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Issue 4/2019

Does it still make sense, according to modern science, to talk about free will? What does it mean to be “free”?

From these fundamental questions we start our conversation with Prof. Arnaldo Benini, professor of neurosurgery and neurology at the University of Zurich, as well as author of numerous essays and scientific publications, including the very recent book La mente fragile. L’enigma dell’Alzheimer, published by Raffaello Cortina, 2018.

Prof. Benini, che cosa si intende quando si parla di “libero arbitrio”?

Il libero arbitrio è il problema centrale dell’etica, dei rapporti sociali e della responsabilità. Fino a che punto siamo liberi di scegliere idee e comportamenti, e ne siamo responsabili?

Secondo il filosofo materialista Paul Henry d’Holbach (1723-1789) l’illusione dell’uomo d’essere libero di decidere è pari a quella di una mosca, che, posatasi sul timone di un carro, è fiera d’averne determinato la direzione. L’uomo e la mosca immaginano di poter muovere l’universo. In realtà essi sono determinati[1]. Da che cosa e come? Per riflettere sulla volontà, senza finire nelle tautologie e nelle astrattezze della letteratura filosofica e moraleggiante (spesso insopportabile per vacuità e supponenza), è necessaria la chiarezza concettuale che consenta analisi scientifiche e teoriche di uno dei problemi centrali dell’esistenza[2].

 

Anima o cervello?

Circa la volontà, ci sono due possibilità, senza vie di mezzo: da un lato ci sono coloro che, per scelta o spontaneamente, si professano dualisti, credono alla libera volontà e – come fa la stragrande maggioranza dell’umanità – altro non possono immaginarsi.

«Il libero arbitrio è un’illusione dal punto di vista della conoscenza delle cause, tuttavia non cessa d’essere un’esperienza reale per ogni essere umano… Esso fa parte della nostra realtà anche se la nostra libertà consiste nel prendere coscienza che è illusorio credere che siamo noi a determinare le cose»[3].

Per i dualisti la volontà è libera perché dipende da un ente immateriale individuale (anima o spirito, la res cogitans di Cartesio) che agisce senza condizionamenti. Solo quando agiamo perché obbligati, avvertiamo che la volontà non è libera. Per il senso comune, facciamo quel che vogliamo, e pertanto ne siamo responsabili. Eccezioni sono movimenti involontari in caso di malattie del cervello, e decisioni prese da un cervello “incapace di intendere e di volere”, come si dice nelle sentenze, senza che ci si renda conto di quanto inconsistente sia la frase: il cervello ha preso l’unica decisione che in quella circostanza poteva prendere.

Che il dualismo sia la convinzione di gran lunga più diffusa è la conferma di quanto poco il pensiero scientifico influenzi il senso comune. C’è chi ritiene che i dualisti attribuiscano le buone scelte all’anima e quelle infelici al corpo. Oppure prevale la razionalità della scienza, per la quale la volontà, come tutti i contenuti della coscienza, nel bene e nel male, è il prodotto di meccanismi nervosi. Essi non sono solo umani, perché di loro si rintraccia la storia evolutiva a partire da esseri remoti, anche se le loro scelte erano e sono più elementari di quelle dell’umanità.

Che il dualismo sia la convinzione di gran lunga più diffusa è la conferma di quanto poco il pensiero scientifico influenzi il senso comune

Che cosa deve essere “libero” e di quali vincoli si deve (o si può) liberare per agire in autonomia (in autonomia da che cosa?), e quindi con responsabilità? È il problema che le neuroscienze cognitive, con dati raccolti da oltre un secolo, pongono alla ricerca e alla riflessione normativa, che di quei dati, fino ad ora, con poche eccezioni, non ha saputo che farsene. Per la maggioranza dei neuroscienziati, la libera volontà nel senso dualista è un mito, tenace perché rassicurante e concorde col senso comune. Le neuroscienze propongono, con dati corroborati, anche se non definitivi (nella vita non ne esistono), che decisioni e azioni sarebbero prodotte della macchina elettrochimica del cervello, il cui funzionamento potrebbe essere (almeno in parte) casuale.

Il comportamento dipende dai geni, dalla fisiochimica del cervello, dagli ormoni, dagli organi di senso, dallo sviluppo prenatale, dall’esperienza, dallo sviluppo fisico e culturale, dall’ambiente, e da altro ancora[4]. La visualizzazione del cervello con le tecniche della neuroimaging mostra che i meccanismi nervosi della coscienza e del pensiero vengono informati quando i centri della decisione sono attivi da tempo. L’uomo s’illude di decidere, mentre, in realtà, non fa ciò che vuole, ma vuole ciò che fa.

La convinzione dualista della volontà indipendente dal cervello è talmente diffusa, anche fra gli atei, da porre il problema della sua origine evolutiva, che potrebbe essere analoga a quella delle religioni, cioè del credere nell’aldilà e nella sopravvivenza dopo la morte[5].

Opinione diffusa fra neuroscienziati, anche se non può essere corroborata sperimentalmente, è che l’illusoria libertà dell’arbitrio sia un espediente evolutivo della mente emerso e selezionato per conciliare l’uomo con la propria interiorità, alla quale attribuisce e riconosce la capacità di decidere. Il senso d’esser liberi di decidere è sentito come valore essenziale, che rafforza la vita, e quindi la specie. Aiuta ad affrontare l’esperienza complessa e spesso pesante della vita.

Il comportamento dipende dai geni, dalla fisiochimica del cervello, dagli ormoni, dagli organi di senso, dallo sviluppo prenatale, dall’esperienza, dallo sviluppo fisico e culturale, dall’ambiente, e da altro ancora […] L’uomo s’illude di decidere, mentre, in realtà, non fa ciò che vuole, ma vuole ciò che fa

La coscienza.

Si sceglie e si agisce secondo i contenuti della coscienza. Il contenuto della coscienza, vale a dire ciò di cui siamo consapevoli, è la minima parte delle informazioni che vengono elaborate dai meccanismi elettrochimici della coscienza. Solo un evento per volta diventa cosciente, dopo esser stato trattato da centri nervosi anche distanti fra loro, collegati da fasci di fibre molto lunghe. Il passaggio dall’elaborazione elettrochimica alla coscienza è segnalato da uno scoppio di attività delle aree prefrontali registrabile nelle risonanze magnetiche e da una onda lenta ritardata (la P3, “firma della percezione cosciente”) della elettroencefalografia. Elaborazioni elettrochimiche provocate da percezioni, riflessioni, ricordi, presenti ed attive nei meccanismi della coscienza, rimangono incoscienti pur condizionando inconsciamente l’attività e la riflessione cosciente, cioè la mente. Ciò costituisce quel che si chiama “il lato oscuro del cervello”, che contribuisce a regolare decisioni e comportamento. Fra i meccanismi coscienti e quelli incoscienti non c’è differenza nella chimica e fisica e nel percorso dell’elaborazione, ma solo di avvicinamento ai centri prefrontali da cui emerge la coscienza. Il passaggio alla coscienza è un evento regolato verosimilmente dalla distribuzione casuale dell’energia del cervello. Ciò significa che i contenuti della coscienza in base ai quali siamo ciò che siamo, sono, almeno in parte, casuali. Noi siamo consapevoli solo della piccola parte del nostro essere con la quale identifichiamo di volta in volta la coscienza. La volontà è determinata anche dal lato oscuro del cervello, sul quale la coscienza non ha alcun potere. Ciò è un’ulteriore conferma del fatto che vogliamo ciò che il cervello ha disposto di fare e non viceversa.

 

Sappiamo che, negli ultimi decenni, le neuroscienze cognitive e comportamentali hanno profondamente messo in dubbio, con una quantità crescente di prove, la visione classica di “libero arbitrio”, aprendo un dibattito scientifico ancora in corso. Qual è la Sua posizione all’interno di questo dibattito?

Le neuroscienze cognitive studiano i meccanismi nervosi della coscienza e della mente con la metodologia fisicalista della riduzione degli eventi fisicochimici del cervello ai loro componenti elementari, giusta la provocazione del fisico Ernest Rutheford, secondo il quale nella scienza esiste solo la fisica e tutto il resto è collezione di francobolli[6]. Le scienze, abbiamo visto, hanno individuato il meccanismo in forza del quale la coscienza s’illude di decidere liberamente, mentre invece è informata della decisione già presa. Se noi siamo ciò che il cervello ci fa essere, la domanda su che cosa, al suo interno, si dovrebbe “liberare” per garantirci l’autonomia, è assurda: ciò che dovrebbe “liberarsi” dai vincoli naturali per agire in libertà, altro non è che una parte dei neuroni del cervello.

I 16 miliardi di neuroni della nostra corteccia lavorano in serie e in parallelo, senza direttore ansioso di autonomia. La posizione naturalistica circa la volontà è stata confermata dagli studi clinici e sperimentali di Mark Hallett sui disturbi dei movimenti[7].

In sintesi: le neuroscienze dimostrano che ogni evento della coscienza (quindi anche una decisione o una scelta, banale o complessa) è preceduto da una modificazione di aree particolari della corteccia cerebrale. Le aree sono diverse, ad esempio, se si intende aggiungere o sottrarre una cifra, se si ragiona induttivamente o per deduzione, se si vuole muovere una mano o un dito, se si pensa a Dio con devozione o con rifiuto, ecc. L’attivazione altamente specifica è verificabile prima che la decisione o la riflessione ne siano coscienti. Si vede, con la neurovisualizzazione (TAC, risonanza magnetica, PET) quale area corticale è attiva. Il problema del libero arbitrio si affronta studiando i meccanismi nervosi della decisione.

Un esempio di come il cervello funziona: prima d’essere coscienti di voler muovere una mano, la risonanza magnetica mostra l’attivazione dell’area motoria corticale della mano nell’emisfero cerebrale controlaterale e nell’emisfero omolaterale del cervelletto, cioè nelle aree proprie della mano. Chi guarda la risonanza sa prima della persona di cui si studia il cervello quale arto muoverà. Dopo una frazione di secondo dalla comparsa dell’attività con localizzazione altamente specifica, i meccanismi della coscienza sono informati della decisione presa[8]. Da qui l’illusione della volontà libera. Il problema irrisolto è se quell’attività corticale è veramente la causa di quel che avverrà, e non un evento corticale marginale che accompa-gna la decisione o la riflessione, oppure se essa è casuale.

Con l’innocua, ma efficace, stimolazione magnetica transcraniale, l’area corticale attiva può essere spenta prima d’aver raggiunto i meccanismi della coscienza, cioè prima che si sia consapevoli di voler muovere la mano: la mano non si muove e non si è coscienti di averla voluto muovere[9]. È un dato molto rilevante a favore dell’ipotesi che l’attività corticale inconscia che precede la consapevolezza sia la causa del movimento.

Le diatribe su compatibilismo, indeterminismo e determinismo della volontà e sull’idea, veramente curiosa, che la concezione quantistica della materia possa lasciare un varco alla volontà libera, sono inutili. Le varie visualizzazioni dell’attività cerebrale mostrano che un’area è attiva con particolari contenuti della coscienza. Il contenuto della coscienza cambia solo dopo che è cambiata l’attività cerebrale. Il correlato nervoso specifico di ciò che la coscienza percepisce è costante. La costanza della correlazione è un indizio forte a favore della tesi che l’attività corticale spontanea è la causa di ciò che avviene. Se ciò non fosse, quale è l’alternativa? Una sola: il dualismo, secondo il quale il principio fondamentale della vita non è fisico. Il corpo sarebbe diretto dall’anima, che diventa consapevole in virtù della sostanza mistica della coscienza[10]. Una concezione che corrisponde al senso comune, ma che degli eventi non spiega nulla.

Se noi siamo ciò che il cervello ci fa essere, la domanda su che cosa, al suo interno, si dovrebbe “liberare” per garantirci l’autonomia, è assurda: ciò che dovrebbe “liberarsi” dai vincoli naturali per agire in libertà, altro non è che una parte dei neuroni del cervello

Quali sono i possibili intrecci tra acquisizioni neuroscientifiche e diritto penale? Quale impatto potrebbero avere sugli attuali meccanismi di attribuzione della responsabilità e di applicazione della pena?

 Il dibattito verte su problemi etici e giuridici che i dati delle neuroscienze circa i meccanismi nervosi del comportamento sollevano e che nemmeno i dualisti più convinti possono ignorare[11].

 

Dall’anima al cervello.

 L’Io della tradizione filosofica e religiosa, che tutto decide ed è responsabile, è trasferito dall’anima al cervello[12]. In realtà le neuroscienze non trasferiscono nulla: esse cercano la natura degli eventi mentali. Non la trovano nell’anima, ma nel cervello, dove in realtà è sempre stata, e descrivono ciò che di essa è possibile capire.

«Sempre più scienza sembra voler dire sempre meno umanità» scrive Henri Atlan, e «chiudere gli occhi o non trarre le conseguenze di un tale accumulo di conoscenze [neuroscientifiche, n.d.r.] è più simile ad un diniego» che diventa «una pura e semplice negazione»[13].

Pensare che le neuroscienze siano una minaccia ai valori umani è un’idea sbagliata, conseguenza della confusione circa il problema della coscienza della volontà[14]. Il comportamento è determinato da meccanismi nervosi congeniti e acquisiti. Tre sono i meccanismi della formazione del cervello: l’informazione genetica comune a tutta la specie, la distribuzione verosimilmente in parte casuale dei neuroni durante lo sviluppo, e l’influsso dell’ambiente e dell’esperienza durante la vita. Siamo figli del genoma e dell’ambiente. Non esistono due cervelli uguali, nemmeno di gemelli omozigoti, per cui tutti gli esseri umani sono diversi. I meccanismi acquisiti si formano durante tutta la vita secondo l’esperienza, grazie alla neuroplasticità e alla neurogenesi, due meccanismi chiave del funzionamento generale del cervello. I meccanismi nervosi del comportamento elaborano riflessi, il carattere, considerazioni, opinioni, affettività, memoria, pregiudizi, principi morali, che sono eventi elettrochimici di molte aree cerebrali. La distribuzione in parte casuale dei neuroni durante lo sviluppo e durante la neurogenesi postnatale; l’eliminazione, in parte casuale, di metà dei neuroni durante lo sviluppo, per cui si formano per così dire due cervelli di cui uno scompare; la casualità del funzionamento dei meccanismi nervosi, a partire dalle sinapsi, di cui il 70% è inattivo senza criterio apprezzabile della selezione; l’antagonismo fra vari meccanismi nervosi della coscienza, per cui solo un’informazione per volta diviene contenuto dell’autocoscienza, senza alcun criterio di valore o d’urgenza; il deficit cronico di energia distribuita a caso fra i meccanismi nervosi; l’asimmetria funzionale e strutturale degli emisferi cerebrali per cui nel comportamento talora prevale il destro dell’affettività sul sinistro della razionalità e viceversa; questi sono alcuni dei meccanismi cerebrali che determinano i contenuti della mente e il comportamento, nella completa incoscienza[15].

In Italia si è ripetuta ultimamente una vicenda terribile: genitori hanno dimenticato i figli piccoli in automobile sotto il sole estivo per alcune ore e, tranne il caso in cui il bambino fu sentito e visto in tempo da un passante, li hanno trovati morti per colpi di calore e per disidratazione. Un padre aveva in mente di ritirare qualcosa dall’ufficio e di ritornare subito. Aveva trovato una mole inattesa di lavoro urgente che aveva assorbito la sua attenzione per cinque ore. L’altro padre era abituato a portare il figlio all’asilo andando al lavoro. Quella mattina, assorto nei problemi che l’attendevano, era andato in ufficio senza passare dall’asilo ed aveva dimenticato il bambino fino alla pausa di mezzogiorno. Si tratta di padri affettuosi e premurosi. La tremenda coincidenza d’eventi nervosi casuali ha portato i meccanismi del cervello a determinare un comportamento sul quale la volontà non può nulla perché anch’essa è il prodotto di un meccanismo nervoso che, in quel momento, non era in grado di agire altrimenti.

Una delle cause del funzionamento casuale del cervello è l’insufficienza d’energia, che non può alimentare contemporaneamente tutti i meccanismi della coscienza e della memoria. Un compito prevale sugli altri e diventa temporaneamente il contenuto unico della coscienza. Il pensiero dei figli in automobile sotto il sole dovrebbe avere prevalenza assoluta: ma attenzione e memoria possono essere inattive se l’energia è impiegata in altri meccanismi.

La spiegazione del comportamento, altrimenti inconcepibile, degli sventurati genitori fornita della scienza, secondo il concetto della Global Work Space Theory del cervello cognitivo, cui contribuiscono i maggiori centri di ricerca, è chiara, ragionevole, fondata ed attendibile[16]. Essa aiuta i genitori ad interpretare un orrore della natura di cui tutti sono vittime e nessuno è colpevole e responsabile, e dovrebbe orientare i giudici a prendere (com’è, purtroppo, avvenuto solo in parte) la decisione giusta.

Un giovane di Oslo ha massacrato a fucilate 77 giovani ascoltando musica, per evitare l’islamizzazione dell’Europa. Si è rammaricato di non averne ucciso 120, perché solo allora avrebbe raggiunto lo scopo. Il suo comportamento è un evento disastroso della natura, come un terremoto. Quel cervello non è un’eccezione. Massacri e genocidi sono stati e sono compiuti da milioni di cervelli di milizie, eserciti e d’interi popoli ovunque e in tutti i tempi. Basti pensare alle fosse comuni colme di cadaveri che si sono scoperte e si scoprono in ogni parte del mondo. L’etica naturale, dopo una lunga evoluzione, soprattutto grazie alla neuroplasticità che modifica la corteccia cerebrale secondo l’esperienza, e quindi in seguito all’insegnamento, la cultura, l’ambiente in cui si cresce e si vive, consente la convivenza e la solidarietà, ma non è stata e non è in grado di fermare il male che gli uomini (i loro cervelli) fanno agli altri e a sé stessi con una crudeltà unica nella natura.

Responsabilità? La società ha il diritto e la necessità di difendersi da atti e intenzioni che minacciano la convivenza, ma non considerandoli colpe d’anime perverse, bensì atti casuali di una macchina. La morale è imposta da meccanismi prevalentemente razionali che in quei cervelli non sono sviluppati e attivi. La pratica giuridica, verosimilmente, non sarebbe sostanzialmente diversa da quella attuale, solo che non si parlerebbe più di responsabilità, ma di pericolosità sociale a causa di meccanismi cerebrali, dai quali è lecito e necessario proteggersi.

L’etica naturale, dopo una lunga evoluzione, soprattutto grazie alla neuroplasticità che modifica la corteccia cerebrale secondo l’esperienza, e quindi in seguito all’insegnamento, la cultura, l’ambiente in cui si cresce e si vive, consente la convivenza e la solidarietà, ma non è stata e non è in grado di fermare il male che gli uomini (i loro cervelli) fanno agli altri e a sé stessi con una crudeltà unica nella natura

Qual è il ruolo ricoperto dall’aggressività nell’evoluzione della specie, e quali sono le possibili determinanti genetiche del comportamento aggressivo? La morale ha un fondamento biologico?

Nell’arca di Noè prede e predatori vissero pacificamente uno accanto all’altro. Poi le cose cambiarono. Se non ci si lascia affascinare dalla bellezza di un paesaggio e si esplora ciò che avviene dietro le quinte, si scopre una lotta ininterrotta e spietata per prevalere e sopravvivere di tutti contro tutti gli altri, dagli esseri monocellulari a quelli complessi. Tutti, in natura, vogliono essere il numero uno[17].

Charles Darwin ha scoperto che ad ogni passo, anche minimo, dell’evoluzione, che è la legge della natura vivente, chi prevale impone ai perdenti sofferenza e morte. La crudeltà immensa della natura animale, che non conosce leggi morali, ha scritto lo scienziato, filosofo e profondo credente Carl Friedrich von Weizsäcker, ci pone di fronte un’immagine di Dio che potrebbe farci impazzire[18]. La causa di morte più frequente nel regno animale (esseri umani esclusi) è di morire mangiati. La vita degli animali carnivori scorre fra la caccia per nutrire sé e la prole e lo star in guardia per non finire fra i denti di un animale più forte. Nutrirsi, moltiplicarsi e divorarsi è la legge della loro vita.

Il destino dell’uomo è diverso da quando i lobi prefrontali del cervello lo hanno dotato di autocoscienza, cioè della capacità di porre sé stesso ad oggetto della propria riflessione, e lo hanno imposto come dominatore. Non è mangiato dagli animali, e ne mangia, cioè ne uccide, quantità enormi. La carne è un cibo pregiato. Dall’appetito dell’uomo non si salvano mammiferi, rettili, pesci e insetti. L’uomo prevale (tranne che su virus, batteri e altri microorganismi, contro i quali la lotta sembra non aver fine)[19] e il maiale diventa gustoso prosciutto. Quando viaggiamo accanto ad un autocarro pieno di maiali, i loro occhi confusi e impauriti che guardano fuori attraverso le lamelle, non ricordano, involontariamente, dice Richard Dawkins, i vagoni che trasportavano i prigionieri a Belsen?[20] Il prodotto della selezione naturale, scrive Dawkins, cioè la vita in tutte le sue forme, è bellissimo e vario. Ma il processo della selezione è crudele, violento e poco lungimirante. Dal processo è emerso l’uomo, che conserva nelle sue radici la traccia indelebile di quell’inferno, con un’ampia, in parte oscura, continuità col resto del mondo animale[21].

Abbiamo ereditato dagli antenati, con modificazioni più o meno evidenti, ossa, occhi, orecchie ed estremità, paure e desideri. Non ci sono ragioni, dice Dawkins[22], perché lo stesso criterio non lo si debba applicare alle nostre facoltà mentali superiori, all’arte, alla morale, al naturale senso di giustizia: anche queste manifestazioni d’alta umanità portano lo stampo delle nostre origini[23].

Abbiamo ereditato dagli antenati, con modificazioni più o meno evidenti, ossa, occhi, orecchie ed estremità, paure e desideri. Non ci sono ragioni perché lo stesso criterio non lo si debba applicare alle nostre facoltà mentali superiori

Ed anche gli aspetti negativi della nostra specie: l’aggressività, soprattutto, che ha portato l’umanità ai limiti dell’autodistruzione. Aggravata dal fatto che essa si basa non solo sugli organi dell’affettività ma anche su quelli della razionalità. Senza una logica ferrea, e orribile, i massacri così frequenti nella storia non sarebbero stati possibili.

Gli organi che fanno dell’uomo l’unico essere vivente capace di crudeltà, cioè di gioire alla sofferenza degli altri, sono il sistema limbico delle emozioni e dell’affettività (un tempo chiamato il “cervello del serpente”), antico e per questo ben strutturato organo bilaterale connesso a tutte le aree corticali e sottocorticali, e i lobi prefrontali dell’autocoscienza e della razionalità. Il loro effetto è doppio: da un lato hanno dotato l’uomo d’autocoscienza e razionalità, e quindi del senso morale che, come diceva Kant, sentiamo dentro di noi e senza il quale la convivenza non sarebbe possibile, dall’altro conferiscono agli istinti e alle pulsioni del sistema limbico la congruenza e la struttura alla base della ferocia unica in natura.

L’aggressività umana è comune al mondo animale, antica quanto la vita. La razionalità la limita e l’attenua, ma non è riuscita e mai riuscirà ad estirparla perché con essa l’umanità perderebbe la forza biologica che la rende dominante. La storia è contemporaneamente una sequenza di progresso, altruismo, cultura, insegnamento, generosità, buone regole e maniere, empatia per le sofferenze altrui, e una sequela di orrori mostruosi, che contraddicono tutto quanto il senso morale suggerisce all’uomo. Le stesse persone, nel corso della vita, sono capaci di entrambi gli atteggiamenti. Il senso morale è elaborato da particolari meccanismi cerebrali di cui, analogamente a quelli dell’aggressività e violenza, è possibile tracciare la storia evolutiva[24].

La storia è contemporaneamente una sequenza di progresso, altruismo, cultura, insegnamento, generosità, buone regole e maniere, empatia per le sofferenze altrui, e una sequela di orrori mostruosi, che contraddicono tutto quanto il senso morale suggerisce all’uomo

Quali conclusioni, necessariamente provvisorie, si sente di trarre da tutto ciò?

La visione naturalistica del comportamento, che ritiene di provare che esso è determinato dai meccanismi cerebrali, e che lo spiega adeguatamente nel male e nel bene, pone il problema della responsabilità giuridica.

Nel 2005 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha proibito condanne a morte di colpevoli sotto i 18 anni, riferendosi esplicitamente a ricerche di neuroscienza secondo le quali il cervello, in particolare la corteccia frontale, fino a quell’età non è in grado di controllare adeguatamente impulsi ed emozioni. Inoltre il cervello dell’adolescente è ancora in grado di maturare e quindi di cambiare in meglio. Il suo cervello non è colpevole come quello di un adulto. Ciò corrispondeva ad una raccomandazione dell’APA (American Psychological Association), alla quale fu obiettato, con sarcasmo, che anni prima aveva dichiarato le menti delle adolescenti sufficientemente mature per decidere sull’aborto.

Un altro criterio, nelle corti degli Stati Uniti, per decidere della condanna a morte è il QI, il quoziente d’intelligenza; se è sotto 70 la persona non è condannabile perché incapace di giudicare quel che faceva. Qualcuno ironizza con amarezza che solo gli intelligenti possono essere uccisi[25]. L’inconsistenza concettuale e scientifica di simili criteri porta a confusione e a scontri senza fondamento. Noi siamo ciò che il cervello ci fa essere, in ogni età e in ogni condizione. Questa realtà è lineare, scoperta e corroborata dalle neuroscienze oggi, e da sempre fondamento del comportamento umano nel bene e nel male. Essa dovrebbe essere la base della giustizia penale, perché è l’unica reale. È uno dei problemi più ardui che la cultura dovrà affrontare nei prossimi decenni[26].

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[1] Riportato da S. Amsterdamski, Libertà/Necessità, in Enciclopedia Einaudi, Vol. 8, Einaudi, 1979, p. 229.

[2] K. Evers, The contribution of neuroethics to international brain research initiatives, in Nature Review Neurosciences, 18, 2017, pp. 1 ss.

[3] H. Atlan, Libertà condizionata. Neuroscienze e vita morale, EDB, 2017, p. 69.

[4] R. Sapolsky, Behave. The Biology of Humans at Our Best and Worst, Bodley Head, 2017, p. 5.

[5] R. Dawkins, Science in the Soul, Bantam Press, 2017, pp. 252 ss.

[6] Riportato da L. Randall, L’universo invisibile, Il Saggiatore, 2015, p. 253.

[7] M. Hallett, Physiology of psychogenic movement disorders, in Journal of Clinical Neurosciences, 17,  2010, pp. 959 ss.

[8] C. Siong Soon, M. Brass, H.J. Heinze, J.D. Haynes, Unconscious determinants of free decisions in the human brain, in Nature Neuroscience, 11, 2008, pp. 543 ss. I dati sono stati più volte confermati.

[9] S. Dehaene, Coscienza e cervello Come i neuroni codificano il pensiero, Cortina, 2014, pp. 207 ss.

[10] R. Dawkins, Science in the Soul, cit., p. 215.

[11] M.J. Farath, Emerging ethical issues in neuroscience, in Nature Neuroscience, 5, 2002, pp. 1123 ss.; J. Illes, M.P. Kirschen, J.D.E. Gabriell, From neuroimaging to neuroethics, in Id., 6, 2003, pp. 205 ss.

[12] Editorial, In search of self, in Nature Neuroscience, 5, 2002, p. 1099.

[13] H. Atlan, Libertà condizionata, cit., p. 38.

[14] Editorial, Does neuroscience threaten human values?, in Nature Neuroscience, 1, 1998, pp. 535 ss.

[15] A. Benini, La coscienza imperfetta. Le neuroscienze e il significato della vita, Garzanti, 2012; P. Thagard, Il cervello e il senso della vita, Mondadori, 2014.

[16] B.J. Baars, N.M. Gage, Cognition, Brain and Consciousness Introduction to Cognitive Neuroscience, Elsevier Amsterdam, 2007; A. Benini, La coscienza imperfetta, cit.

[17] H.A. Orr, The Biology of Being Good to Others, in New York Review of Books, March 19, 2015.

[18] C.F.V. Weizsäcker, Deutlichkeit. Beiträge zu politischen und religiösen Gegenwartsfragen, Carl Hanser Verlag, 1978, pp. 155 ss.

[19] R. Dawkins, The Magic of Reality How we know what’s really true, Bantam Press, 2012, pp. 216 ss.

[20] R. Dawkins, Science in the Soul, cit., pp. 34 e 66.

[21] F. de Waal, Human nature, in Science, 356, 6344, 2017, pp. 1239 ss.

[22] R. Dawkins, Science in the Soul, cit., pp. 42 ss.

[23] D.S. Wilson, Does Altruism Exist? Culture, Genes, and the Welfare of Others, Yale University Press/Templeton Press, 2015; M. Andersson-P. Waldeck, et al. Female sociality and kin discrimination in brood parasitism: unrelated females fight over egg laying, Behavioral Ecology, February 25, 2015.

[24] D.S. Wilson, Does Altruism Exist? Culture, Genes, and the Welfare of Others, Yale University Press/Templeton Press, 2015; M. Andersson, P. Waldeck, et al. Female sociality and kin discrimination in brood parasitism: unrelated females fight over egg laying, in Behavioral Ecology, 26, 3, 2015, pp. 755 ss.

[25] S. Reardon, Science in court: Smart enough to die?, in Nature, 506, 2014, pp. 284 ss.; cfr. Inoltre, R. Sapolsky Behave. The Biology of Humans, cit., pp. 580 ss.

[26] A partire dal 2014 la rivista Nature Review Neuroscience pubblica, nella rubrica Neuroscience and Law, saggi su problemi giuridici posti dalle neuroscienze cognitive e rapporti dalle corti di giustizia degli Stati Uniti d’America.

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