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22.11.2019
Fabrizio Cosentino

Judge’s impartiality in the complex relationship between cognition proceeding and prevention proceeding

Cass., Sect. VI, judgement of April 2, 2019 (filed on October 11, 2019), n. 41975, Pres. Petruzzellis, Rapp. Tronci, App. I. and other

Issue 11/2019

1. La sentenza qui annotata affronta (e al contempo chiarisce) il profilo dell’imparzialità del giudice nel complesso rapporto intercorrente fra procedimento di cognizione e procedimento di prevenzione.

L’intervento della Cassazione trae origine dalla seguente vicenda giudiziaria: nell’ambito di un giudizio di appello di prevenzione patrimoniale la Corte di Appello di Reggio Calabria rigettava l’istanza di ricusazione, che la difesa del prevenuto aveva avanzato nei confronti del presidente del collegio giudicante del medesimo organo distrettuale per avere il predetto presidente conosciuto dei medesimi fatti, avendo svolto funzioni di G.i.p. nel parallelo procedimento penale.

La difesa proponeva allora ricorso per cassazione, lamentando la violazione, da parte dell’ordinanza impugnata, dell’art. 606 lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 41, 37 comma 1, 36 comma 1 lett. b) c.p.p., nonché agli artt. 7 e 10 comma 4, d.lgs. n.159/2011, e art. 111 Cost. e art. 6 § 1, CEDU, soffermandosi sulle interrelazioni esistenti fra procedimento penale e procedimento di prevenzione, sulla base dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 283 del 2000.

 

2. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale condiviso dalla Corte reggina (Cass., sez. I, sent. 27 maggio 2016, n. 43081)[1] «non è applicabile al procedimento di prevenzione la causa di ricusazione prevista dall’art. 37, comma primo, lett. b), c.p.p. nel caso in cui il giudice abbia in precedenza espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in un altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale». Né sarebbero estensibili al procedimento di prevenzione i divieti per le situazioni di incompatibilità stabiliti «dagli artt. 34 e 35 dalle leggi di ordinamento giudiziario», per come espressamente previsto dalla lett. g) dell’art. 36 c.p.p., norma che non sarebbe possibile applicare alla procedura di prevenzione.

All’interpretazione sostenuta da questo, sinora prevalente, indirizzo giurisprudenziale è dunque sotteso un distinguo tra lo schema procedimentale penale e quello di prevenzione, essendo quest’ultimo caratterizzato da una sensibile «diversità di oggetto e di scopo», non emendabile dall’interprete, in presenza di una precisa scelta del legislatore, e di una ermeneutica della norma in senso «unidirezionale», vale a dire che non è consentito il passaggio del giudice dalla prevenzione al penale, ma non anche il contrario.

All’interpretazione sostenuta da questo, sinora prevalente, indirizzo giurisprudenziale è dunque sotteso un distinguo tra lo schema procedimentale penale e quello di prevenzione, essendo quest’ultimo caratterizzato da una sensibile «diversità di oggetto e di scopo», non emendabile dall’interprete

3. La sesta sezione della Corte di Cassazione con la sentenza in commento parte da un dato preliminare, ritenuto «ampiamente acquisito», tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, costituito dalla intervenuta «giurisdizionalizzazione» del procedimento di prevenzione, attraverso l’estensione ad esso di istituti tipici del processo penale, ferma restando la riconosciuta diversità e autonomia della materia prevenzionale.

I giudici della sesta sezione richiamano anzitutto i principi espressi nella recente sentenza n. 24 del 24 gennaio 2019 della Corte Costituzionale[2], che individua un preciso «statuto di garanzia (costituzionale e convenzionale) delle misure di prevenzione», sia personali che patrimoniali, ed osservano che, pur non essendovi la necessità di un richiamo alle garanzie che la CEDU e la stessa Costituzione dettano specificamente per la materia penale, occorre tuttavia rispettare i canoni generali di ogni «giusto» processo garantito dalla legge (artt. 111, primo, secondo e sesto comma, Cost., e 6 CEDU, nel suo «volet civil»), dovendosi assicurare in particolare piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di colui nei cui confronti la misura sia richiesta.

Dunque, pur preso atto della finalità preventiva e non punitiva delle misure patrimoniali e personali previste nel decreto legislativo n. 159 del 2011, nella riconosciuta esclusione di una loro natura sanzionatoria penale, il ricordato iter di giurisdizionalizzazione e di necessaria applicazione dei principi del giusto processo al modello procedimentale di prevenzione, nonché una corretta interpretazione costituzionalmente orientata e convenzionalmente conforme, conduce ad attribuire un ruolo primario al principio di imparzialità del giudice, che si sostanzia nell’applicabilità degli istituti dell’incompatibilità, dell’astensione e della ricusazione, incasellati nel primo libro del codice di procedura penale.

Pur preso atto della finalità preventiva e non punitiva delle misure patrimoniali e personali […], il ricordato iter di giurisdizionalizzazione e di necessaria applicazione dei principi del giusto processo al modello procedimentale di prevenzione, nonché una corretta interpretazione costituzionalmente orientata e convenzionalmente conforme, conduce ad attribuire un ruolo primario al principio di imparzialità del giudice

L’orientamento della Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 24 del 2019, è chiaro: «pur non avendo natura penale, sequestro e confisca di prevenzione restano peraltro misure che incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. addiz. CEDU)» e pertanto sottostanno alle garanzie ivi previste, tra cui:

a) la previsione attraverso una legge (artt. 41 e 42 Cost.) che sia precisa e rispettosa del canone della prevedibilità (art. 1 Prot. addiz. CEDU);
b) la «necessarietà» della restrizione del diritto di proprietà rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti (art. 1 Prot. addiz. CEDU), e pertanto la proporzione rispetto a tali obiettivi (art. 3 Cost.);
c) l’adozione di un procedimento che, ancorché non sottoposto agli standard garantistici del processo penale, rimanga rispettoso dei canoni generali del «due legal process» di cui agli artt. 111 Cost. e 6 CEDU, e del diritto alla difesa.

Se il tema è quello di assicurare l’imparzialità del giudice, entrano allora in gioco gli istituti della incompatibilità, dell’astensione e della ricusazione che assicurano, il primo, l’autonomia e la distinzione della funzione giudicante rispetto ad attività compiute in gradi e fasi precedenti (da cui l’obbligo in sede di rinvio di rimettere gli atti a sezione diversa da quella che ha emesso il decreto eventualmente annullato) e, i secondi, un rimedio a situazioni personali del giudice, ovvero all’esistenza di suoi comportamenti che lasciano trasparire un pre-giudizio.

Se il tema è quello di assicurare l’imparzialità del giudice, entrano allora in gioco gli istituti della incompatibilità, dell’astensione e della ricusazione

In particolare, l’istituto della ricusazione di cui all’art. 37 c.p.p., è stato già oggetto di disamina da parte del giudice delle leggi: come è noto, la disposizione è stata dichiarata, con sentenza n. 283 del 6 luglio 2000 della Consulta[3], costituzionalmente illegittima «nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto».

Ed è proprio tale pronuncia – secondo il collegio della sesta sezione – a non consentire di «sezionare», come sembrerebbe voler fare la Corte reggina, l’istituto della ricusazione, escludendo dalla sua applicabilità al procedimento di prevenzione i casi del giudice che abbia emesso in altro procedimento una precedente decisione di merito nei confronti del medesimo soggetto.

Il sistema delle garanzie – e in particolare la garanzia dell’imparzialità del giudice – è connaturato allo ius dicere, all’esercizio della giurisdizione, e conserva una portata generale, tale da non poter essere sminuito in ambiti contraddistinti da minor tutela.

Ben consapevole del diverso orientamento sinora tenuto fermo dalla sezione quinta della Cassazione (v. ad esempio sent. 25 maggio 2018, n. 23629) e dalla stessa propria sezione (sent. 13 settembre 2018, n. 51793), i giudici della sesta sezione, con la sentenza in commento, attraverso un rigoroso procedere argomentativo concludono per la piena applicazione dei principi stabiliti dalla disciplina penale sulla ricusazione ai procedimenti di prevenzione, affermando dunque la tesi della piena «bidirezionalità» nei rapporti tra i due giudizi, atteso che il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione (penale prevenzione), e non solo tra prevenzione e processo penale (prevenzione penale)..

Il sistema delle garanzie – e in particolare la garanzia dell’imparzialità del giudice – è connaturato allo ius dicere, all’esercizio della giurisdizione, e conserva una portata generale, tale da non poter essere sminuito in ambiti contraddistinti da minor tutela

4. L’odierna pronuncia della Suprema Corte manifesta un orientamento condivisibile, che segna un ulteriore passo avanti dell’inarrestabile cammino del sistema della prevenzione, dall’originario schema procedimentale amministrativo, commissionato al giudice penale, a quello ormai ritenuto giurisdizionale, al quale applicare le medesime garanzie fondamentali del processo penale, soprattutto per quel che concerne i profili di terzietà/imparzialità del giudice, e la necessità di escludere ogni aspetto di pregiudizio dal percorso decisionale: imprescindibile esigenza di adeguamento che si avverte oggi con particolare riferimento alle misure di tipo patrimoniale, le quali sono in grado di incidere gravemente su diritti e assetti proprietari, anche di soggetti terzi, e che richiedono massima attenzione nell’applicazione dei criteri conoscitivi.

Come avvertiva un Maestro – talvolta inascoltato – della procedura penale, ogni procedimento richiede la necessità che il giudice non si sia in alcun modo espresso in precedenza sui fatti per i quali è chiamato ad emettere un provvedimento, perché «il contraddittorio scade a commedia dove l’esito sia preconosciuto»[4].

 

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[1] Il testo della sentenza è accessibile a questo link.

[2] Il testo della sentenza è accessibile a questo link.

[3] Il testo della sentenza è accessibile a questo link.

[4] F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, 2012, p. 181.

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