono ancora cause anche perché forse le cause non ci sono? No, purtroppo. Il problema vero doveva apparire evidente.

È evidente che il modello di spiegazione – che sia quello deduttivo o quello induttivo – col quale Stella integra la tradizionale teoria della condicio sine qua non, a sua volta presuppone che il Giudice abbia già trovato la legge scientifica – l’explanans – dentro cui sussumere il fatto – l’explanandum –, ma come si trovi questa legge scientifica né l’uno né l’altro modello lo dicono, né pretendono di dirlo.

Siccome il problema vero e difficile è sempre trovare e riconoscere la legge scientifica in cui sussumere il fatto, il diritto penale dovrebbe riflettere su se stesso con un certo imbarazzo visto che ancora crede che i modelli di spiegazione di cui Stella ha parlato abbiano capacità euristiche che ovviamente non hanno.

Che cosa è poi legge scientifica, oggi? Come si cerca e dove si trova una legge scientifica? Il codice delle leggi scientifiche, universali e statistiche, ancora non c’è.

Ho sempre avuto il sospetto che il successo apparente della dottrina della causalità di Stella fosse anche dovuto al fatto che i penalisti riconoscevano nel lessico della spiegazione somiglianze e parentele col loro lessico.

Siccome il problema vero e difficile è sempre trovare e riconoscere la legge scientifica in cui sussumere il fatto, il diritto penale dovrebbe riflettere su se stesso con un certo imbarazzo visto che ancora crede che i modelli di spiegazione di cui Stella ha parlato abbiano capacità euristiche che ovviamente non hanno

Non si tratta, alla fine, di sussumere un fatto in una legge (sebbene scientifica e non giuridica)?

Stabilire che cosa è scienza e che cosa no, o che cosa è buona scienza e che cosa non lo è, però, è il più difficile problema della filosofia della scienza: nel lessico penalistico è comparso l’inglesismo junk science, per designare la scienza spazzatura che spesso si pratica nelle aule di giustizia. Problema immane. Per Popper il problema della demarcazione tra scienza buona e scienza non buona è con il problema dell’induzione il più grave problema della scienza (K.R. Popper, La scienza, congetture e confutazioni, in Id., Congetture e confutazioni, Il Mulino, 2009).

Non per i penalisti, però. Loro sanno, oppure non hanno bisogno di sapere. E invece per noi penalisti il problema è ancora più difficile perché – nell’arena del processo penale – la scienza è continuamente manipolata e distorta dalle parti che, per l’appunto, hanno sempre interesse ad una ricostruzione parziale, cioè faziosa, dell’evidenza scientifica disponibile.

Stabilire che cosa è scienza e che cosa no, o che cosa è buona scienza e che cosa non lo è, però, è il più difficile problema della filosofia della scienza […]. Per noi penalisti il problema è ancora più difficile perché – nell’arena del processo penale – la scienza è continuamente manipolata e distorta dalle parti

La legge c’era ma il diritto no, ovvero, se volete, il diritto c’era ma la giustizia no.

In un certo senso noi pratichiamo sempre junk science e non basta qualche popperismo di maniera, magari condito con un po’ di verificazionismo positivista, o relativismo kuhniano di cui è fatta qualche sentenza per sperare di aver addomesticato il problema. Problema anche questo, manco a dirlo, del tutto invisibile alla dogmatica formalistica e positivistica del mainstream dottrinale. Tra i tanti meriti scientifici di Stella v’è quello di aver riconosciuto la necessità di un dialogo epistemologico tra diritto penale (e processo penale) e scienza, promuovendo, come ponte tra i due mondi, la filosofia della scienza. Sembra che nessuno, però, abbia proseguito il suo cammino.

I modelli di spiegazione scientifica sono quindi entrati nel vocabolario penalistico – a partire dal 1990 con la celebre sentenza di Cassazione sul disastro della val di Stava – come forme vuote che qualsiasi giudice può riempire o svuotare con qualunque contenuto gli garbi.

Prima o dopo qualcuno se ne sarebbe accorto (in verità sono in molti a saperlo ma religiosamente tacciono di fronte alla confutazione del dogma di fede). Di fronte alla lampante inefficienza dei dispositivi concettuali disponibili per risolvere i problemi di causalità dell’amianto, siamo tornati laddove Stella aveva cominciato, cioè al punto di partenza.

Intanto la scienza e la filosofia della scienza progrediscono, o comunque cambiano.

Il Giudice non sa che cosa significhi legge scientifica anche perché la filosofia della scienza, e la stessa scienza, stanno ormai abbandonando questo concetto – che la scienza ha mutuato dal diritto nella sua veste positivistica – e lo vanno sostituendo con il concetto di meccanismo causale.

La parola legge scientifica è antiquata!

Il Giudice non sa che cosa significhi legge scientifica anche perché la filosofia della scienza, e la stessa scienza, stanno ormai abbandonando questo concetto […] e lo vanno sostituendo con il concetto di meccanismo causale

I dilemmi irresolubili della probabilità ovvero lo scoglio là dove la causalità si frantuma in mille pezzi.

Il problema, ovviamente, è la legge statistica o la probabilità che non è e non potrà mai essere una necessità. Nel 1975 Stella non si avvede della gravità della parte sommersa dell’iceberg del modello di spiegazione statistico induttiva, ma come gli si può far torto? La probabilità è un mondo incredibilmente complesso.

Già rispondere alla domanda “che cosa è la probabilità?” è difficile. Uno stato della realtà, un fatto oggettivo? O uno stato della mente, una credenza soggettiva intorno ad uno stato della realtà che, per le più varie ragioni, non è noto e non può essere conosciuto? O entrambi? La più efficace definizione di probabilità è che essa è il pensiero dell’incertezza, ma, com’è ovvio, questa definizione di probabilità piace poco al diritto penale cui piace poco in generale l’incertezza.

Incertezza di che cosa, però? Il mondo è ontologicamente probabilistico, e quindi non retto da leggi deterministiche universali, perché causale? O la nostra conoscenza del mondo è solo probabile, perché è sempre incerta e non abbiamo mai o quasi mai accesso alle leggi deterministiche universali che pure esistono?

La probabilità è solo la misura della nostra incertezza causale sul mondo deterministico o è la misura della incertezza del mondo casuale? (P. Garbolino, L’incertezza e la ragione, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, Vol. 11, No. 3, 1981, pp. 895 ss.).

La probabilità è solo la misura della nostra incertezza causale sul mondo deterministico o è la misura della incertezza del mondo casuale?

Nel 1975 Stella ne parla poco, tratta le cosiddette leggi della probabilità come le leggi universali, come se tra l’una e l’altra la sola differenza fosse che, nel primo caso A segue a B sempre in tutti i casi (noti), mentre nel secondo A segue a B solo qualche volta, cioè non sempre. Gli pare che, alla fine, non ci sia alcun particolare problema.

Stella, durante il processo al Petrolchimico di Marghera, scopre che il libro del 1975 non serve a risolvere i problemi che in quel processo sono trattati, e, allora, con un ultimo guizzo, cerca in Giustizia e Modernità – pubblicato nel 2001 – di convincere tutti che il giocattolo ormai si è rotto e che il diritto penale deve arrendersi di fronte alla probabilità (F. Stella, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Giuffrè, 2001). Cioè di fronte alla incertezza ineliminabile della scienza.

Stella capisce d’essere giunto vicino al punto di non ritorno, al punto cioè che il diritto penale da sempre vuol rimuovere. Stella diceva il vero, ma non diceva tutto il vero.

Il problema dell’incertezza, e quindi della probabilità, è un problema onnipervasivo e non tocca solo il difficile campo del rapporto tra diritto penale e scienza, come lui sperava di poter dimostrare.

Se Stella ha fallito, è stato solo perché non è arrivato con coerenza alle conclusioni cui poteva arrivare. A molti pare che con quell’ultimo libro, Stella voglia soprattutto difendere i suoi clienti, i potenti, in questo caso le grandi imprese che uccidono e inquinano, e, con questo pretesto, lo abbandonano, rimuovendo l’enormità del problema che invece Stella ha intuito. Intanto Stella scopre che lo stesso Hempel, il filosofo della scienza neo positivista cui si deve la paternità dei due modelli di spiegazione (C. G. Hempel, P. Oppenheim, Studies in the Logic of Explanation, in Philosophy of Science, vol. XV, n. 2, 1948, pp. 135 ss.), aveva dovuto ammettere di aver fatto un errore quando aveva preteso che la legge statistica per essere esplicativa dovesse esprimere un altissima frequenza assoluta tra eventi A e B.

L’errore era, non ci dev’essere paura a dirlo, un errore filosofico e nasceva dal fraintendimento della probabilità e del pensiero probabilistico in generale. Una prima panoramica sul problema generale della spiegazione scientifica e sul superamento del paradigma neopositivista si trova in Salmon (W.C. Salmon, Quarant’anni di spiegazione scientifica, Muzzio, 1992).

Il problema dell’incertezza, e quindi della probabilità, è un problema onnipervasivo e non tocca solo il difficile campo del rapporto tra diritto penale e scienza

L’errore di Hempel e di conseguenza l’errore di Stella.

La potenza esplicativa della legge statistica – almeno così Stella mostra di credere ancora nel 2001 – pare dipendere da quanto la legge statistica si avvicini alla legge universale, e se la seconda dice che A segue a B nel 100% dei casi, la prima deve poter dire che A segue a B in una percentuale di casi inferiore al 100% ma assai prossima al 100%. Era un errore, ma prima ancora, il problema è che, nel campo dei fatti umani dei processi penali, le leggi scientifiche probabili non hanno affatto la fisionomia della legge universale, perché tra le due c’è un abisso.

Hempel per primo aveva confuso frequenza assoluta e frequenza relativa. Non rileva in sé e per sé A segua a B nel 90% dei casi o no, ma rileva, se, quando non c’è A, quanto è probabile che B si verifichi comunque, e la potenza esplicativa della legge che correla A a B dipende dal fatto che esista, e quanto grande sia, la differenza che l’accadere di A fa nell’accadere di B.

Siamo già fuori dal confine della tradizione. Le probabilità di A e B di fare la differenza per C non sono mai, per definizione, logicamente equivalenti, ma all’opposto sono sempre logicamente diseguali.

Il coefficiente assoluto non conta granché.

Se, mancando A, B si verifica comunque nel 90% dei casi, il fatto che, accadendo A, B si verifichi nel 91% dei casi – cioè con una percentuale alta o altissima – può essere irrilevante, così come, invece, se, mancando A, B si verifica nell’0,1% dei casi, il fatto che, accadendo A, B si verifichi invece nel 5% dei casi – cioè con una percentuale bassa o bassissima – può diventare assai rilevante.

Nel primo caso la differenza è dell’1%, nel secondo del 50%. Non basta, però, aver misurato codesta differenza. Questo è solo l’inizio della strada, anzi da qui in poi la strada non c’è più ma c’è solo un sentiero bizzarro e difficile.

Il metro per misurare questa differenza è infatti a sua volta carico di incertezza. Quando – ad esempio con un’indagine epidemiologica, ma non solo! – ho intravisto l’aumento di frequenza di B in presenza di A, debbo sapere che mai potrò essere certo di non aver osservato qualcosa che è comunque accaduto per caso e che quindi non è attribuibile ad A. Quell’1% di differenza, ma anche un 10% di differenza, può essere tutto, niente o qualcosa.

La teoria della probabilità danza sempre assieme al caso, essa presuppone un mondo che funziona, non come un orologio, ma, all’opposto, come una lotteria o il lancio di un dado, e questo è davvero difficile da capire, perché vuol dire che, quando diciamo che A fa la differenza rispetto a B, perché ne aumenta la frequenza che abbiamo osservato, dobbiamo sempre ammettere la possibilità dell’errore, cioè di non aver visto giusto.

Il Giudice, però, non gioca a dadi col processo! Già, e allora a che gioco gioca?

Quando, lanciando un dado, accade che la faccia col numero 6 esca tre volte di fila, non per questo mi sentirò obbligato a concludere che il dado è truccato e che la faccia col 6 sia più probabile di tutte le altre.

La teoria della probabilità danza sempre assieme al caso, essa presuppone un mondo che funziona, non come un orologio, ma, all’opposto, come una lotteria o il lancio di un dado […]. Il Giudice, però, non gioca a dadi col processo! Già, e allora a che gioco gioca?

La statistica prova con la ragione a darci ragioni per credere che quel che abbiamo osservato non è compatibile col caso, perché troppo improbabile per essere appunto solo casuale. Ma non va molte oltre.

Dire che la differenza nella frequenza di Y in due gruppi di X probabilmente non è causale, perché è statisticamente significativa, non significa ancora dire che questa differenza sia causale. Un mondo, un vero abisso, separa le due asserzioni.

La non accettazione dell’ipotesi nulla – così si chiama uno dei test per sancire la significatività statistica di una correlazione tra X e Y – è sempre e solo una congettura, più o meno credibile, e la credibilità della congettura è sempre soggettiva, anche se non necessariamente irrazionale.

Io credo che l’evidenza che ho basti, tu, invece, no. Tutti e due possiamo essere soggetti razionali se il nostro ragionamento, che conduce a opposte conclusioni, è stato coerente coi postulati che abbiamo esplicitato all’inizio.

Probabilità a priori e probabilità a posteriori. Bayes, chi era costui? Stella lo incontra, ma poi passa oltre.

Il rischio relativo, ovvero la causalità probabilistica, esiste? Ovvero l’aumento del rischio? Come domare il caso (I. Hacking, Il caso domato, il Saggiatore, Milano 1994)?

La frequenza relativa – il rischio relativo – è un oggetto matematico di notevole complessità. Esso è un concetto artificiale e convenzionale della statistica, che a sua volta è un metodo di ragionamento che l’intelligenza dell’uomo ha pazientemente costruito in secoli, secondo alcuni da Pascal in poi, ma secondo altri la sua genealogia è anche più antica.

Salvo casi estremi, in cui il rischio relativo è talmente alto da fugare dubbi ragionevoli sulla sua realtà, nella grande maggioranza dei casi il rischio relativo è sempre controvertibile, può essere tirato da una parte e dall’altra come più conviene.

Quanta differenza è abbastanza?

Stella scopre nel processo veneziano gli enigmi della probabilità – la significatività statistica, i bias, gli errori di campionamento, i fattori confondenti, la forza dell’associazione, ecc. –, comprende che il terreno è malfermo e scaccia gli incubi che affiorano, il più lontano possibile, spaventato perché sa di non possedere la cultura filosofica e statistica necessaria per trattarli e sa che gli altri ne sanno ancor meno di lui. Allora pare che l’attenzione di tutti sia deviata dal vero corso che dovrebbe avere.

 Nasce davvero dal nulla un dialogo serrato tra Stella e la Cassazione e l’oggetto del contendere pare che sia il coefficiente probabilistico, cioè la probabilità assoluta, della legge statistica ma non è così. Il problema è molto più profondo. Le Sezioni Unite scolpiscono una bella e colta sentenza, ma è illusione sperare che abbiano risolto il problema.

Nasce la sentenza Franzese (Cass. pen., sez. un. 12 luglio 2002 (dep. il 11 settembre 2002), n. 30328, Franzese, in Foro it., 2002, II, 601) e il problema vero della causalità probabilistica – se esista e come si faccia ad accertarla – è stato appena sfiorato ma resta sul tavolo come prima.

Causa generale e causa individuale sono solo nomi: la causa generale non esiste, è solo un’invenzione del linguaggio – che cosa vuol dire che X in generale causa Y? –, c’è solo la causa di quest’evento – è vero o no che questo X ha causato questo Y? – e qui sta l’unico vero problema.

“Franzese” dice comunque poco o nulla della causa generale e pretende che la causa individuale sia accertata Beyond a Reasonable Doubt, perché Stella ci ha scritto un libro, Giustizia e Modernità, e un cattivo nonché ipocrita legislatore sta per infilare lo pseudo concetto di BARD dentro la legge processuale penale.

Causa generale e causa individuale sono solo nomi: la causa generale non esiste, è solo un’invenzione del linguaggio […] e qui sta l’unico vero problema

Butta lì – e non è poco, ma certo non è molto – i concetti di probabilità oggettiva, cioè la frequenza, e di probabilità logica, o credibilità razionale, che è solo un modo di dire che c’è un’altra probabilità, che è soggettiva ed è diversa dalla probabilità come frequenza che è oggettiva. La probabilità è una e doppia forse allo stesso tempo.

Franzese, però, si ferma troppo presto. Da qui si dovrebbe partire – stabilendo che cosa è una probabilità come frequenza – e poi procedere – ad esempio cominciando a discutere quando un Giudice, che sostenga d’aver raggiunto un grado di fiducia razionale alto sulla verità di una congettura, possa dirsi che abbia davvero usato la logica che però deve essere la logica della probabilità che di certezze BARD non ne garantisce mai.

I Dottori, però, non proseguono la strada abbozzata. La sentenza Franzese ha un impatto praticamente nulla sulla giurisprudenza che, intanto, si va formando in materia di amianto. Tutti, però, ne adottano il linguaggio.

 

(4/Continua)

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A meeting of knowledge on individual and society
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