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02.04.2019
Wolf Singer

The manifesto

Present and future brain research according to eleven leading neuroscientists. What knowledge and possibilities for researchers in today’s brain?

by Hannah Monyer[1], Frank Rösler[2], Gerhard Roth[3], Henning Scheich[4], Wolf Singer[5], Christian E. Elger[6], Angela D. Friederici[7], Christof Koch[8], Heiko Luhmann[9], Christoph von der Malsburg[10], Randolf Menzel[11]

Issue 4/2019

We publish here, courtesy of the German Review Gehinr & Geist and of Prof. Wolf Singer, our full translation of the article Das Manifest” (“The Manifesto“) written  by eleven German neuroscientists, in 2004,  and published in the abovementioned Review (Gehirn & Geist, 6, 2004, pp. 30 ff.).

 

I grandi progressi fatti dalla ricerca sul cervello negli ultimi anni possono darci l’impressione che la nostra scienza sia sul punto di svelarne i segreti ancora nascosti. È necessario quindi fare una precisazione: sostanzialmente, la ricerca neurobiologica sul cervello si articola su tre livelli diversi. Il primo livello illustra la funzione delle grandi regioni cerebrali, ad esempio i compiti specifici di varie zone della corteccia, dell’amigdala o dei gangli basali. Il livello intermedio descrive quanto avviene all’interno dei raggruppamenti di centinaia o migliaia di cellule. L’ultimo livello si rivolge ai processi a livello di singole cellule o molecole. Finora, i progressi più significativi nella ricerca sul cervello hanno riguardato solo i livelli superiore e inferiore, ma non il livello intermedio.

Diversi metodi analitici consentono di osservare il livello organizzativo superiore del cervello: la diagnostica per immagini come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMRT), che rilevano il fabbisogno energetico delle regioni cerebrali, assicurano una buona risoluzione spaziale, nell’ordine dei millimetri. Da un punto di vista temporale, consentono di osservare i processi con almeno alcuni secondi di ritardo. Il classico elettroencefalogramma (EEG), invece, rileva l’attività elettrica dei raggruppamenti di cellule nervose quasi in tempo reale, ma non dà un’indicazione precisa del luogo in cui avviene. Leggermente migliore, nell’ordine dei centimetri, è la risoluzione spaziale della nuova magnetoencefalografia (MEG), che consente di visualizzare la variazione dei campi magnetici attorno ai raggruppamenti di cellule elettricamente attivi con una precisione al millesimo di secondo.

L’abbinamento di più tecnologie consente di rappresentare l’interazione fra diverse regioni cerebrali che ci permette di svolgere funzioni cognitive quali la comprensione del linguaggio, il riconoscimento delle immagini, la percezione dei suoni, l’elaborazione musicale, la pianificazione delle azioni, i processi della memoria e la percezione di emozioni. Ne consegue una suddivisione tematica del livello organizzativo superiore del cervello in aggregati funzionali.

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Lo sviluppo di metodologie completamente nuove, come la tecnica patch clamp, la microscopia fluorescente o il sistema di espressione in ovociti di xenopo, hanno determinato un balzo in avanti delle conoscenze anche in relazione al livello organizzativo neuronale inferiore. A questo punto, sappiamo molto di più sulla struttura della membrana delle cellule nervose cerebrali, dei recettori e dei canali ionici, sul loro funzionamento, sulla funzione dei neurotrasmettitori, dei neuropeptidi e dei neurormoni, sullo svolgimento dei processi dei segnali intracellulari o sull’insorgenza e sulla trasmissione degli stimoli neuronali. Anche ciò che avviene all’interno di un singolo neurone può essere analizzato con una risoluzione spazio-temporale elevata e simulato con modelli computerizzati. Ciò è fondamentale per la comprensione essenziale del funzionamento degli organi sensoriali e dei sistemi neurali, nonché per un trattamento mirato delle patologie neurologiche e psichiche.

Indubbiamente, oggi sappiamo molto di più sul cervello rispetto soltanto al decennio scorso. Tra le conoscenze relative ai livelli organizzativi superiore e inferiore del cervello permane tuttavia un’ampia lacuna di conoscenze. Sul livello intermedio, cioè su quanto accade all’interno dei piccoli e grandi raggruppamenti di cellule, che in sostanza sta alla base dei processi del livello superiore, si conosce incredibilmente poco. Anche in questo caso, comunque, esistono supposizioni plausibili su quali codici usino i singoli neuroni o piccoli raggruppamenti di cellule neurali per comunicare tra loro (con tutta probabilità vengono utilizzati contemporaneamente più codici). Totalmente ignoto resta ciò che accade quando centinaia di milioni o addirittura miliardi di cellule nervose “parlano” tra loro.

Continuiamo a non avere la minima idea di quali siano le regole in base alle quali il cervello opera, come si raffiguri il mondo in modo che percezione diretta ed esperienza precoce si fondano; come il fare interiore venga vissuto come azione “propria” o come progetti le azioni future. Non solo: non è assolutamente chiaro come possano essere condotte ricerche in questo senso con gli strumenti moderni. Da questo punto di vista ci troviamo ancora allo stadio di uomini primitivi.

Qui la descrizione dei centri di attività con PET o fMRI e l’assegnazione di queste regioni a determinate funzioni o attività non è di grande aiuto. Il fatto che tutto ciò avvenga in un determinato punto del cervello non dà alcuna spiegazione nel merito. Questi metodi non svelano nulla su “come” funzioni; in realtà non fanno nient’altro che rilevare in modo molto indiretto i punti in cui raggruppamenti di centinaia di migliaia di neuroni richiedono maggiore energia. È più o meno come se si cercasse di dedurre il funzionamento di un computer misurandone il consumo di energia mentre svolge determinate funzioni.

Continuiamo a non avere la minima idea di quali siano le regole in base alle quali il cervello opera […]. Da questo punto di vista ci troviamo ancora allo stadio di uomini primitivi

Molti elementi indicano che le reti neuronali debbano essere considerate sistemi non lineari altamente dinamici. Ciò significa che seguono in misura maggiore o minore le semplici leggi della natura, ma, a fronte della loro complessità, generano caratteristiche del tutto nuove.

In queste reti neuronali le rappresentazioni di contenuti, siano esse percezioni o programmi motori, corrispondono a modelli di attività spazio-temporali altamente complesse. Per decifrare questi codici di segnali sono probabilmente necessarie tecniche deduttive parallele che consentano la rilevazione contemporanea in molti punti del cervello.

Eppure, anche se sono ancora molti i misteri su cui far luce, già oggi la ricerca sul cervello ha fatto alcune scoperte estremamente sorprendenti. Ad esempio, in linea di principio sappiamo cosa il cervello sa fare bene e dove si scontra con i propri limiti.

Tra le caratteristiche più incredibili rientra l’enorme capacità di adattamento e apprendimento che, e questo è sicuramente l’aspetto più sorprendente, si riduce con l’età, ma molto meno di quanto si pensi. Per molto tempo si è creduto che lo sviluppo del cervello terminasse in gioventù e che le reti neuronali si stabilizzassero in modo definitivo. Si è invece appurato che anche nel cervello adulto, almeno nelle regioni di breve distanza, a livello di singole sinapsi, si possono generare nuove interconnessioni. Inoltre, per determinati compiti possono essere utilizzate anche altre regioni del cervello, ad esempio per l’apprendimento delle lingue straniere in età avanzata.

Grazie a questa plasticità, l’individuo adulto può quindi apprendere ciò che non ha appreso da bambino, anche se con il passare degli anni diventa sensibilmente più difficoltoso. I fattori molecolari e cellulari alla base della plasticità di apprendimento sono ormai ben noti a tal punto che siamo in grado di valutare quali concetti di apprendimento, ad esempio per la scuola, siano più adatti al modo di funzionare del cervello.

Soprattutto grazie agli esperimenti sugli animali, sappiamo da alcuni anni che nel cervello adulto, almeno in alcuni punti di esso, continuano a generarsi nuove cellule nervose. Ad oggi non siamo ancora in grado di comprendere come in questa “neurogenesi” le nuove cellule si aggiungano alle vecchie interazioni e quale funzione vadano poi ad assumere. Al momento non riusciamo pertanto ancora a rispondere alla domanda se le neurogenesi indotta farmacologicamente possa essere utilizzata nella terapia eziologica di patologie neurodegenerative.

Tra le caratteristiche più incredibili rientra l’enorme capacità di adattamento e apprendimento […]. Per molto tempo si è creduto che lo sviluppo del cervello terminasse in gioventù e che le reti neuronali si stabilizzassero in modo definitivo. Si è invece appurato che anche nel cervello adulto […] si possono generare nuove interconnessioni

Abbiamo appurato che nel cervello umano processi neuronali e condizioni psicologico-mentali vissute a livello consapevole sono strettamente collegate tra loro, e che i processi inconsapevoli in qualche modo precedono quelli consapevoli. I dati ottenuti grazie ai moderni metodi di diagnostica per immagini indicano che tutti i processi intrapsichici sono accompagnati da processi neuronali in determinate regioni cerebrali, ad esempio immaginazione, empatia, percezione di sensazioni e assunzione di decisioni o pianificazione deliberata di azioni. Anche se non conosciamo ancora precisamente ogni dettaglio, possiamo presumere che tutti questi processi siano fondamentalmente descrivibili attraverso i processi psicochimici.

Lo studio più approfondito di questi fenomeni è la direzione in cui dovrà muoversi la ricerca sul cervello nei prossimi anni e decenni.

Per quanto straordinarie possano essere considerate, mente e consapevolezza si inseriscono nei fenomeni naturali e non si pongono al di sopra di essi. Inoltre, mente e consapevolezza non sono cadute dal cielo, ma si sono formate gradualmente durante l’evoluzione del sistema nervoso. Questa è forse la più importante conquista conoscitiva delle neuroscienze moderne.

Quali conoscenze e possibilità per gli studiosi del cervello tra dieci anni?

Quanto sapremo di più tra dieci anni sulle interconnessioni tra mente e cervello dipenderà soprattutto dallo sviluppo di nuovi metodi di ricerca. Il “dove” del cervello, su cui oggi ci informa la risonanza magnetica nucleare, non ci dice ancora “come” debbano essere descritte le prestazioni cognitive attraverso i meccanismi neuronali. Per ottenere veri progressi in questo campo serve un procedimento che consenta di registrare unitariamente entrambi gli aspetti.

Come si generano consapevolezza ed esperienza dell’io, come interagiscono azioni razionali e azioni emotive, qual è il mistero della rappresentazione del “libero arbitrio”? Oggi è ammissibile porsi i grandi quesiti delle neuroscienze, ma che possano trovare risposta nei prossimi dieci anni è piuttosto irrealistico.

Mente e consapevolezza si inseriscono nei fenomeni naturali e non si pongono al di sopra di essi. Inoltre, mente e consapevolezza non sono cadute dal cielo, ma si sono formate gradualmente durante l’evoluzione del sistema nervoso

È addirittura in dubbio la nostra capacità di affrontarli in modo adeguato in quest’epoca.

Proprio per questo dovremmo saperne molto di più sul funzionamento del cervello.

Con tutta probabilità, invece, nei prossimi decenni la ricerca sul cervello riuscirà a raggiungere conoscenze che potranno risultare determinanti per rispondere a questi quesiti superiori. Siamo quindi intenzionati a scoprire in che modo i circuiti di comando di centinaia o migliaia di neuroni collegati all’intero cervello codifichino, valutino, memorizzino e interpretino le informazioni. Il livello intermedio, lo studio del funzionamento di regioni di dimensioni ridotte del sistema nervoso, di microcircuiti di comando, entra quindi sempre più nel focus della ricerca.

L’abituale procedimento di ricerca per rispondere a questi quesiti sulle regioni cerebrali appartiene quindi probabilmente al passato, poiché è in grado di rappresentare solo immagini momentanee di un sistema di comando che non funziona più come un tutt’uno. Al contrario, tra dieci anni probabilmente comprenderemo la distribuzione spazio-temporale degli stimoli neuronali nei microcircuiti di comando fino a livello di tutti i neuroni coinvolti, grazie a una tecnica diagnostica per immagini con risoluzione temporale più fine nel sistema nervoso intatto. Diversi tipi di microscopia fotonica, coloranti funzionali e metodi genetico-molecolari ci mettono in condizione di comprendere le regole del flusso di informazioni all’interno dei singoli neuroni e tra di essi.

Tuttavia, il presupposto di tutti questi esperimenti è che gli animali esaminati, in quanto principali soggetti di sperimentazione, non siano narcotizzati e possano esprimere il proprio comportamento normale con metodi indolori. Solo così sarà possibile osservare l’attività cerebrale di questi animali durante lo svolgimento attivo di compiti e includere nell’analisi la funzione principale del cervello, la sua produttività e spontaneità.

La comprensione del funzionamento dei microcircuiti di comando è supportata in maniera fondamentale da una modellizzazione dettagliata con calcolatori potenti. In futuro, però, la modellizzazione non si orienterà tanto sui concetti attuali di informatica e intelligenza artificiale quanto sui reali processi fisiologici. E non solo su quelli del livello inferiore, singoli neuroni con il proprio corredo di canali e recettori, la loro struttura intrinseca e le loro caratteristiche plastiche, bensì soprattutto sui processi neuronali dell’ancora poco compreso livello intermedio e su come questi si svolgono durante apprendimento, comprensione e pianificazione. Accanto alla neurobiologia sperimentale, si attesta quindi come disciplina di ricerca anche la neurobiologia teorica, che ha un’autonomia importante, analogamente alla fisica teorica all’interno della fisica.

Al termine del percorso di ricerca, i neuroscienziati riusciranno a comprendere, per così dire, l’ABC del cervello. Da questo potranno trarre solide ipotesi per lo studio delle funzioni cerebrali superiori: ad esempio, le modalità con cui il cervello coordina i suoi numerosi sottosistemi in modo da generare percezioni coerenti e azioni coordinate. In mancanza di questo fondamentale passaggio intermedio sul livello organizzativo “intermedio”, le affermazioni sul nesso tra attività neuronale osservata e prestazioni cognitive restano solo mere speculazioni.

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Soprattutto per quanto concerne le applicazioni pratiche, nei prossimi dieci anni si prospettano progressi enormi. Probabilmente comprenderemo i principali fondamenti genetici e bio-molecolari delle patologie neurodegenerative quali Alzheimer o Parkinson e riusciremo a riconoscerli più rapidamente, forse addirittura a prevenirli o almeno a trattarli in modo sensibilmente più efficace. Lo stesso si può dire per alcune patologie psichiche come schizofrenia e depressione. Nel prossimo futuro sarà sviluppata una nuova generazione di psicofarmaci in grado di agire in modo selettivo, e quindi altamente efficace e con effetti collaterali minimi, su specifici recettori delle cellule cerebrali in determinate regioni cerebrali. Ciò potrebbe rivoluzionare la terapia dei disturbi psichici, sebbene dovranno trascorrere ancora diversi anni dallo sviluppo del farmaco al suo utilizzo su vasta scala.

Inoltre, verranno perfezionate sempre di più le neuroprotesi, come gli arti robotici o l’orecchio bionico. Tra dieci anni avremo probabilmente sviluppato una retina artificiale, che non viene programmata in dettaglio, ma funziona e apprende secondo i principi del sistema nervoso. Questo modificherà profondamente il nostro modo di considerare la vista, la percezione e probabilmente tutti i processi organizzativi del cervello.

Gli ulteriori progressi della ricerca sul cervello attesi per il futuro ci metteranno ancora più in condizione di prevedere anomalie psichiche e nello sviluppo, ma anche di prevedere almeno la tendenza delle disposizioni comportamentali e di adottare delle “contromisure”. Simili interventi sulla vita interiore e sulla personalità dell’individuo sono tuttavia vincolati a numerose questioni etiche, la cui discussione dovrà intensificarsi nei prossimi anni.

Quali conoscenze e possibilità per gli studiosi del cervello in futuro?

Nel prossimo futuro, quindi nei prossimi 20-30 anni, la ricerca sul cervello sarà in grado di spiegare il rapporto tra processi neuroelettrici e neurochimici da un lato e facoltà percettive, cognitive, psichiche e motorie dall’altro, in modo da poter formulare previsioni altamente attendibili su tali rapporti in entrambi i sensi. Ciò significa che sarà possibile considerare senza contraddizioni mente, consapevolezza, sentimenti, azioni volontarie e libertà d’azione come processi naturali in quanto fondati su processi biologici.

Tuttavia, non riusciremo ancora a formulare una spiegazione “integrale” del funzionamento del cervello, cioè una decodifica completa a livello cellulare o molecolare.

In particolare, resterà estremamente limitata la descrizione del cervello individuale e, di conseguenza, la previsione del comportamento di un individuo. Infatti, i singoli cervelli si auto-organizzano sulla base di differenze genetiche e processi di imprinting non riproducibili dati dagli influssi ambientali, in modo estremamente differenziato e seguendo bisogni e sistemi di valori individuali. Ciò rende praticamente impossibile dedurre i processi psichici di un individuo concreto dalla rilevazione dell’attività cerebrale.

Nei prossimi 20-30 anni […] sarà possibile considerare senza contraddizioni mente, consapevolezza, sentimenti, azioni volontarie e libertà d’azione come processi naturali in quanto fondati su processi biologici

In definitiva, potrebbe verificarsi una situazione simile alla fisica: la meccanica classica ha introdotto dei concetti descrittivi per il macrocosmo, ma solo i concetti derivati dalla fisica quantistica hanno reso possibile una descrizione univoca. In prospettiva, elaboreremo una corrispondente “teoria del cervello” e il linguaggio di questa teoria sarà presumibilmente diverso da quello utilizzato oggi nelle neuroscienze. Sarà basato sulla comprensione dei meccanismi dei grandi raggruppamenti di neuroni, vale a dire dei processi del livello intermedio. Sarà quindi possibile affrontare anche i grandi quesiti della teoria della conoscenza: secondo la consapevolezza, l’esperienza dell’io e il rapporto tra soggetto conoscente e oggetto da conoscere.

In questo futuro, il nostro cervello si avvicinerà alla seria conoscenza di sé.

A quel punto i risultati della ricerca sul cervello, divulgati a una larga parte della popolazione, determineranno anche un mutamento della nostra concezione umana. Cancelleranno in misura crescente i modelli esplicativi dualistici, la separazione tra corpo e mente. Un altro esempio: il rapporto tra conoscenza innata e conoscenza acquisita. Secondo il nostro modo di pensare attuale si tratta di due fonti di informazioni distinte, che stanno alla base del nostro modo di percepire, agire e pensare. Le neuroscienze dei prossimi decenni mostreranno ed enucleeranno la loro interazione intrinseca, cosicché una tale distinzione a livello intermedio delle reti nervose non avrà più senso.

Per quanto riguarda la percezione di noi stessi, si prospettano nel prossimo futuro rilevanti sconvolgimenti.

Scienze umanistiche e neuroscienze dovranno intrecciare un dialogo più intenso, in modo da sviluppare insieme una nuova concezione dell’uomo.

Tuttavia, i progressi futuri non sfoceranno in un trionfo del riduzionismo neuronale. Anche qualora a un certo punto fossimo in grado di spiegare tutti i processi neuronali che sottendono alla compassione tra simili, all’innamoramento o alla responsabilità morale, permarrà comunque l’autonomia di questa “prospettiva interiore”. Perché una fuga di Bach non perde il proprio fascino se si arriva a comprenderne esattamente la composizione. La ricerca sul cervello dovrà distinguere chiaramente tra ciò che può esprimere e ciò che va oltre il proprio ambito di competenza, proprio come la musicologia: per ribadire l’esempio, può esprimersi parzialmente su una fuga di Bach, ma è tenuta a tacere sulle motivazioni della sua bellezza unica.

Scienze umanistiche e neuroscienze dovranno intrecciare un dialogo più intenso, in modo da sviluppare insieme una nuova concezione dell’uomo

[1] Direttrice sanitaria del Dipartimento di neurobiologia clinica, Università di Heidelberg.

[2] Dipartimento di psicologia, Philipps-Universität di Marburgo.

[3] Direttore dell’Istituto per la ricerca sul cervello dell’Università di Brema e rettore dell’Istituto Hanse-Wissenschaftskolleg di Delmenhorst.

[4] Direttore dell’Istituto di neurobiologia Leibniz di Magdeburgo.

[5] Direttore dell’Istituto di ricerca sul cervello Max-Planck, Dipartimento di neuropsicologia, Francoforte sul Meno.

[6] Direttore della Clinica di epilettologia, Università di Bonn.

[7] Dipartimento di neuropsicologia, Direttrice dell’Istituto Max-Planck per le scienze cognitive umane e cerebrali di Lipsia.

[8] California Institute of Technology (Caltech), Computazione e sistemi neurali, Pasadena.

[9] Istituto di fisiologia e patofisiologia, Università Johannes-Gutenberg di Magonza.

[10] Istituto di neuroinformatica, Università della Ruhr a Bochum e Computational Vision Lab della University of Southern California, Los Angeles.

[11] Dipartimento di neurobiologia, Università libera di Berlino.

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A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

ISSN 2612-677X (website)
ISSN 2704-6516 (journal)

 

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