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Issue 11/2019

In thanking both DANA Foundation and Cerebrum Journal for their kind editorial permission, we publish here our full translation of the article by Kayt Sukel, When is the Brain “Mature”?, published April 4, 2017.

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Se prendiamo un certo numero di persone e chiediamo loro a quale età un individuo diventa pienamente adulto, probabilmente riceveremo altrettante risposte diverse. Alcuni potrebbero dire che ciò accade quando si ottiene il primo impiego a tempo pieno, altri che ciò non si verifica prima di diventare genitori. Qualcun altro potrebbero ironizzare sul fatto che l’età adulta è un concetto che rimane inafferrabile anche dopo decenni. Altri ancora potrebbero semplicemente invocare le regole definite dall’ordinamento e rispondere «a 18 anni» o «quando è consentito bere alcolici».

Cosa accade, però, quando chiediamo a un neuroscienziato dello sviluppo quando il cervello umano raggiunge la “maturità”?

«Stiamo imparando che non esiste un’opinione universalmente condivisa circa il momento in cui un individuo raggiunge la maturità, e neppure un metodo ritenuto da tutti adeguato a misurare il livello di maturità, quando si tratta del cervello umano», afferma Abigail Baird, neuroscienziato dello sviluppo presso il Vassar College e membro della Dana Alliance for Brain Initiatives (DABI). «Sarebbe bello se, ad esempio, una determinata zona cerebrale diventasse blu quando l’individuo raggiunge la maturità completa. Ma non funziona così. Stiamo imparando che la maturazione riguarda il perfezionamento di circuiti e reti più grandi, che determinano comportamenti e attività cerebrali sempre più coordinati. E questi perfezionamenti e miglioramenti nel coordinamento neurale dipendono fortemente non solo dalla neurobiologia, ma anche dalla pratica e dall’esperienza. Il tutto senza considerare le influenze derivanti dalle differenze individuali, che indubbiamente hanno un impatto significativo sui modi e sui tempi della maturazione».

Stiamo imparando che non esiste un’opinione universalmente condivisa circa il momento in cui un individuo raggiunge la maturità, e neppure un metodo ritenuto da tutti adeguato a misurare il livello di maturità, quando si tratta del cervello umano

Nonostante l’assenza di un “punto blu” chiarificatore, le nuove scoperte scientifiche riguardanti il ​​cervello, l’adolescenza e lo sviluppo neurologico stanno ispirando la legislazione e le politiche pubbliche di tutto il paese. Le influenze esercitate da queste conoscenze sulla prassi legislativa spaziano dalla determinazione dell’età in cui è permesso acquistare i prodotti del tabacco a quella in cui è possibile finire in prigione senza il beneficio della parole. E dal momento che, attualmente, i policymaker stanno prestando particolare attenzione alla scienza, i neuroscienziati dello sviluppo suggeriscono che è giunto tempo di riconsiderare il concetto di maturità, quando si parla del cervello dell’uomo.

L’argomento dello sviluppo

Storicamente, la società statunitense ha individuato nel compimento del diciottesimo anno di età la fine dell’adolescenza e l’ingresso formale nell’età adulta. Si tratta del momento in cui la maggior parte delle persona finisce la scuola secondaria, così come l’età media in cui si conclude il processo esterno di crescita fisica.

Certamente, l’adolescenza è di per sé stessa una fase di grandi cambiamenti a livello cerebrale. Martha Denckla, membro della DABI e direttore di neurologia cognitiva dello sviluppo presso la Kennedy Krieger Institute at Johns Hopkins University, afferma che durante l’adolescenza avvengono molti processi importanti che facilitare lo sviluppo dei circuiti neurali vitali. Tali processi includono la riduzione della materia grigia corticale, cambiamenti nei modelli intrinseci di connettività, mielinizzazione di circuiti critici e alterazioni dell’attività metabolica, dei livelli ormonali, della densità dei recettori e dei livelli dei neurotrasmettitori. Alcuni di questi cambiamenti si verificano prima dei 18 anni, altri si concludono solo dopo un lungo periodo di tempo[1].

«Abbiamo osservato che il controllo motorio, ossia la mielinizzazione delle vie motorie, si manifesta mediamente intorno ai 15 anni. La corteccia prefrontale dorsolaterale, responsabile del controllo cognitivo e della funzione esecutiva, è invece mielinizzata completamente a 25 anni», afferma.  «Ma poi si comincia a parlare di emozioni, e tutti si rendono conto dell’impatto delle emozioni sul controllo cognitivo. Da esse può dipendere la quantità di controllo che siamo in grado di esercitare. Così, se conderiamo la superficie mediale e orbitale del lobo frontale, che alcuni chiamano il cervello “sociale”, l’età media della mielinizzazione di quelle connessioni tra il sistema limbico e le suddette aree è di circa 32 anni. Qualcosa di molto lontano dalla soglia dei 18 anni».

Il contesto conta, e conta molto. Allan Reiss, psichiatra pediatrico presso la Stanford University e membro della DABI, spiega che l’evidenza scientifica mostra che, neurobiologicamente parlando, quella dei 18 anni è una soglia piuttosto arbitraria, soprattutto ora che siamo in grado di apprezzare i cambiamenti che avvengono nel cervello in risposta all’ambiente, a 18 come a 82 anni. Di conseguenza, c’è una discrepanza tra il divenire adulti in senso giuridico e in senso biologico[2].

«Il cervello, in una certa misura, è sempre dinamico. Esistono fasi dello sviluppo in cui è più dinamico che in altre, come nel periodo dell’adolescenza e dei primi anni dell’età adulta», osserva. «Tuttavia, non è possibile affermare che, arrivati a un certo punto, il cervello è diventato maturo. Al contrario, continua a maturare in molteplici modi per tutta la vita. E chiedersi se il cervello è diventato maturo, se il processo di crescita cerebrale termina con quegli stati dinamici di sviluppo che caratterizzano l’adolescenza, potrebbe non essere la domanda giusta, specialmente in una prospettiva sociale o di policy pubblica. Forse dovremmo porre un interrogativo diverso, ossia: “qual è l’età media in cui è probabile che gli esseri umani prendano decisioni razionali su eventi importanti della loro vita?”. E la risposta sarà: “dipende”. Dipende dalla persona, dal tipo di decisione che di vuole prendere e da ciò che ci accade intorno quando cerchiamo di prendere quella decisione. Il contesto è importante. Tutti questi fattori hanno un proprio ruolo e influenzano la capacità di fare quelle scelte»[3].

L’evidenza scientifica mostra che, neurobiologicamente parlando, quella dei 18 anni è una soglia piuttosto arbitraria, soprattutto ora che siamo in grado di apprezzare i cambiamenti che avvengono nel cervello in risposta all’ambiente, a 18 come a 82 anni. Di conseguenza, c’è una discrepanza tra il divenire adulti in senso giuridico e in senso biologico

Implicazioni legali

Nonostante molti ritengano che, negli Stati Uniti, l’età adulta coincida con il compimento dei 18 anni, Sarah Bryer, direttore esecutivo del National Juvenile Justice Network, chiarisce che lo standard per l’età adulta varia da stato a stato e da ordinamento a ordinamento.

«Non c’è un consenso riguardo la soglia dei 18 anni, su nessun fronte. Esistono divergenze di opinione in merito al momento in cui i giovani debbano essere ritenuti capaci di decidere di bere, prestare servizio militare, votare, acconsentire ad avere rapporti sessuali», afferma. «Non c’è alcuna uniformità di disciplina per quanto riguarda il riconoscimento della maturità da parte dei giovani».

Precisa poi che i tribunali minorili negli Stati Uniti esistano solo dal 1899[4]. Nel corso dell’ultimo secolo, il trattamento dei bambini da parte del sistema giudiziario è sempre stato influenzato da alcune convinzioni – da lei definite «talvolta puritane» – circa lo sviluppo infantile. Ma i progressi della ricerca psicologica sulla natura dell’infanzia e dell’adolescenza hanno contribuito a modificare l’atteggiamento da parte di questi tribunali. Nondimeno, è solo in epoca recente che le moderne scienze del cervello hanno cominciato a impattare sul modo in cui i minori sono considerati dalla legge e sugli interventi di policy pubblica.

Nathalie Gilfoyle, ex consigliere generale dell’American Psychological Association (APA), spiega che la neuroscienza ha assunto un ruolo importante nei procedimenti giudiziari grazie al celebre caso Roper v. Simmons, celebrato dinanzi alla Corte suprema, nel quale è stata dichiarata l’incostituzionalità della pena capitale se l’autore di reato è di età inferiore ai 18 anni[5]. Tale decisione, afferma, è stata fondata su una serie di prove convergenti che suggeriscono che il controllo delle funzioni esecutive non si sviluppa completamente prima dei 25 anni circa.

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Ma quale debba essere il peso da attribuire a questi risultati in ambito giuridico e politico rimane una sorta di enigma. Gilfoyle sostiene che l’insieme delle ricerche che hanno contribuito a influenzare i giudici nella vicenda Roper v. Simmons è stato ritenuto rilevante anche in ulteriori casi, riguardanti la capacità di prendere parte al processo, la rinuncia ai Miranda rights o la consulenza nell’ambito dei procedimenti giudiziari – spesso con il risultato di elevare a 18 anni la soglia di età, in alcuni stati e giurisdizioni. D’altra parte, questi stessi risultati sono stati contestati nell’ambito di altri casi riguardanti il processo decisionale dei minori, come Hodgson v. Minnesota, un caso deciso dalla Corte suprema nel 1990 in materia di parental notification e di aborto[6].

«Nel caso Hodgson, l’APA ha ritenuto che non necessaria la comunicazione ai genitori nel caso in cui la decisione di abortire provenga da una persona di età inferiore a 18 anni. Richiamando i risultati della ricerca sul processo decisionale cognitivo, l’APA ha osservato che gli adolescenti sono abbastanza maturi per prendere decisioni mediche in autonomia, previo confronto con i consulenti sanitari», spiega. «Nella dissenting opinion espressa nell’ambito del caso Roper v. Simmons, il giudice [Antonin] Scalia ha affermato che vi fosse incoerenza tra le posizioni sostenuto in Hodgson Roper. Ha parlato di “regressione”. Tuttavia, esiste una differenza significativa tra la ricerca sullo sviluppo cognitivo che è rilevante per il processo decisionale medico, e la ricerca condotta nell’ambito delle scienze sociali riguardo alla decisioni sbagliate degli imputati minorenni e la capacità di prevedere il carattere dell’età adulta».

Per questa ragione, faremmo meglio a smettere di usare il termine “maturità” in sede di discussione sullo sviluppo del cervello, afferma B.J. Casey, membro della DABI e direttore del Fundamentals of Adolescent Brain (FAB) Lab della Yale University.

«Quando usiamo questo termine, maturità, di fatto prendiamo una posizione. È come se dicessimo che esiste uno specifico momento temporale a partire dal quale siamo in grado di fare bene tutto», osserva. «Anche se il loro cervello non è completamente maturo, le persone sono già capaci di prendere buone decisioni. Parte del problema relativo a come utilizzare i risultati della ricerca sul cervello è che spesso questi risultati sono estremamente semplificati, motivo per cui alcuni potrebbero essere indotti a parlare di “regressione”. Ma la verità è che ci sono alcune situazioni in cui gli adolescenti prendono buone decisioni, e altre in cui non lo fanno. Ed è importante che ci sforziamo di comprenderli meglio, in modo da operare scelte di policy efficaci, senza dare l’impressione di voler necessariamente utilizzare i dati che abbiamo a disposizione in un senso o nell’altro».

Faremmo meglio a smettere di usare il termine “maturità” in sede di discussione sullo sviluppo del cervello […] Quando usiamo questo termine, maturità, di fatto prendiamo una posizione. È come se dicessimo che esiste uno specifico momento temporale a partire dal quale siamo in grado di fare bene tutto

Costruire un ponte tra scienza e policy

In che modo, quindi, è possibile utilizzare la scienza a beneficio dell’intera società, e incoraggiare gli adolescenti a diventare membri produttivi – e, sì, maturi – della società? La soluzione, afferma Casey, è che scienziati e legislatori lavorino a stretto contatto per garantire che i le acquisizioni scientifiche vengano interpretate e applicate in modo accurati. Richard Bonnie, direttore dell’Institute of Law, Psychiatry e Public Policy della University of Virginia, sostiene che fare ricorso alla scienza a scopi orientamento politico non è impossibile – e non è neppure complicato, una volta che ci si sia sbarazzati dell’idea che esiste un’unica soglia di età coincidente con il raggiungimento della maturità[7]. Egli afferma che vi è «una distanza eccessiva» tra ciò che sappiamo sulla natura neurobiologica dello sviluppo del cervello e l’attuale panorama delle disposizioni legislative e politiche in materia di età.

«Anche quando riconosciamo la penale responsabilità in capo ai giovani per il proprio comportamento, molto spesso applichiamo loro una pena che si focalizza più sull’offesa che sulle capacità e sulle caratteristiche del reo», afferma. Ad esempio, in molti casi, nell’ambito di un procedimento per omicidio è più probabile che un adolescente venga trattato come un adulto, indipendentemente dai dettagli del crimine o dal passato del reo. Per questo motivo, osserva Bonnie, ciò che stiamo imparando dalla scienza riguardo al neurosviluppo presenta implicazioni potenzialmente significative in materia di politiche punitive e rispetto a quello che potremmo fare per migliorare il sistema di giustizia penale, allo scopo di bilanciare le esigenze di protezione della società e quella riguardante la riabilitazione dei giovani autori di reato. Lo stesso sottolinea inoltre l’opportunità di tenere conto tanto delle capacità cognitive del singolo quanto delle circostanze, pur ribadendo l’importanza di considerare le persone sotto i 18 anni responsabili della propria condotta.

«Anche il concetto di responsabilità è importante dal punto di vista dello sviluppo – fa parte del processo di maturazione degli individui imparare ad assumersi la responsabilità del proprio comportamento –, e anche di questi occorre tenere conto», spiega. «Abbiamo l’opportunità di ricorrere alla scienza per capire come possiamo aiutare meglio gli autori di reato a diventare membri produttivi della società»[8].

Bryer si mostra d’accordo – e spera che le nuove conoscente sullo sviluppo del cervello possano contribuire a riformare il sistema di giustizia minorile nel senso di allontanarlo dall’idea di punizione, con l’attuazione di politiche maggiormente orientate alla riabilitazione.

Anche il concetto di responsabilità è importante dal punto di vista dello sviluppo – fa parte del processo di maturazione degli individui imparare ad assumersi la responsabilità del proprio comportamento –, e anche di questi occorre tenere conto

«La ricerca sul neurosviluppo si è rivelata importante per indurre i policymaker a riflettere su quali siano gli obiettivi, all’interno del sistema, ai quali effettivamente aspiriamo», afferma. «Questo a sua volta apre numerose strade per possibili interventi politici e di riforma. Cambia infatti il modo in cui pensiamo alle connessioni, non solo quelle nel cervello, ma anche quelle che riguardano la famiglia, la comunità e l’istruzione. Ci aiuta a ripensare, se i giovani sono detenuti all’interno di una struttura, come dovrebbe essere quella struttura? Come possiamo fornire loro il supporto di cui hanno bisogno per riuscire a migliorare? Dobbiamo trovare delle risposte per non sprecare risorse e occasioni per contribuire a migliorare la società nel suo complesso».

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[1] Cohen AO, Breiner K, Steinberg L, Bonnie RJ, Scott ES, Taylor-Thompson KA, Rudolph MD, Chein J, Richeson JA, Heller AS, Silverman MR, Dellarco DV, Fair DA, Galvan A, Casey BJ, When Is an Adolescent an Adult? Assessing Cognitive Control in Emotional and Nonemotional Contexts. Psychological Science 2016 April; 27(4): 549-62. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26911914

[2] Barnea-Goraly N, Menon V, Eckert M, Tamm L, Bammer R, Karchemskiy A, Dant CC, Reiss AL, White Matter Development During Childhood and Adolescence: A Cross-Sectional Diffusion Tensor Imaging Study. Cerebral Cortex 2005; 15(12): 1848-1854. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15758200  

[3] Silva K, Chein J, Steinberg L, Adolescents in Peer Groups Make More Prudent Decisions When a Slightly Older Adult Is Present. Psychological Science 2016 March; 27(3): 322-30. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26791822

[4] American Bar Association. The History of Juvenile Justice. http://www.americanbar.org/content/dam/aba/migrated/publiced/features/DYJpart1.authcheckdam.pdf

[5] Roper v. Simmons. http://caselaw.findlaw.com/us-supreme-court/543/551.html

[6] Hodgson v. Minnesota. https://www.law.cornell.edu/supct/html/88-1125.ZS.html

[7] Bonnie RJ, Stratton K, Kwan L, Public Health Implications of Raising the Minimum Age of Legal Access for Tobacco Products. National Academies Press, 2015. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26269869

[8] Ginther MR, Bonnie RJ, Hoffman MB, Shen FX, Simons KW, Jones OD, Marois R,  Parsing the Behavioral and Brain Mechanisms of Third-Party Punishment. Journal of Neuroscience 2016 Sep 7;36(35): 9420-34. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27605616

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