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Che nella punizione più terribile ci fosse una forte componente di festa lo nota Friedrich Nietzsche in un passo della sua Genealogia della morale che ha esercitato una lunga e persistente suggestione […]

Quel testo fu ripreso e sottolineato da Edgar Wind in un articolo del 1938 […]. Le questioni toccate da Edgar Wind sulla scia di Nietzsche si sono affacciate sempre più all’orizzonte degli studi storici sulla pena capitale.

Le giustificazioni offerte dalla cultura giuridica dell’epoca, che cioè l’atrocità delle esecuzioni fosse dovuta allo scopo di terrorizzare i potenziali criminali, non bastano a spiegare i tratti carnevaleschi affioranti nel rituale antico delle esecuzioni.

Nel lunghissimo percorso storico del sistema dei delitti e delle pene, il rito del patibolo ha via via cancellato quegli elementi sostituendovi la serietà e la tristezza di una pedagogia della disciplina morale e politica: così sono rimaste in evidenza soltanto le norme della legge penale e la violenza impersonale e burocratica del potere. Parafrasando una frase celebre si potrebbe dire che uccidere legalmente un uomo è diventato solo col tempo la pura e semplice uccisione di un uomo.

Intanto nel corso di quella lunga evoluzione l’antico Dio criminale ha dovuto far posto al Dio cristiano morto come un criminale la cui immagine ha fornito a lungo una legittimazione religiosa della pena: talmente a lungo che perfino Hitler nel 1941 evito di eliminate il crocifisso dal muro dei luoghi di esecuzione.

A. Prosperi, Delitto e perdono, Einaudi, 2016, p. 9

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