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10.07.2019
Antonio Cerasa

Non è colpa mia e lo dimostrerò

Essere rinchiuso per oltre 20 anni in carcere a causa di un errore giudiziario. L’incredibile storia di Angelo Massaro e delle sue capacità di Resilienza.

Fascicolo 7-8/2019

«Ognuno ha dentro di sé una forza, per essere resiliente bisogna trovarla,
con delle motivazioni, non lasciarsi mai abbattere,
studiare per combattere, perché con la conoscenza si trova la forza».
 
Angelo Massaro – Fragagnano (TA), 23 giugno 2019

Abstract. Dalla storia di Angelo Massaro e dei suoi 20 anni spesi in carcere per un errore giudiziario nasce questo contributo, che ha lo scopo di indagare quali i sono meccanismi neurofisiologici che si associano al fenomeno della resilienza, l’incredibile capacità umana di reagire alle avversità della vita attraverso il cambiamento dei processi cognitivi alla base del pensiero emotivo[1].

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’incipit: seminare l’idea. – 3. La speranza. – 4. La resilienza. – 5. La fine della storia.

1. Premessa.

Angelo Massaro è un ragazzo pugliese che nel 1996 fu arrestato e condannato per un omicidio avvenuto a San Giorgio Jonico il 10 ottobre 1995. Dal primo giorno in cui entrò nel carcere di Taranto, Angelo Massaro ha sempre urlato la sua totale estraneità dai fatti perché, a suo dire, erano stati commessi degli errori nelle indagini. Nessuno, però, gli credeva, soprattutto i giudici che lo hanno sempre condannato nei tre gradi di giudizio.

Mentre si trovava ristretto in carcere, chiese ed ottenne dalla Corte di Cassazione la revisione del processo, alla quale fece seguito, nel febbraio del 2017, la sentenza di assoluzione della Corte d’appello di Catanzaro per non aver commesso il fatto. La storia completa di quest’uomo[2] ha fatto il giro del mondo, anche perché sta cavalcando l’onda mediatica dell’opinione pubblica contro gli errori giudiziari[3].

Uno degli aspetti che più colpiscono della storia di Angelo è, però, la sua tenacia nel credere e nell’affermare fermamente la sua innocenza, mostrando di rimanere mentalmente integro per tutta la durata del processo e per tutto il tempo della sua permanenza in carcere, vale a dire per 21 anni. La maggior parte delle persone sarebbe crollata e forse, addirittura, morta in una situazione del genere, ma Angelo Massaro no. Questo stesso atteggiamento è alla base della sua decisione di dedicarsi, durante l’esecuzione della pena, a studiare Legge e poi di scrivere di suo pugno la richiesta di revisione del processo, che alla fine lo ha condotto alla libertà.

Ma come può la mente di un uomo riuscire a trovare tali risorse e strategie per riuscire a superare tutti gli ostacoli che, in situazioni come quella di Angelo Massaro, si annidano sia dentro (la cieca rabbia che il pensiero annebbia) che fuori di sé (lo stress causato da un ambiente come quello carcerario)?

Per trovare una risposta, prenderemo spunto proprio dalla storia di Angelo e cercheremo di capire come egli è riuscito nel suo intento, partendo dall’inizio (dall’idea), per vedere come questa possa crescere in un terreno fertile (la speranza) alimentato da una fonte sicura (la resilienza).

2. L’incipit: seminare l’idea.

In uno dei suoi numerosi interventi pubblici, Peter Pringle, protagonista di uno dei casi più famosi a livello mondiale di errore giudiziario[4], ha confessato che la prima cosa che ha fatto appena uscito dal carcere è stata quella di abbracciare un grande albero vicino casa sua. In quel momento entrò in totale comunione con quella pianta con cui condivideva una fondamentale caratteristica: le lunghe e solide radici. La sua idea di innocenza aveva la stessa forma delle radici di quell’albero (figura 1).

Fig. 1 – Le radici dell’albero resistono a tutte le intemperie

Credere fermamente in qualcosa produce a livello neuronale un fondamentale cambiamento che viene (in parte) spiegato da una interessante teoria, chiamata the embodiment of language[5]. Questa teoria nasce dall’humus culturale creatosi negli anni ‘90 grazie alla scoperta dei mirror neurons[6]

In generale, le rappresentazioni semantiche sono entità mentali di natura astratta, diverse dall’espressione di verbi motori («colpisci!», «taglia!») che innescano una più immediata comprensione. Mentre le prime sono decodificate ed elaborate all’interno del sistema linguistico, i verbi di natura motoria seguono un altro percorso[7]. Le rivoluzionarie teorie sull’embodiment of language hanno dimostrato che la corteccia sensoriale e la corteccia motoria primaria sono coinvolte in modo cruciale nella cognizione delle parole[8]. In particolare, la teoria afferma che la comprensione del linguaggio si basa su prove di esperienze sensoriali e motorie relative al significato specifico che il linguaggio porta con sé. Quindi, se io penso alla parola «taglia» o «colpisci», queste innescano l’attività dell’area motoria che corrisponde al controllo della mano, esattamente come se stessi realmente facendo il gesto di tagliare o colpire. Anche determinate parole o espressioni linguistiche astratte, ma che nascondono un profondo significato emotivo per la persona («io sono innocente»!), mostrano le stesse qualità[9].

Quindi, ciò che la teoria dell’embodiment of language ci suggerisce è che alcune idee hanno una valenza neurobiologica tale che vengono inserite in un network che va oltre la semplice interpretazione semantica-linguistica, diventando sensazione viva sul proprio corpo.

Alcune idee hanno una valenza neurobiologica tale che vengono inserite in un network che va oltre la semplice interpretazione semantica-linguistica, diventando sensazione viva sul proprio corpo

3. La speranza.

D’altra parte, l’idea da sola non basta. Come un seme, essa ha bisogno di un terreno fertile in cui crescere. Questo terreno ha un nome particolare, che si chiama speranza.

La speranza si presenta come un concetto astratto, che però nasconde un potere enorme, a livello biologico, sul corpo umano. Come afferma il famoso professore e scienziato Fabrizio Benedetti, «la speranza è un vero e proprio farmaco»[01], a volte anche più potente degli stessi farmaci tradizionali.

Cognitivamente parlando, sperare significa spostare il “focus” attentivo ed emotivo verso l’idea di un bene futuro, aspettando di ricevere in dono qualcosa di desiderato[11]. Se la mente ha fecondato l’idea (come abbiamo visto nel paragrafo precedente), la speranza è la sua placenta, il suo involucro, che la protegge dagli attacchi provenienti dall’esterno.

Chi sta leggendo in questo momento queste righe probabilmente non sta “empatizzando” o “sentendo sul proprio corpo” il concetto di speranza. Forse perché troppo impegnato nel fare altro, forse perché ci sono troppi distrattori intorno o forse semplicemente per ragioni di stanchezza. A questo proposito, un esempio di applicazione concreta della teoria dell’embodiment of language, è proprio quello che consente di “sentire”, appunto sul proprio corpo, il senso della parola speranza. Propongo qui un breve esercizio di memoria.

Immaginate la storia di un bambino che non ha la possibilità di vedere il proprio padre, perché qualcuno o qualcosa glielo impedisce. Il bambino, però, crede fermamente che il padre gli voglia bene e che, prima o poi, lo riabbraccerà. Credere nell’affetto del padre è l’idea, mentre la speranza è innescata proprio dall’immagine mentale dell’abbraccio e dalla sensazione di benessere che ne conseguirebbe.

Immaginiamo ora che questo bambino viva in un ambiente fatto di persone che cercano continuamente di annientare la sua idea e la sua speranza («vedrai che tuo padre non tornerà più», «tuo padre non ti pensa più, sono passati troppi anni», «non lo riabbraccerai più»). Se provassimo ad entrare nella mente del bambino e a sentire cosa queste frasi siano in grado di produrre sul suo corpo, potremmo immaginare la presenza di una serie di sensazioni fisiche – lo stomaco indurito, l’intestino e i polmoni costretti e la gola chiusa; i classici segni di soffocamento –. Questo è un esempio di ciò che può provare una persona quando qualcuno tenta di distruggere la sua idea. Dolore!

Questo è anche quello che provava ogni volta Angelo Massaro quando qualcuno o qualcosa minacciava la sua speranza (figura 2).

Fig. 2 – La Speranza è il terreno su cui far germogliare il seme delle idee

Quello che il professor Benedetti e altri[12] hanno dimostrato in questi anni è che la speranza si traduce da interpretazione di un concetto astratto linguistico a un sistema di controllo neurale che parte dalla corteccia prefrontale dorsale, passa per il cingolo anteriore e la corteccia orbitofrontale e finisce sul nucleo accumbens. Stiamo parlando del sistema del reward, cioè di quell’insieme di aree che attivandosi ad una determinata frequenza riescono ad auto-indurre il rilascio di dopamina, fondamentale per produrre la sensazione del piacere, e soprattutto di endorfine nel sangue, che hanno il compito di ridurre la percezione del dolore. L’interpretazione di un concetto così astratto come quello di speranza ha un tale potere biologico che è capace di far sparire (per brevi periodi) alcuni dei sintomi cardine di una malattia neurologica come il Parkinson, cioè una malattia neurodegenerativa incurabile[13].

Chi ha speranza nella propria idea, può arrivare talvolta a non sentire dolore ed è tendenzialmente più felice. Questa sensazione si autoalimenta in maniera circolare ogni volta che nella mente viene richiamata l’immagine “madre”, quella che nutre e alimenta l’idea (figura 3).

Fig. 3 – Il rapporto tra Idea e Speranza

4. La resilienza.

Uno degli elementi che contraddistinguono la storia di Angelo Massaro – e che lo accomunano a Peter Pringle – è l’incontro con la meditazione. Angelo descrive cosi gli effetti della meditazione: «mi aiutava a tenere la mente lucida e a non farmi sopraffare dai sentimenti negativi come la rabbia». Oltre alla meditazione, Angelo praticava anche molta attività fisica che gli permetteva di tenere un corpo sano e responsivo.

Meditazione e attività fisica fanno parte di un particolare percorso chiamato resilienza, che altro non è che un insieme di processi cognitivi che hanno lo scopo di condurre l’individuo verso il benessere psicofisico[14].  La resilienza agisce sulla mente attraverso quattro dimensioni base: fisica, emotiva, mentale e spirituale (figura 4).

Fig. 4 – Le 4 dimensioni della Resilienza. In quella fisica fanno parte le sottodimensioni: riposo, fitness, nutrizione. In quella emotiva fanno parte le sottodimensioni: regolazione, ottimismo e controllo degli impulsi. In quella mentale fanno parte le sottodimensioni: prospettive, pensiero focalizzato, controllo di se stessi. Infine, in quella spirituale fanno parte le sottodimensioni: empatia, valori e credenze

Il perseguire queste quattro dimensioni favorisce fenomeni di plasticità cerebrale adattiva[15] e, inoltre, rallenta l’invecchiamento cerebrale contrastando l’insorgenza di malattie neurodegenerative e di psicosi[16].

Uno dei meccanismi neurobiologici più importanti indotti dai processi cognitivi stimolati dalle tecniche di resilienza riguarda la produzione di neurotrofine. È stato dimostrato[17], infatti, sia in modelli animali che sull’uomo, che le tecniche di resilienza facilitano il rilascio del Brain Derived Neurotrofic Factor a livello cerebrale (BDNF)[18]. Questo meccanismo permetterebbe la creazione di nuove sinapsi e quindi di nuova plasticità cerebrale fondamentale per scolpire nuovi network o strutture neurali che servono per fronteggiare (cognitivamente) lo stress indotto dall’ambiente esterno. La capacità di creare nuove strategie, nuovi pensieri riguardo un evento stressante, biologicamente si poggia proprio sulla possibilità di creare nuove strutture neurali grazie alle neurotrofine.

Una delle tecniche più famose per sviluppare le capacità di resilienza è la mindfulness[19], una pratica di meditazione volta a focalizzare l’attenzione del soggetto sul “presente”, escludendo qualsiasi tipo di giudizio. Questo metodo permette, a chi lo pratica, di spostare l’attenzione (il focusing di cui parla David Goleman)[20] dai pensieri negativi al “qui ed ora”, consentendo all’individuo di prendere coscienza della realtà sensoriale circostante al fine di calmarlo ed allontanarlo da riflessioni rigide e limitanti. L’obiettivo è di rendere cosciente il soggetto del fatto che la realtà a cui bisogna dar conto non è quella che origina dai nostri pensieri, ma quella che possiamo esperire dai nostri organi di senso.

Anche se da queste definizioni potrebbe trasparire l’idea di una tecnica astratta e poco concreta, la mindfulness prevede invece protocolli di trattamento estremamente precisi e rigidi. Le neuroscienze, negli ultimi 10 anni, si sono fortemente occupate del fenomeno facendo scoperte sensazionali[21]. A cominciare dai dati sulla riduzione significativa dei livelli di cortisolo nel sangue, sul miglioramento nel funzionamento del sistema immunitario e sulla diminuzione dei sintomi di fatica, depressione e dolore, la mindfulness è una pratica così potente che, a lungo termine, è in grado di produrre fenomeni di plasticità neurale[22] a carico di numerose strutture del sistema limbico tra cui spiccano due aree: la corteccia orbitofrontale e l’amigdada.

Un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista JAMA Psychiatry ha dimostrato gli effetti della resilienza in vivo sul cervello di decine di adolescenti[23]. In questo studio longitudinale condotto dall’Università di Stanford, i ricercatori hanno seguito per oltre 13 anni 65 adolescenti di sesso femminile: 20 erano considerate ad alto rischio di depressione, non accompagnato dallo sviluppo della malattia (resilients), altre 20 erano anch’esse ritenute ad alto rischio, con effettiva manifestazione della depressione (converted) e 25, invece, erano soggetti a basso rischio senza storia di psicopatologia (control). Andando ad indagare la connettività cerebrale in diversi network coinvolti nella regolazione emotiva e l’associazione con gli eventi di vita, il sottogruppo resilients ha mostrato una maggiore connettività tra l’amigdala (che serve per l’elaborazione primaria e inconscia di stimoli a carattere emotivo) e la corteccia orbitofrontale (che serve per filtrare queste elaborazioni verso le altre cortecce associative, modulandone l’intensità).

Questa tipologia di studi dimostra come l’innesco di meccanismi psicologici di resilienza produca miglioramenti a livello comportamentale che si manifestano anche grazie a qualcosa di tangibile e oggettivo, rappresentato dalle modifiche organiche del nostro sistema nervoso centrale. Cambiamenti che risultano altresì duraturi e a lungo termine.

5. La fine della storia.

Ogni evento in natura ha un inizio e una fine, e anche le storie come quella di Angelo Massaro possono avere un lieto fine.

È possibile dare anche ad altri detenuti un finale simile? A prescindere dalla colpevolezza o meno, dagli errori che si fanno o dalle debolezze umane, come possiamo alimentare le capacità di resilienza in un ambiente difficile e neurofisiologicamente deprivante come il carcere[24]?

Abbiamo fatto questa domanda al Dottor Claudio Gagliardi, che da oltre 15 anni lavora come psicologo presso gli Istituti Penitenziari ed è stato il terapeuta di Angelo Massaro per diverso tempo. Ci ha confidato che il lavoro quotidiano di uno psicoterapeuta all’interno di un carcere è estremamente complesso. Il problema più frequente è lavorare con persone che si sono macchiate di reati contro le persone o le cose. Nella maggior parte dei detenuti si riscontra infatti una radicata percezione di disvalore di se stessi e delle proprie capacità (percezione che rappresenta il terreno su cui spesso germoglia il comportamento delinquenziale).

Come possiamo alimentare le capacità di resilienza in un ambiente difficile e neurofisiologicamente deprivante come il carcere?

Uno psicologo in carcere dovrebbe cercare di lavorare in particolare sulla speranza, suscitando nei pazienti idee e immagini mentali positive. Poter dimostrare di essere diversi, di avere un valore per se stessi e per gli altri, di essere utili, di saper fare qualcosa; tutto questo rappresenta, a mio avviso, il meccanismo primario da cui occorre partire per intraprendere un percorso di recupero. Studiare in carcere, lavorare in carcere, fare teatro in carcere o più semplicemente aiutare un detenuto più debole, sono tutte attività che possono alimentare i meccanismi di resilienza utili a far attecchire l’idea che «non è colpa mia e lo dimostrerò».

Bibliografia.

M. Allen, M. Dietz, K.S. Blair, M. van Beek, G. Rees, P. Vestergaard-Poulsen, A. Lutz, A. Roepstorff, Cognitive-affective neural plasticity following active-controlled mindfulness intervention, in J Neurosci, 32(44), 2012, pp. 15601 ss.;

S. Arcieri, Intervista a Giacomo Rizzolatti, in questa rivista, 29 maggio 2019;

G. Barbagallo, R. Nisticò, B. Vescio, A. Cerasa, G. Olivadese, S. Nigro, M. Crasà, A. Quattrone, M.G. Bianco, M. Morelli, A. Augimeri, M. Salsone, F. Novellino, G. Nicoletti, G. Arabia, The placebo effect on resting tremor in Parkinson’s disease: an electrophysiological study, in Parkinsonism Relat Disord., 52, 2018, pp. 17 ss.;

L.W. Barsalou, W. Kyle Simmons, A.K. Barbey, C.D. Wilson, Grounding conceptual knowledge in modality-specific systems, in Trends in Cognitive Sciences, 7(2), 2003, pp. 84 ss.;

F. Benedetti, Placebo effects: from the neurobiological paradigm to translational implications, in Neuron, 5;84(3), 2014, pp. 623 ss.;

F. Benedetti, La Speranza è un Farmaco, Come le parole possono guarire il corpo, Mondadori Editore, 2018;

F. Benedetti, E. Carlino, A. Piedimonte, Increasing uncertainty in CNS clinical trials: the role of placebo, nocebo, and Hawthorne effects, in Lancet Neurol., 15(7), 2016, pp. 736 ss.;

A. Cerasa, La plasticità della mente come mezzo di cambiamento interiore, in questa rivista, 2 aprile 2019;

A. Cerasa, Solo con la mia mente, in questa rivista, 29 maggio 2019;

A. Cerasa, Diversamente sano: Liberi di essere folli, Hoepli Editore, 2018;

F.R. Dreyer, F. Pulvermüller, Abstract semantics in the motor system? – An event-related fMRI study on passive reading of semantic word categories carrying abstract emotional and mental meaning, in Cortex, 100, 2018, pp. 52 ss.;

A.S. Fischer, M.C. Camacho, T.C. Ho, S. Whitfield-Gabrieli, I.H. Gotlib, Neural Markers of Resilience in Adolescent Females at Familial Risk for Major Depressive Disorder, in JAMA Psychiatry, 75(5), 2018, pp. 493 ss.;

K.C. Fox, S. Nijeboer, M.L. Dixon, J.L. Floman, M. Ellamil, S.P. Rumak, P. Sedlmeier, K. Christoff, Is meditation associated with altered brain structure? A systematic review and meta-analysis of morphometric neuroimaging in meditation practitioners, in Neurosci Biobehav Rev., 43, 2014, pp. 48 ss.;

T.B. Franklin, B.J. Saab, I.M. Mansuy. Neural mechanisms of stress resilience and vulnerability, in Neuron, 75, 2012, pp. 747 ss.;

V. Gallese, G. Lakoff, The Brain׳s concepts: the role of the sensory-motor system in conceptual knowledge, in Cognitive Neuropsychology, 22(3), 2205, pp. 455 ss.;

D. Goleman, Come mantenersi concentrati nell’era della distrazione, Bur Editore, 2014;

B.S.  McEwen, In pursuit of resilience: stress, epigenetics, and brain plasticity, in Ann N Y Acad Sci., 1373(1), 2016, pp. 56 ss.;

B.S. McEwen, N.P. Bowles, J.D. Gray, M.N. Hill, R.G. Hunter, I,N. Karatsoreos, C. Nasca, Mechanisms of stress in the brain, in Nat Neurosci., 18(10), 2015, pp. 1353 ss.;

R. Nisticò, A. Cerasa, G. Olivadese, et al., The embodiment of language in tremor dominant Parkinson’s disease patients, in Brain & Cogn, 2019 (in revisione);

Z.W. Pylyshyn, Computation and cognition: towards a foundation for cognitive science, MIT Press, 1984;

A. Quattrone, G. Barbagallo, A. Cerasa, A.J. Stoessl, Neurobiology of placebo effect in Parkinson’s disease: What we have learned and where we are going, in Mov Disord., 33(8), 2018, pp. 1213 ss.;

L. Shi, J. Sun, D. Wei, J. Qiu, Recover from the adversity: functional connectivity basis of psychological resilience, in Neuropsychologia, 122, 2019, pp. 20 ss.;

P. Trabucchi, Tecniche di resistenza interiore. Sopravvivere alle crisi con la resilienza, Mondadori Editore, 2016;

F. Zeidan, K.T. Martucci, R.A. Kraft, J.G. McHaffie, R.C. Coghill, Neural correlates of mindfulness meditation-related anxiety relief, in Soc Cogn Affect Neurosci, 9(6), 2014, pp. 751 ss.

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[1] Questo contributo prende spunto dall’intervista concessa all’Autore da Angelo Massaro il 23 giugno 2019.

[2] Per i dettagli della vicenda processuale che ha coinvolto Angelo Massaro, vi invitiamo a consultare il suo blog Urla dal silenzio, e la sua iniziativa sugli errori processuali, oltre alle numerose notizie di stampa, tra cui La storia di Angelo Massaro, condannato innocente per due volte, in Il Post, 24 febbraio 2017; C. Vulpio, La storia di Angelo Massaro, in cella 21 anni da innocente: «Salvato da studio e yoga», in Corriere.it, 24 febbraio 2017.

[3] Si veda, a tal proposito, alcune recenti notizie di stampa tra cui, ad esempio, Amanda Knox ascolta vittime di errori giudiziari e piange, in Ansa.it, 15 giugno 2019.

[4] C. Ryan, Surviving Ireland’s death row, in Irishexaminer.com, 4 novembre 2012.

[5] Letteralmente “incarnazione del linguaggio”.

[6] Per ulteriori approfondimenti leggere l’intervista per DPU rilasciata in materia dal Prof. Rizzolatti: cfr. S. Arcieri, Intervista a Giacomo Rizzolatti, in questa rivista, 29 maggio 2019.

[7] Z.W. Pylyshyn, Computation and cognition: towards a foundation for cognitive science, MIT Press, 1984.

[8] L.W. Barsalou, W. Kyle Simmons, A.K. Barbey, C.D. Wilson, Grounding conceptual knowledge in modality-specific systems, in Trends in Cognitive Sciences, 7(2), 2003, pp. 84 ss.; V. Gallese, G. Lakoff, The Brain׳s concepts: the role of the sensory-motor system in conceptual knowledge, in Cognitive Neuropsychology, 22(3), 2205, pp. 455 ss.; R. Nisticò, A. Cerasa, G. Olivadese, et al., The embodiment of language in tremor dominant Parkinson’s disease patients, in Brain & Cogn, 2019 (in revisione).

[9] F.R. Dreyer, F. Pulvermüller, Abstract semantics in the motor system? – An event-related fMRI study on passive reading of semantic word categories carrying abstract emotional and mental meaning, in Cortex, 100, 2018, pp. 52 ss.

[10] F. Benedetti, La Speranza è un Farmaco, Come le parole possono guarire il corpo, Mondadori Editore, 2018.

[11] In questo senso, si rinvia alla lettura del libro di un altro grande professore e scienziato internazionale, Daniel Goleman, dal titolo Focus. Come mantenersi concentrati nell’era della distrazione, Bur Editore, 2014.

[12] In medicina la speranza è chiamato effetto placebo. Alcuni degli articoli che dimostrano l’effetto clinico di questo tipo di trattamento sui pazienti con Malattia di Parkinson sono: F. Benedetti, E. Carlino, A. Piedimonte, Increasing uncertainty in CNS clinical trials: the role of placebo, nocebo, and Hawthorne effects, in Lancet Neurol., 15(7), 2016, pp. 736 ss.; F. Benedetti, Placebo effects: from the neurobiological paradigm to translational implications, in Neuron, 5;84(3), 2014, pp. 623 ss.;

[13] Altri contributi sull’effetto placebo (sulla speranza di guarire) nella malattia di Parkinson possono essere rintracciati in: A. Quattrone, G. Barbagallo, A. Cerasa, A.J. Stoessl, Neurobiology of placebo effect in Parkinson’s disease: What we have learned and where we are going, in Mov Disord., 33(8), 2018, pp. 1213 ss.; G. Barbagallo, R. Nisticò, B. Vescio, A. Cerasa, G. Olivadese, S. Nigro, M. Crasà, A. Quattrone, M.G. Bianco, M. Morelli, A. Augimeri, M. Salsone, F. Novellino, G. Nicoletti, G. Arabia, The placebo effect on resting tremor in Parkinson’s disease: an electrophysiological study, in Parkinsonism Relat Disord., 52, 2018, pp. 17 ss.

[14] P. Trabucchi, Tecniche di resistenza interiore. Sopravvivere alle crisi con la resilienza, Mondadori Editore, 2016; A. Cerasa, Diversamente sano: Liberi di essere folli, Hoepli Editore, 2018.

[15] Cioè la creazione di nuova materia cellulare all’interno del cervello come già riportato nell’articolo: A. Cerasa, La plasticità della mente come mezzo di cambiamento interiore, in questa rivista, 2 aprile 2019.

[16] B.S. McEwen, N.P. Bowles, J.D. Gray, M.N. Hill, R.G. Hunter, I,N. Karatsoreos, C. Nasca, Mechanisms of stress in the brain, in Nat Neurosci., 18(10), 2015, pp. 1353 ss.; L. Shi, J. Sun, D. Wei, J. Qiu, Recover from the adversity: functional connectivity basis of psychological resilience, in Neuropsychologia, 122, 2019, pp. 20 ss.

[17] T.B. Franklin, B.J. Saab, I.M. Mansuy. Neural mechanisms of stress resilience and vulnerability, in Neuron, 75, 2012, pp. 747 ss.

[18] Si tratta del 2° fattore di accrescimento nervoso per importanza dopo quello scoperto dalla Montalcini, il più famoso Neural Growth Factor (NGF).

[19] B.S.  McEwen, In pursuit of resilience: stress, epigenetics, and brain plasticity, in Ann N Y Acad Sci., 1373(1), 2016, pp. 56 ss.

[20] Ibidem.

[21] K.C. Fox, S. Nijeboer, M.L. Dixon, J.L. Floman, M. Ellamil, S.P. Rumak, P. Sedlmeier, K. Christoff, Is meditation associated with altered brain structure? A systematic review and meta-analysis of morphometric neuroimaging in meditation practitioners, in Neurosci Biobehav Rev., 43, 2014, pp. 48 ss.; F. Zeidan, K.T. Martucci, R.A. Kraft, J.G. McHaffie, R.C. Coghill, Neural correlates of mindfulness meditation-related anxiety relief, in Soc Cogn Affect Neurosci, 9(6), 2014, pp. 751 ss.

[22] M. Allen, M. Dietz, K.S. Blair, M. van Beek, G. Rees, P. Vestergaard-Poulsen, A. Lutz, A. Roepstorff, Cognitive-affective neural plasticity following active-controlled mindfulness intervention, in J Neurosci, 32(44), 2012, pp. 15601 ss.

[23] A.S. Fischer, M.C. Camacho, T.C. Ho, S. Whitfield-Gabrieli, I.H. Gotlib, Neural Markers of Resilience in Adolescent Females at Familial Risk for Major Depressive Disorder, in JAMA Psychiatry, 75(5), 2018, pp. 493 ss.

[24] Si veda il precedente contributo sugli effetti della prigionia a livello cerebrale: A. Cerasa, Solo con la mia mente, in questa rivista, 29 maggio 2019.

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