«Non abbiamo oggi più alcuna pietà per il concetto di “libero arbitrio”; lo sappiamo anche troppo bene che cosa sia – il più malfamato trucco dei teologi che sia mai esistito, mirante a rendere l’umanità «responsabile» nel senso loro, ossia renderla a essi soggetta […]»
Dovunque vengono cercate responsabilità, chi le cerca è di solito l’istinto del voler punire e giudicare. Si è spogliato il divenire della sua innocenza se si riconduce un qualsiasi essere fatto così e così alla volontà, alle intenzioni, ai protocolli della responsabilità: la dottrina del volere è inventata essenzialmente allo scopo della pena, cioè del voler trovare la consapevolezza.
«Tutta la antica psicologia, la psicologia del volere, ha i suoi presupposti nel fatto che i suoi autori, i sacerdoti posti al vertice delle antiche comunità, vollero crearsi un diritto di irrogare delle pene […]»
Gli uomini vennero ritenuti “liberi” per poter essere giudicati e puniti – per poter esser colpevoli: si dovette perciò pensare ogni azione come voluta, e l’origine di ogni azione come situata nella coscienza […]
«[…] Nessuno è responsabile della sua esistenza, del suo essere costituito in questo o in quel modo, di trovarsi in quella situazione e in quell’ambiente. La fatalità della sua natura non può essere districata dalla fatalità di tutto ciò che fu e che sarà».
Egli non è la conseguenza di un personale proposito, di una volontà, di uno scopo, non è che con lui si faccia il tentativo di raggiungere un “ideale di uomo” o un “ideale di felicità” o un “ideale di moralità” – è assurdo voler far rotolare la sua natura verso un qualsivoglia scopo. Siamo stati noi a inventare il concetto di “scopo”: nella realtà lo scopo è assente… Si è necessari, si è un frammento di fato, si appartiene al tutto, si è nel tutto – non c’è nulla che possa giudicare, misurare, verificare, condannare il nostro essere, giacché questo equivarrebbe a giudicare, misurare, verificare, condannare il tutto… Ma al di fuori del tutto c’è nulla!