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27.01.2021
Eryn Brown

The brain, the criminal and the courts

States of mind that the legal system cares about – memory, responsibility and mental maturity – have long been difficult to describe objectively, but neuroscientists are starting to detect patterns. Coming soon to a courtroom near you?

Issue 1/2021

We publish here, courtesy of the Editor, our full translation of the article The brain, the criminal and the courts, published in Knowable Magazine from Annual Reviews, August 30, 2019.

To read the judgment United States v. Hinckley, 525 F. Supp. 1342 (D.D.C. 1981), cited in the contribution, click here.

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Il 30 marzo 1981, il venticinquenne John W. Hinckley Jr. sparò al presidente Ronald Reagan e ad altre tre persone. L’anno successivo, fu stato processato per i suoi delitti.

I suoi difensori hanno sostenuto che Hinckley era pazzo e hanno indicato una serie di prove a sostegno della loro affermazione. Il loro cliente aveva una storia personale di problemi comportamentali. Era ossessionato dall’attrice Jodie Foster ed escogitò un piano per assassinare un presidente allo scopo di impressionarla. Aveva dapprima perseguitato Jimmy Carter. Poi prese di mira Reagan.

Durante una discussione in aula, la difesa di Hinckley ha anche chiesto l’assunzione di prove scientifiche: una tomografia assiale computerizzata (CAT) che indicava che il cervello del loro cliente aveva dimensioni “ridotte”, era atrofizzato. Inizialmente, il giudice non voleva ammettere la prova. La scansione non dimostra che Hinckley era affetto da schizofrenia, hanno affermato gli esperti, ma questo tipo di atrofia cerebrale era più comune tra gli schizofrenici che nell’ambito della popolazione generale.

Questa osservazione contribuì a convincere la giuria a dichiarare Hinckley non colpevole per ragioni di infermità mentale.

Quasi 40 anni dopo, la neuroscienza che ha influenzato il verdetto nel caso Hinckley ha fatto passi da gigante, in particolare grazie ai progressi della risonanza magnetica (MRI) e alla nascita della risonanza magnetica funzionale (fMRI), che consente agli scienziati di esaminare i flussi sanguigni e l’ossigenazione nel cervello in modo non invasivo. Oggi i neuroscienziati possono vedere cosa accade nel cervello quando un soggetto si relaziona con una persona cara, sperimenta un fallimento o sente dolore.

Quasi 40 anni dopo, la neuroscienza che ha influenzato il verdetto nel caso Hinckley ha fatto passi da gigante […]. Oggi i neuroscienziati possono vedere cosa accade nel cervello quando un soggetto si relaziona con una persona cara, sperimenta un fallimento o sente dolore

 

Nonostante questo enorme sviluppo della conoscenza neuroscientifica, e nonostante il successo della strategia della difesa di Hinckley, il “neurodiritto” non ha ancora avuto un impatto significativo nelle aule di tribunale. Ma ci stiamo arrivando. Gli avvocati impegnati nei procedimenti civili fanno ricorso sempre più spesso all’imaging cerebrale per sostenere che un cliente ha o non ha subito un danno. Anche gli avvocati penalisti talvolta sostengono che una determinata condizione cerebrale è motivo di attenuazione della responsabilità del cliente. Avvocati e giudici partecipano a programmi di formazione continua per conoscere l’anatomia cerebrale e ciò che le MRI, gli elettroencefalogrammi e tutti gli altri esami cerebrali sono oggi in grado di mostrare.

Nonostante questo enorme sviluppo della conoscenza neuroscientifica […], il “neurodiritto” non ha ancora avuto un impatto significativo nelle aule di tribunale. Ma ci stiamo arrivando

La maggior parte di questi avvocati e giudici vuole chiarire questioni come, ad esempio, se l’imaging cerebrale può aiutare a stabilire l’età mentale di un imputato, se può rappresentare un metodo affidabile di rilevazione della menzogna, o se può rivelare in modo definitivo quando una persona sta realmente soffrendo e quando invece sta solo simulando (il che è estremamente utile nell’ambito dei processi per danni). I ricercatori nel campo delle neuroscienze non sono ancora arrivati a questo punto, ma sono impegnati nella ricerca delle correlazioni che potrebbero essere rilevanti a tale scopo – cercando di capire quali aree del cervello si attivano in determinate situazioni.

I progressi sono stati graduali ma costanti. Sebbene l’ingresso della neuroscienza nei tribunali rimanga cosa rara, «oggi se ne vede molta di più di quanto non accadesse in passato», afferma il giudice Morris B. Hoffman, della seconda corte distrettuale giudiziaria del Colorado. «E credo che sia un processo destinato a continuare».

Un numero crescente di casi

Il diritto penale si è interessato alla mente umana e agli stati mentali a partire dal diciassettesimo secolo, afferma la studiosa di diritto Deborah Denno della Fordham University School of Law. Nei secoli precedenti, le corti attribuivano il comportamento deviante al “diavolo” – e solo più tardi, a partire dall’inizio del XX secolo, iniziarono a attribuire rilevanza ai deficit cognitivi e alle diagnosi formulate attraverso l’analisi freudiana e altri approcci.

La neuroscienza rappresenta un passo successivo intrigante: un insieme di prove riguardanti direttamente il cervello in senso fisico e le sue funzioni misurabili.

Non abbiamo un resoconto sistematico di tutti i casi, civili e penali, in cui sono state introdotte prove neuroscientifiche come le scansioni cerebrali. Quasi sicuramente, accade più di frequente nei procedimenti civili, afferma Kent Kiehl, neuroscienziato dell’Università del New Mexico e principale ricercatore del Mind Research Network, ente no profit che si occupa primariamente dell’applicazione delle tecniche di neuroimaging allo studio delle malattie mentali. Nei procedimenti civili, spiega Kiehl, che spesso si interfaccia con gli avvocati per aiutarli a comprendere la scienza del neuroimaging, si fa comunemente ricorso alla risonanza magnetica in presenza di di lesioni cerebrali e se il processo è di particolare importanza.

Il diritto penale si è interessato alla mente umana e agli stati mentali a partire dal diciassettesimo secolo […]. Nei secoli precedenti, le corti attribuivano il comportamento deviante al “diavolo” – e solo più tardi, a partire dall’inizio del XX secolo, iniziarono a attribuire rilevanza ai deficit cognitivi e alle diagnosi formulate attraverso l’analisi freudiana e altri approcci

Nei procedimenti penali, la risonanza magnetica viene spesso utilizzata per valutare le lesioni o i traumi cerebrali nell’ambito dei casi capitali (per i quali è applicabile la pena di morte) «allo scopo di garantire che non ci sia una disfunzione neurologica evidente, che potrebbe incidere sulla soluzione del caso», afferma Kiehl. Come nel caso della scansione del cervello di una persona accusata di omicidio che mostra la presenza di un tumore nel lobo frontale, ad esempio, o una forma di demenza frontotemporale, che potrebbero instillare dubbi sufficienti a rendere arduo, per il tribunale, affermare la colpevolezza del reo (come è accaduto con riguardo all’atrofia cerebrale riscontrata nel caso Hinckley). Tuttavia, questi test sono costosi.

Alcuni studiosi hanno cercato di quantificare la frequenza con cui la neuroscienza ha fatto ingresso nei procedimenti penali. Un’analisi del 2015 di Denno ha identificato 800 casi criminali in cui è stato fatto ricorso alle neuroscienze, in un arco temporale di vent’anni. Ha anche registrato un incremento nell’uso delle prove neuroscientifiche di anno in anno, in linea con quanto emerso in uno studio del 2016 di Nita Farahany, studiosa di etica e diritto alla Duke University.

L’ultima ricerca di Farahany, decritta in un articolo in materia di neurodiritto pubblicato nell’Annual Review of Criminology e di cui è stata coautrice, ha permesso di individuare oltre 2.800 opinioni giudiziarie, tra il 2005 e il 2015, formulate nell’ambito di procedimenti penali negli Stati Uniti in cui gli imputati avevano fatto ricorso alla neuroscienza – in varie forme, dalle cartelle cliniche ai test neuropsicologici alle scansioni cerebrali – a scopo di difesa. Circa il 20% degli imputati che hanno presentato prove neuroscientifiche ha ottenuto un risultato favorevole, che spazia dalla concessione di un termine più ampio per la presentazione di documenti, alla fissazione di una nuova udienza, all’annullamento della sentenza.

Sebbene le prove delle neuroscienze non siano spesso utilizzata nei procedimenti penali, si assiste a un trend crescente, come mostra questo grafico riguardante le opinioni dei giudici statunitensi che hanno avuto a oggetto il ricorso alle evidenze neuroscientifiche da parte di un imputato

Circa il 20% degli imputati che hanno presentato prove neuroscientifiche ha ottenuto un risultato favorevole, che spazia dalla concessione di un termine più ampio per la presentazione di documenti, alla fissazione di una nuova udienza, all’annullamento della sentenza

Ma anche i migliori studi, come quelli citati, prendono in considerazione solo i casi registrati, che rappresentano «una piccola, minuscola frazione» di tutti i procedimenti, spiega Owen Jones, studioso di legge e scienze biologiche alla Vanderbilt University (Jones è anche direttore della MacArthur Foundation Research Network on Law and Neuroscience, che unisce neuroscienziati e giuristi per condurre ricerche in tema di neurodiritto e aiutano il sistema giuridico a rapportarsi con la scienza). La maggior parte dei casi, afferma, si concludono con un patteggiamento o con una transazione e non arrivano a processo, rendendo così difficile comprendere in che misura la neuroscienza venga utilizzata in tali casi.

La scienza degli stati mentali

Anche se, ad opera di alcuni avvocati, la neuroscienza sta già varcando la soglia delle aule di tribunale, i ricercatori stanno cercando di aiutare il sistema giuridico a distinguere il grano dalla pula, attraverso esperimenti di scansione cerebrale e analisi giuridica. Queste attività contribuiscono a identificare in quali casi e in quale misura le neuroscienze possono, o non possono, rivelarsi utili nei processi. Si tratta di un lavoro che procede lentamente, ma con passo deciso.

Un gruppo di lavoro del MacArthur Network di Stanford, guidato dal neuroscienziato Anthony Wagner, ha esaminato i possibili modi di impiegare il machine learning (una particolare forma di intelligenza artificiale) per analizzare le scansioni fMRI, al fine di individuare quando un soggetto, che osservi alcune fotografie, riconosca qualcuno di sua conoscenza. I partecipanti al test sono stati posti all’interno di uno scanner e sono state mostrate loro una serie di immagini, scattate alcune dalla macchina fotografica che portavano al collo, altre dalle macchine assegnate agli altri.

Attraverso l’analisi delle variazioni dei livello di ossigenazione del sangue – un indicatore usato per valutare l’attivazione dei neuroni – gli algoritmi di machine learning sviluppati dal team hanno identificato correttamente i casi in cui i soggetti stavano guardando immagini della propria vita, o di quella di qualcun altro, in più del 90% dei rilievi.

«Si tratta, in questa fase, di una mera dimostrazione di fattibilità, ma in teoria rappresenta un biomarcatore del riconoscimento», afferma Jones. «Potremmo immaginare molteplici implicazioni legali», ad esempio, un giorno, tali indicatori potrebbero contribuire a valutare l’accuratezza e l’affidabilità della memoria dei testimoni oculari.

Altri ricercatori stanno utilizzando la risonanza magnetica per cercare di identificare le differenze nel cervello in presenza di una condizione mentale di consapevolezza o di imprudenza, che sono entrambi concetti giuridici importanti, suscettibili di produrre effetti significativi sulla gravità delle condanne penali.

Altri ricercatori stanno utilizzando la risonanza magnetica per cercare di identificare le differenze nel cervello in presenza di una condizione mentale di consapevolezza o di imprudenza, che sono entrambi concetti giuridici importanti, suscettibili di produrre effetti significativi sulla gravità delle condanne penali

I casi in cui la difesa penale ha fatto ricorso alla neuroscienza sono più numerosi nell’ambito di procedimenti per omicidio di primo grado, ma non si limitano a queste categorie di reati, come mostra questo grafico di sintesi delle opinioni dei giudici statunitensi rese tra il 2005 e il 2015. (I casi di omicidio di capitale sono casi di omicidio di primo grado in cui, per la presenza di circostanze speciali, può essere comminata all'autore la pena di morte)

Per approfondire la questione, Gideon Yaffe della Yale Law School, il neuroscienziato Read Montague della Virginia Tech e alcuni colleghi hanno usato la risonanza magnetica per sottoporre a scansione cerebrale i partecipanti al proprio studio mentre si trovavano a dover decidere se oltrepassare la dogana con una valigia. A tutti era stato detto – con diversi gradi di certezza – che la valigia poteva contenere merce di contrabbando. Quelli a cui l’informazione era stata prospettata come certa al 100% furono considerati come mentalmente consapevoli; diversamente, coloro ai quali l’informazione era stata presentata come meno sicura, vennero ricondotti alla categoria “imprudenti”. Tramite il ricorso ad algoritmi di apprendimento automatico per interpretare i risultati delle scansioni fMRI, gli scienziati sono stati in grado di distinguere in modo affidabile i due stati menali.

I neuroscienziati auspicano di poter arrivare a comprendere meglio anche i correlati biologici della recidiva – Kiehl, ad esempio, ha analizzato migliaia di scansioni RMF e di risonanza magnetica strutturale effettuate sui detenuti nelle carceri ad alta sicurezza negli Stati Uniti per verificare se il cervello delle persone che hanno commesso un nuovo reato (o che sono state nuovamente arrestate) appaia diverso da quello dei soggetti non recidivi. Poter quantificare la probabilità che un criminale commetta un nuovo reato in futuro è fondamentale per il successo della riabilitazione dei detenuti, afferma.

Altri ricercatori stanno studiando il concetto di età mentale. Un team guidato dal neuroscienziato BJ Casey del Yale and Weill Cornell Medical College ha usato la fMRI per verificare se, in circostanze diverse, il funzionamento del cervello dei giovani adulti risulti più simile a quello dei minori o a quello delle persone di età più avanzata – e ha scoperto che, spesso, la differenza dipendeva dallo stato emotivo. Una maggiore comprensione del processo di maturazione cerebrale potrebbe avere rilevanza nell’ottica di una riforma della giustizia minorile, affermano gli studiosi di neurodiritto, oltre che per il modo in cui consideriamo oggi i giovani adulti, che si trovano in una fase di transizione.

I neuroscienziati auspicano di poter arrivare a comprendere meglio anche i correlati biologici della recidiva […]. Poter quantificare la probabilità che un criminale commetta un nuovo reato in futuro è fondamentale per il successo della riabilitazione dei detenuti […].

La giuria resta esclusa

Resta da capire se tutte queste ricerche produrranno risultati attuabili. Nel 2018, Hoffman, che è stato uno dei maggiori studiosi di neurodiritto, ha scritto un articolo in cui ha passato in rassegna le potenziali scoperte future, dividendole in tre categorie: a breve termine, a lungo termine e «che non avverranno mai». Ha predetto che, probabilmente, i neuroscienziati disporranno nel prossimo futuro di strumenti migliori, rispetto a quelli esistenti, per rilevare il dolore cronico; ha inoltre ritenuto che nei prossimi 10-50 anni saranno in grado di rilevare in modo affidabile i ricordi e la menzogna e di determinare la maturità del cervello.

Tuttavia, la neuroscienza non arriverà mai alla piena comprensione del fenomeno della dipendenza, ha aggiunto, né indurrà mai i tribunali ad abbandonare le nozioni di responsabilità o di libero arbitrio (una prospettiva che fa fermare molti filosofi e studiosi di diritto).

Sono in molti a riconoscere che, per quanto i neuroscienziati possano essere bravi a suggerire l’esistenza di legami tra la neurobiologia e il comportamento umano, far confluire le prove neuroscientifiche nel contesto legale sarà sempre molto difficile. Una preoccupazione è che gli studi sul cervello effettuati a reato già commesso potrebbero non consentire di fare luce sulle motivazioni e sul comportamento dell’imputato al momento della condotta illecita – che è ciò che conta in tribunale. Un’altra preoccupazione è che gli studi sul funzionamento cerebrale dell’individuo medio non sempre forniscono informazioni affidabili su come funziona il cervello di un individuo specifico.

Sono in molti a riconoscere che, per quanto i neuroscienziati possano essere bravi a suggerire l’esistenza di legami tra la neurobiologia e il comportamento umano, far confluire le prove neuroscientifiche nel contesto legale sarà sempre molto difficile. Una preoccupazione è che gli studi sul cervello effettuati a reato già commesso potrebbero non consentire di fare luce sulle motivazioni e sul comportamento dell’imputato al momento della condotta illecita

«La domanda più importante è se le prove sono giuridicamente rilevanti. Vale a dire, esse contribuiscono a rispondere a una precisa domanda in ambito legale?» afferma Stephen J. Morse, studioso di diritto e psichiatria all’Università della Pennsylvania. Egli fa parte di coloro che ritengono che la neuroscienza non rivoluzionerà mai il diritto, perché «le azioni dicono più delle immagini» e perché, in un contesto legale, «se c’è un contrasto tra ciò che la neuroscienza mostra e ciò che il comportamento mostra, devo tenere conto del al comportamento». Egli è preoccupato della prospettiva del “neurohype” e della possibilità che gli avvocati sopravvalutino le prove scientifiche.

Alcuni sostengono che la neuroscienza non sposterà nulla con riguardo ai problemi fondamentali di cui il diritto si occupa – «le fondamentali domande che ci poniamo da duemila anni», come dice Hoffman – domande sulla natura della responsabilità umana o sullo scopo della punizione.

Ma nella prassi quotidiana delle aule di tribunale, queste grandi preoccupazioni filosofiche potrebbero non avere importanza, osserva Kiehl.

Alcuni sostengono che la neuroscienza non sposterà nulla con riguardo ai problemi fondamentali di cui il diritto si occupa – «le fondamentali domande che ci poniamo da duemila anni», come dice Hoffman – domande sulla natura della responsabilità umana o sullo scopo della punizione

«Se ci sono due o tre articoli che sostengono che l’evidenza ha una solida base scientifica, pubblicati all’interno di riviste prestigiose, da parte di illustri accademici, allora gli avvocati vorranno farne uso».

Altro

A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

ISSN 2612-677X (website)
ISSN 2704-6516 (journal)

 

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