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24.11.2020
Antonella Calcaterra

Let’s overcome the rigid automatisms of the law in the field of Penitentiary system

A brief comment on the issue of constitutional legitimacy raised by the Supervisory Magistrate of Spoleto

Issue 11/2020

Abstract.This brief note concerns the issue raised by the Supervisory Magistrate of Spoleto regarding the constitutional legitimacy of art. 58 quater co. 1, 2 and 3 o.p. (Penitentiary Law), since they exclude for three years the possibility of accessing the alternative measure to detention provided under art. 47 o.p. (known as “probation to social services”) to the detainee against whom the alternative measure, applied under 47 co. 11, art. 47 ter co. 6 or art. 51 co. 1 o.p., was previously revoked. The Supervisory Magistrate analyses with valuable arguments the illegitimacy of the law in question which, excluding a substantive examination of the deservingness of the measure, prevents a real evaluation of the person. Evaluation that is essential during the post-conviction phase in the light of the necessity to reintroduce the convicted into society. The question is part of a major process of progressive overcoming of all those rigid legal automatisms that still today permeate the Penitentiary system.

 

SUMMARY: 1. Issue of constitutional legitimacy of the law. – 2.  The current case. – 3.  The decision of the Supervisory Magistrate in the face of the rigidity of the law.

 

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1. La questione sollevata.

Con l’ordinanza dello scorso 5 novembre qui allegata, il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, il dr. Fabio Gianfilippi, ha sollevato «la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 co. 1 e 27 co. 3 della Costituzione, dell’art. 58 quater co. 1, 2 e 3 o.p. nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, di cui all’art. 47 o.p., al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell’art. 47 co. 11, dell’art. 47 ter co. 6 o dell’art. 51 co. 1 della medesima legge». Ciò a fronte dell’impossibilità di accedere a percorsi interpretativi differenti completamente preclusi dal tenore inequivoco della norma che non offre spazi di lettura differenti.

Come è noto, infatti, l’art. 58 quater o.p. prevede che l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio, l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà, non possono essere concessi ai condannati nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi dell’art. 47, co.11, dell’art. 47 ter, co. 6, o 51 co. 1 o.p.

Con l’ordinanza dello scorso 5 novembre […] il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, il dr. Fabio Gianfilippi, ha sollevato «la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 co. 1 e 27 co. 3 della Costituzione, dell’art. 58 quater co. 1, 2 e 3 o.p. nella parte in cui detti commi […] prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale […] al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa […]»

2. Il caso in esame.

Il caso in esame riguarda una persona detenuta presso il carcere di Terni che aveva ottenuto l’affidamento in prova al servizio sociale dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia e che, a soli 19 giorni dalla fine della misura, aveva avuto la revoca della stessa per «inequivocabile interruzione volontaria della misura concessa, per ragioni peraltro del tutto sconosciute e neppure ipotizzabili in via congetturale»[1], pur a fronte di un percorso sino ad allora portato avanti in maniera positiva del quale lo stesso Tribunale di Sorveglianza  dava atto.

Decorso un anno dalla ripresa della detenzione, la difesa presentava istanza di affidamento in prova ravvisando «l’urgenza di un rientro in società del condannato, sia per poter attendere ai propri compiti in ambiti familiare, sia soprattutto per darsi a lecita attività lavorativa, disponibile in suo favore» e con la necessità di iniziare subito. La difesa evidenziava, altresì, da un lato «l’operatività di odiosi meccanismi automaticamente preclusivi di qualsivoglia indagine avente ad oggetto la meritevolezza di una misura alternativa alla detenzione in palese violazione dell’art. 27 della Costituzione» e, dall’altro, che la revoca era intervenuta in relazione ad un altro titolo esecutivo, poiché nel frattempo il cumulo della pena era stato aggiornato.

La difesa evidenziava […] «l’operatività di odiosi meccanismi automaticamente preclusivi di qualsivoglia indagine avente ad oggetto la meritevolezza di una misura alternativa alla detenzione in palese violazione dell’art. 27 della Costituzione»

3. La decisione del Magistrato di Sorveglianza davanti alla fissità della norma.

Il Magistrato di Sorveglianza, esaminata la questione, ha rilevato l’impossibilità di procedere sulla base del tessuto normativo vigente, attesa la fissità della norma che è – si legge sempre nel provvedimento – «formulata con riferimento soggettivo al condannato e non con riguardo oggettivo a ciascun singolo procedimento in cui intervenga la revoca», a nulla rilevando la circostanza che la revoca sarebbe intervenuta su un titolo diverso essendosi formato frattanto un provvedimento di cumulo differente.

Da qui la strada obbligata, a fronte della conseguenziale ed inevitabile pronuncia di inammissibilità dell’istanza, di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per lo scrutinio della norma in questione.

Nell’atto di rimessione, quindi, è evidenziata l’irragionevolezza della fissità degli effetti della revoca intervenuta: 1) «a prescindere da ogni considerazione sulla situazione concreta sulla persona, sui suoi progressi trattamentali seguiti a quel momento negativo, sulle prospettive di reinserimento e sulla durata della pena espianda» e 2) a prescindere dalla valutazione della portata del fatto fondante la revoca che, ovviamente, può avere una connotazione a seconda che trattasi di fatto reato o di violazione di prescrizione.

La questione sollevata si pone dunque in linea con il progressivo percorso della Corte Costituzionale, la cui giurisprudenza[2] sta progressivamente erodendo i rigidi automatismi di legge, proponendo sempre di più una valutazione in concreto che:

«ricolleghi la concessione di una misura alternativa, o di un permesso premio, ad una prognosi individualizzata come richiesta dall’art. 1 o.p. in materia di trattamento rieducativo, e ancor prima e più ampiamente dall’art. 27 co. 3 Cost., circa l’utilità del beneficio a far progredire il condannato sulla via del reinserimento sociale».

L’ordinanza richiama inoltre l’importante passaggio della sentenza n. 187/2010 delle Corte Costituzionale in forza della quale dichiara incostituzionale l’art. 58 quater co. 1, 2 e 3 o.p. nella parte in cui prevede che non possa essere concessa, per la durata di anni tre, la detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47 quinquies o.p. e, in via conseguenziale, quella dell’art. 47 ter co. 1 e 2 o.p., al condannato nei cui confronti era stata disposta la revoca della misura. Preclusione che sacrifica ingiustamente e

«a priori e per l’arco temporale di un intero triennio […] l’interesse di quest’ultimo (il bambino) a vivere un rapporto quotidiano con almeno uno dei due genitori, precludendo al giudice ogni bilanciamento tra tale basilare interesse e le esigenze di tutela della società rispetto alla concreta pericolosità del condannato».

La questione sollevata si pone […] in linea con il progressivo percorso della Corte Costituzionale, la cui giurisprudenza sta progressivamente erodendo i rigidi automatismi di legge, proponendo sempre di più una valutazione in concreto

Nel caso in esame il Magistrato evidenzia la irragionevolezza della fissità della preclusione per «l’inevitabile compromissione della finalità rieducativa della pena»; non è infatti possibile né fare valutazioni differenti, anche in relazione alla effettiva condotta che ha determinato la revoca, né verificare i progressi trattamentali, poiché trattasi di periodo che «frustra l’osservazione muraria privandola di ogni concreta utilità alla costruzione di percorsi risocializzanti».

Il rimettente, con un’ampiezza di argomenti davvero apprezzabile, mette in luce l’insensatezza dell’estensione della preclusione in blocco a tutti i benefici, impedendo una ragionevole ripresa di una progressione trattamentale in grado di accompagnare adeguatamente il percorso all’esterno.

Non ultimo, il rimettente sottolinea anche l’importanza per il Magistrato, in un giudizio di concreto bilanciamento, di tutelare anche i diritti di soggetti terzi; in particolare, vi è il riferimento al nucleo familiare della persona condannata, specialmente ove, come nel caso di specie, siano presenti minori in tenera età, per i quali i rilievi della giurisprudenza costituzionale, fondati sull’art. 31 Cost. e sulle disposizioni sovrannazionali, individuano la rilevanza dell’interesse del minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori.

Il rimettente, con un’ampiezza di argomenti davvero apprezzabile, mette in luce l’insensatezza dell’estensione della preclusione in blocco a tutti i benefici, impedendo una ragionevole ripresa di una progressione trattamentale in grado di accompagnare adeguatamente il percorso all’esterno

Dall’insieme di tutte le pregevoli argomentazioni esposte nell’ordinanza segnalata deriva la necessità, attesa la rilevanza nel procedimento interessato, della rimessione della questione alla Corte Costituzionale.

Si auspica dunque che i Giudici della Consulta proseguano nel percorso di abolizione di automatismi che precludono la valutazione delle persone “in continua evoluzione” e si spera che venga riconsegnata al Magistrato di Sorveglianza la possibilità di verifica sostanziale, al di là di rigidità e preclusioni che mal si conciliano con la fase dell’esecuzione della pena.

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[1] Tutti i virgolettati sono estratti dal testo del provvedimento commentato e qui pubblicato.

[2] Sul tema, l’ordinanza richiama in particolare le precedenti sentenze n. 149/2018 e n. 253/2019.

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