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16.12.2019
Stefania Di Buccio

The contestability of the provision with which the competent Court for preventive measures denies the application of the judicial control requested pursuant to art. 34 bis, paragraph 6, of Legislative Decree 6 September 2011, n. 159

Commentary on the Court of Cassation, United Criminal Chambers, sentence September 26th – November 19th 2019, n. 46898, President Carcano, Speaker Vessichelli

Issue 12/2019

1. La sentenza qui annotata interviene sul tema dell’impugnabilità del provvedimento con cui il Tribunale competente per le misure di prevenzione nega l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34 bis, comma 6, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, inserendo l’analisi del principio analogico relativo ai mezzi di impugnazione nell’alveo del «sotto-sistema omogeneo» delle misure di prevenzione patrimoniali non ablative.

L’intervento della Corte trae origine dalla vicenda giudiziaria, prima amministrativa e poi di prevenzione, che ha coinvolto la società IGECO Costruzioni S.p.a., interessata da un’informazione antimafia interdittiva prefettizia emessa ai sensi dell’art. 84, commi 3-4, e 91 d.lgs. n. 159/2011.

A seguito dell’impugnazione in sede amministrativa del provvedimento, la società ha presentato al competente Tribunale di Roma, sezione specializzata per le misure di prevenzione, istanza di applicazione del controllo giudiziario c.d. volontario, previsto dall’art. 34 bis, comma 6, d.lgs. n. 159/2011.

Il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di applicazione della misura, sul presupposto del mancato riconoscimento della occasionalità dell’agevolazione rispetto alla compagine criminale individuata (associazione a delinquere di stampo mafioso – Sacra Corona Unita). In sede di analisi dei presupposti positivi per l’applicazione della misura, il Tribunale adito ha rinvenuto la presenza di uno stabile rapporto agevolativo della consorteria criminale consistente nell’assunzione di dipendenti direttamente riconducibili alla stessa e nella presenza nella governance aziendale di soggetti attivi in fenomeni corruttivi. Al momento della decisione, il rappresentante legale della società, la Sig.ra C. R., risultava essere stata condannata in primo grado per il reato di cui all’art. 640 bis c.p. (reato poi dichiarato prescritto in appello). Nondimeno, il soggetto ritenuto il titolare effettivo dell’azienda nonché padre della predetta (Sig. T. R.) era stato sottoposto a misura cautelare personale coercitiva per il reato di corruzione aggravata continuata.

La difesa ha proposto, dunque, ricorso per cassazione deducendo l’inosservanza e erronea applicazione dell’art. 34 bis citato in relazione all’individuazione delle condizioni per l’ammissione al controllo giudiziario (ritenute di competenza del T.a.r. e non del giudice della prevenzione); nonché l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’istituto, per violazione di legge e vizio di motivazione nel ritenere accertata la stabilità della agevolazione di soggetti appartenenti alle categorie criminali descritte dal richiamato art. 34 d.lgs. n. 159/2011.

La sentenza qui annotata interviene sul tema dell’impugnabilità del provvedimento con cui il Tribunale competente per le misure di prevenzione nega l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34 bis, comma 6, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, inserendo l’analisi del principio analogico relativo ai mezzi di impugnazione nell’alveo del «sotto-sistema omogeneo» delle misure di prevenzione patrimoniali non ablative

2. La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza del 15 maggio 2019[1], ha rilevato un contrasto giurisprudenziale in ordine all’impugnabilità dinanzi alla Corte di Cassazione del provvedimento che respinge la richiesta di applicazione del controllo giudiziario e ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

Un primo orientamento ermeneutico[2], infatti, ritiene che il provvedimento di diniego della richiesta di controllo giudiziario formulata dall’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva, possa essere impugnato esclusivamente mediante ricorso in cassazione, utilizzando l’addentellato normativo offerto dal richiamo dell’art. 127, comma 7, c.p.p. da parte dell’art. 34 bis, comma 6 d.lgs. n. 159/2011.

Tale lettura farebbe leva sul principio di tassatività dei mezzi di impugnazione che osterebbe alla previsione di mezzi di gravame ulteriori rispetto a quelli previsti dall’art. 27 d.lgs. n. 159/2011 e l’unica deduzione ammissibile sarebbe quella relativa alla violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost. (come previsto dall’art. 10, comma 3, d.lgs n. 159/2011), in quanto l’estensione del giudizio ai presupposti di merito della misura cagionerebbe una duplicazione delle valutazioni del giudizio amministrativo instaurato, andando a svilire l’assetto della misura.

L’opposto orientamento[3] esclude ogni impugnabilità, sostenendo che il rinvio all’art. 127 c.p.p. operato in altre norme dello stesso codice con la formula «secondo le forme previste», riguarderebbe le regole di svolgimento dell’udienza camerale e non implicherebbe l’applicazione completa del modello procedimentale descritto; difatti, per diverse disposizioni contenenti tale rinvio il legislatore ha previsto espressamente quel rimedio. Il sistema delle impugnazioni, secondo l’orientamento in parola, soggiacerebbe all’inderogabile principio della tassatività dei mezzi, così come previsto dall’art. 568, comma 1, c.p.p., da ritenersi valido anche in materia di prevenzione. Non apparirebbe conferente, secondo questa linea interpretativa, neanche il richiamo all’art. 111 Cost. perché il provvedimento de quo non grava sulla libertà personale, né concerne l’esercizio di diritti di rango costituzionale (libertà d’impresa), incisi semmai a monte dall’interdittiva prefettizia. Inoltre, si rileva come la decisione del Tribunale della prevenzione abbia un contenuto provvisorio, sempre rivedibile in forza di elementi nuovi che sopraggiungano fino al momento in cui, attraverso il giudicato amministrativo, gli effetti della misura di prevenzione amministrativa si stabilizzano.

Un primo orientamento ermeneutico, infatti, ritiene che il provvedimento di diniego della richiesta di controllo giudiziario formulata dall’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva, possa essere impugnato esclusivamente mediante ricorso in cassazione […]. L’opposto orientamento esclude ogni impugnabilità […]. Il sistema delle impugnazioni, secondo l’orientamento in parola, soggiacerebbe all’inderogabile principio della tassatività dei mezzi, […] da ritenersi valido anche in materia di prevenzione

Da ultimo, si esclude un potere di controllo da parte del Tribunale di prevenzione sui presupposti di applicazione delle interdittive antimafia, perché ciò duplicherebbe i controlli sulla legittimità delle misure interdittive, la cui valutazione sarebbe esclusivamente di competenza del Prefetto e del Giudice amministrativo.

 

3. Il contrasto ermeneutico è stato risolto dalla Corte di Cassazione Penale, Sezioni Unite (ud. 26 settembre 2019), mediante la sentenza n. 46898 del 19 novembre 2019, operando una ricostruzione del sistema delle impugnazioni delle misure di prevenzione patrimoniali e calandolo nel particolare contesto dell’istituto del controllo giudiziario, valutato anche alla luce della sua genesi.

La misura nasce infatti – attraverso la l. 161/2017 – per gemmazione dall’art. 34 d.lgs. n. 159/2011, che a sua volta trova il suo precursore nell’istituto della «sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni» inserito con il d.l. 306/1992 negli artt. 3 quater e 3 quinquies della l. 575/1965. Il riferimento delle Sezioni Unite alla genesi dell’istituto è stato funzionale a fondare il percorso decisorio su un precedente esistente con riferimento a quell’istituto precursore, laddove la Corte Costituzionale con una sentenza additiva aveva dichiarato illegittimo il citato art. 3 quinquies, secondo comma, nella parte in cui non prevedeva la possibilità di proporre le impugnazioni per i casi di confisca conseguenti alla sospensione, quando invece erano presenti forme di impugnazione dei decreti di confisca di prevenzione. Anche nella previgente formulazione, dunque, si era creata una lacuna e la soluzione all’epoca trovata dalla Corte Costituzionale per colmarlo rappresenta lo strumento che consente oggi alla Corte di Cassazione di ripercorrere la storia del nuovo istituto, facendo emergere la presenza di un nuovo silenzio normativo, rispetto al quale si ripropone la necessità di una lettura costituzionalmente orientata.

Il contrasto ermeneutico è stato risolto dalla Corte di Cassazione Penale, Sezioni Unite (ud. 26 settembre 2019), mediante la sentenza n. 46898 del 19 novembre 2019, operando una ricostruzione del sistema delle impugnazioni delle misure di prevenzione patrimoniali e calandolo nel particolare contesto dell’istituto del controllo giudiziario, valutato anche alla luce della sua genesi

La l. n. 161/2017 ha interamente riscritto l’art. 34, inserendo nel comma 6 la previsione di impugnazione col doppio grado di giudizio, il cui richiamo però non è riprodotto nell’art. 34 bis (a sua volta inserito dalla predetta l. n. 161/2017.

La ratio delle due misure di prevenzione non ablative si caratterizza per un approccio “meno deflagrante” rispetto alle altre misure, imponendo l’attivazione di un percorso emendativo del soggetto colpito, nell’ottica del recupero della realtà concorrenziale. Proprio tale diversa finalità implica, per la Corte, la necessità di riferirsi alle misure di prevenzione ablative come ad un «sotto-sistema omogeneo» rispetto al quale poter attivare effetti compensativi rispetto alle lacune concernenti i mezzi di impugnazione.

Nella sentenza si precisa come la verifica che il Tribunale è chiamato a fare con riferimento ai presupposti di applicazione della misura del controllo “non scolora” col mutamento del soggetto proponente, che sia pubblico o privato. Ciò vuol dire che con il c.d. “controllo volontario” richiesto dall’azienda, il Giudice della prevenzione è sempre chiamato ad accertare i requisiti negativi e positivi per la concessione della misura, aggiungendo alla valutazione operata dal Prefetto una visione prospettica e potenziale, in grado di comprendere se l’occasionalità della contaminazione può essere effettivamente emendata mediante il controllo. Questo diverso “fuoco dell’attenzione” rende i due giudizi – quello amministrativo/statico e quello della prevenzione/dinamico – autonomi e parimenti operanti.

Appare evidente, però, che per nessuna delle descritte situazioni il Legislatore abbia previsto forme tipiche di impugnabilità e sul punto la Corte nel massimo consesso ritiene superabili entrambe le impostazioni espresse dal contrasto giurisprudenziale sulla base delle seguenti considerazioni.

Il richiamo all’art. 111 Cost. appare non compatibile col fatto che il provvedimento del Tribunale non incide sulla libertà personale e non ha carattere di definitività o natura di sentenza.

Il richiamo all’art 127 c.p.p. da parte dell’art. 34 bis d.lgs. n. 159/2011 deve ritenersi riferito alla forma dell’udienza camerale e non estensibile al ricorso in cassazione dei provvedimenti emessi in seno ad essa, salvo espressamente previsto[4]; diversamente si scontrerebbe col principio della tassatività dei casi e dei mezzi di impugnazione.

Se si ritiene che la tipizzazione dei casi e dei mezzi di impugnazione in materia di prevenzione sia avvenuta attraverso l’art. 27 d.lgs. n. 159/2011 (che richiama l’art. 10) non si tiene conto del fatto che storicamente questo istituto non aveva compreso ipotesi di impugnazioni introdotte successivamente al primo vado del Codice. Si veda l’intervento del d.lgs. n. 153/2014 che ha inserito l’impugnabilità del provvedimento di revoca di cui all’art. 34 comma 7 (oggi comma 6)[5].

Una volta, cioè, che con la successiva l. n. 161 del 2017, il testo dell’art. 34, comma 7, è rifluito nel nuovo art. 34, comma 6, e che è stato disciplinato autonomamente l’istituto del controllo giudiziario, si è manifestata l’incongruenza dell’accostamento di una previsione differenziata dell’impugnabilità di decisioni su oggetti del tutto assimilabili: il controllo giudiziario apparirebbe, dunque, appellabile se emesso all’esito della procedura della amministrazione giudiziaria e non impugnabile se emesso in modo autonomo da quella.

Rilevata l’irragionevolezza di tale discrasia, la Corte di Cassazione ne ha ritenuto doverosa l’emenda mediante un’operazione d’interpretazione analogica, volta a ricomporre la parità di trattamento.

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4. Decisivo rilievo è stato assegnato, dunque, all’irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, derivante da un assetto normativo riformato che assoggetta il provvedimento applicativo della misura del controllo giudiziario alla impugnabilità con appello e poi con ricorso, soltanto in una ipotesi residuale (conseguente ad amministrazione giudiziaria), e non in quella maggiore che, a differenza della prima, non è nemmeno preceduta dal collaudo quantomeno sulla tenuta delle comuni premesse e dalla possibilità di revoca della misura dell’amministrazione giudiziaria.

Nell’ottica di colmare tale lacuna deve ritenersi ammissibile in via interpretativa il ricorso al sistema impugnatorio derivante dal combinato disposto dell’art. 27 e dell’art. 10 d.lgs. n. 159 del 2011, anche con riferimento al provvedimento dispositivo del controllo giudiziario, con ricadute nell’applicabilità anche per il provvedimento reiettivo della domanda proposta dal privato.

In via di massima, l’azienda interdetta risulta essere portatrice di un interesse perseguibile dinanzi alla giurisdizione della prevenzione perché, sebbene sia indubbio che il Tribunale non abbia potere di sindacato sulla legittimità della interdittiva antimafia adottata dal Prefetto, per la evidente autonomia dei mandati delle due giurisdizioni, è anche vero che l’intera gamma dei presupposti indicati dall’art. 34 bis, comma 6, d.lgs. n. 159/2011 è devoluta alla sua cognizione.

Il giudizio sarà sorretto da un ventaglio di fatti sintomatici sulla vita e sulla qualità della governance aziendale, con controlli, indagini e verifiche che si affiancano alla verifica prefettizia. Nondimeno la parte privata può avere interesse a contrastare tale ricostruzione fattuale con elementi acquisiti successivamente all’udienza camerale anticipata, anche per non rimanere acquiescente rispetto a conclusioni che la potrebbero esporre all’adozione di misure di prevenzione patrimoniali diverse e più incisive.

Decisivo rilievo è stato assegnato […] all’irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, derivante da un assetto normativo riformato che assoggetta il provvedimento applicativo della misura del controllo giudiziario alla impugnabilità con appello e poi con ricorso, soltanto in una ipotesi residuale (conseguente ad amministrazione giudiziaria), e non in quella maggiore che, a differenza della prima, non è nemmeno preceduta dal collaudo quantomeno sulla tenuta delle comuni premesse e dalla possibilità di revoca della misura dell’amministrazione giudiziaria

In base a tale percorso argomentativo, dunque, la Corte ritiene che le decisioni del Tribunale sulle richieste in tema di controllo giudiziario, al pari di quelle sulla ammissione all’amministrazione giudiziaria, appartenenti ad un unico sotto-sistema, debbano andare soggette al mezzo di impugnazione generale previsto dall’art. 10 d.lgs. n. 159/2011, come già avvenuto per altre misure patrimoniali e come reso necessario dal dovere di colmare irrazionali aporie normative in presenza di effetti incisivi del tutto assimilabili su beni e interessi omogenei tutelati dall’ordinamento.

Pertanto, con sentenza n. 46898, depositata il 19 novembre 2019, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «il provvedimento con cui il Tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34-bis, comma 6, del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è impugnabile con ricorso alla Corte di appello anche per il merito».

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[1] Cass. pen., Sez. 6, Ord. n. 24661, 15 maggio 2019, Presidente: Fidelbo, Relatore Costanzo, pubblicata in Diritto penale contemporaneo, con nota di D. Albanese, Alle Sezioni unite una questione in tema di “controllo giudiziario delle aziende” ex art. 34-bis d.lgs. 159/2011: appello, ricorso per cassazione o nessun mezzo di impugnazione?, 13 giugno 2019.

[2] Sono espressione di tale orientamento le pronunce di Cass. pen., Sez. 2, n. 16105 del 15/03/2019, Panges Prefabbricati s.r.I.; Sez. 2, n. 17451 del 14/02/2019, Fradel Costruzioni; Sez. 2, n. 14586 del 13/02/2019, Sviluppo Industriale s.p.a.; Sez. 2, n. 18564 del 13/02/2019, Consorzio Sociale COIN; Sez. 5, n. 34526 del 2/07/2018, Eurostrade S.r.l., Rv. 273646; Sez.2 n. 31280 del 12/04/2019, New Ecology S.r.l.

[3] V. sul punto Cass. pen., Sez. 6, 09/05/2019, Labate; Sez. 6, 09/05/2019, Lucianò; Sez. 6, 09/05/2019, Gienne costruzioni s.r.I.; Sez. 6, 9/05/2019, Scaramuzzino; Sez. 6, 09/05/2019, PM c. Eurostrade s.r.I.; Sez. 6, 04/04/2019, Consorzio Go Service scarl.

[4] Cass. pen., Sez. Unite, n. 17 del 6/11/1992, Bernini.

[5] Cass. pen., Sez. Unite, n. 20215 del 23/02/2017, Yang Xinjao. Tale sentenza era giunta, infatti, alla conclusione che, analogamente a quanto già previsto dall’art. 27 d.lgs. cit. in tema di appellabilità del provvedimento di revoca del sequestro, anche per il decreto di rigetto della richiesta del pubblico ministero di applicazione della confisca non preceduta dai sequestro anticipatorio, di cui agli artt. 20 e 22 d.lgs. n. 159 del 2011, nonostante la assenza della menzione di tale provvedimento nel testo allora vigente dell’art. 27 d.lgs. cit., si imponesse la impugnazione mediante appello (e non mediante il solo ricorso per cassazione).

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