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14.10.2020
Redazione

The Pope on the side of the last

Crime and forgiveness. Beyond retribution?

Issue 10/2020

We publish here, with kind editorial permission, the considerations of Pope Francis on the theme of “friendship in society”, and in particular the criticism of the Supreme Pontiff on the death penalty, taken from Fratelli tutti. Lettera Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Libreria Editrice Vaticana, October 5, 2020. The full text of the encyclical is freely available on the website of the Holy See, at this link.

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Soprattutto con gli ultimi

233. La promozione dell’amicizia sociale implica non solo l’avvicinamento tra gruppi sociali distanti a motivo di qualche periodo storico conflittuale, ma anche la ricerca di un rinnovato incontro con i settori più impoveriti e vulnerabili. La pace «non è solo assenza di guerra, ma l’impegno instancabile – soprattutto di quanti occupiamo un ufficio di maggiore responsabilità – di riconoscere, garantire e ricostruire concretamente la dignità, spesso dimenticata o ignorata, dei nostri fratelli, perché possano sentirsi protagonisti del destino della propria nazione»[1].

234. Spesso gli ultimi della società sono stati offesi con generalizzazioni ingiuste. Se talvolta i più poveri e gli scartati reagiscono con atteggiamenti che sembrano antisociali, è importante capire che in molti casi tali reazioni dipendono da una storia di disprezzo e di mancata inclusione sociale. Come hanno insegnato i Vescovi latinoamericani, «solo la vicinanza che ci rende amici ci permette di apprezzare profondamente i valori dei poveri di oggi, i loro legittimi aneliti e il loro specifico modo di vivere la fede. L’opzione per i poveri deve portarci all’amicizia con i poveri»[2].

La pace «non è solo assenza di guerra, ma l’impegno instancabile – soprattutto di quanti occupiamo un ufficio di maggiore responsabilità – di riconoscere, garantire e ricostruire concretamente la dignità, spesso dimenticata o ignorata, dei nostri fratelli»

235. Quanti pretendono di portare la pace in una società non devono dimenticare che l’inequità e la mancanza di sviluppo umano integrale non permettono che si generi pace. In effetti, «senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità»[3]. Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi […].

Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi

Le lotte legittime e il perdono

241. Non si tratta di proporre un perdono rinunciando ai propri diritti davanti a un potente corrotto, a un criminale o a qualcuno che degrada la nostra dignità. Siamo chiamati ad amare tutti, senza eccezioni, però amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa è accettabile. Al contrario, il modo buono di amarlo è cercare in vari modi di farlo smettere di opprimere, è togliergli quel potere che non sa usare e che lo deforma come essere umano. Perdonare non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui, o lasciare che un criminale continui a delinquere. Chi patisce ingiustizia deve difendere con forza i diritti suoi e della sua famiglia, proprio perché deve custodire la dignità che gli è stata data, una dignità che Dio ama. Se un delinquente ha fatto del male a me o a uno dei miei cari, nulla mi vieta di esigere giustizia e di adoperarmi affinché quella persona – o qualunque altra – non mi danneggi di nuovo né faccia lo stesso contro altri. Mi spetta farlo, e il perdono non solo non annulla questa necessità bensì la richiede.

242. Ciò che conta è non farlo per alimentare un’ira che fa male all’anima della persona e all’anima del nostro popolo, o per un bisogno malsano di distruggere l’altro scatenando una trafila di vendette […].

Non si tratta di proporre un perdono rinunciando ai propri diritti davanti a un potente corrotto, a un criminale o a qualcuno che degrada la nostra dignità […]. Amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale

Il vero superamento

244. Quando i conflitti non si risolvono ma si nascondono o si seppelliscono nel passato, ci sono silenzi che possono significare il rendersi complici di gravi errori e peccati. Invece la vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nelconflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente, sincera e paziente. La lotta tra diversi settori, «quando si astenga dagli atti di inimicizia e dall’odio vicendevole, si trasforma a poco a poco in una onesta discussione, fondata nella ricerca della giustizia»[4].

245. Più volte ho proposto «un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. […] Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto»[5]. Sappiamo bene che «ogni volta che, come persone e comunità, impariamo a puntare più in alto di noi stessi e dei nostri interessi particolari, la comprensione e l’impegno reciproci si trasformano […] in un ambito dove i conflitti, le tensioni e anche quelli che si sarebbero potuti considerare opposti in passato, possono raggiungere un’unità multiforme che genera nuova vita»[6].

Quando i conflitti non si risolvono ma si nascondono o si seppelliscono nel passato, ci sono silenzi che possono significare il rendersi complici di gravi errori e peccati. […] La vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nel conflitto

La pena di morte

263. C’è un altro modo di eliminare l’altro, non destinato ai Paesi ma alle persone. È la pena di morte. San Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera chiara e ferma che essa è inadeguata sul piano morale e non è più necessaria sul piano penale[7]. Non è possibile pensare a fare passi indietro rispetto a questa posizione. Oggi affermiamo con chiarezza che «la pena di morte è inammissibile»[8]e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo[9].

Oggi affermiamo con chiarezza che «la pena di morte è inammissibile» e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo

264. Nel Nuovo Testamento, mentre si chiede ai singoli di non farsi giustizia da sé stessi (cfr Rm12,17.19), si riconosce la necessità che le autorità impongano pene a coloro che fanno il male (cfr Rm13,4; 1 Pt 2,14). In effetti, «la vita in comune, strutturata intorno a comunità organizzate, ha bisogno di regole di convivenza la cui libera violazione richiede una risposta adeguata»[10]. Ciò comporta che l’autorità pubblica legittima possa e debba «comminare pene proporzionate alla gravità dei delitti»[11] e che garantisca al potere giudiziario «l’indipendenza necessaria nell’ambito della legge»[12].

265. Fin dai primi secoli della Chiesa, alcuni si mostrarono chiaramente contrari alla pena capitale. Ad esempio, Lattanzio sosteneva che «non va fatta alcuna distinzione: sempre sarà un crimine uccidere un uomo»[13]. Papa Nicola I esortava: «Sforzatevi di liberare dalla pena di morte non solo ciascuno degli innocenti, ma anche tutti i colpevoli»[14]. In occasione del giudizio contro alcuni omicidi che avevano assassinato dei sacerdoti, Sant’Agostino chiese al giudice di non togliere la vita agli assassini, e lo giustificava in questo modo: «Non che vogliamo con ciò impedire che si tolga a individui scellerati la libertà di commettere delitti, ma desideriamo che allo scopo basti che, lasciandoli in vita e senza mutilarli in alcuna parte del corpo, applicando le leggi repressive siano distolti dalla loro insana agitazione per esser ricondotti a una vita sana e, tranquilla, o che, sottratti alle loro opere malvage, siano occupati in qualche lavoro utile. Anche questa è bensì una condanna, ma chi non capirebbe che si tratta più di un benefizio che di un supplizio, dal momento che non è lasciato campo libero all’audacia della ferocia né si sottrae la medicina del pentimento? […] Sdegnati contro l’iniquità in modo però da non dimenticare l’umanità; non sfogare la voluttà della vendetta contro le atrocità dei peccatori, ma rivolgi la volontà a curarne le ferite»[15].

«Sdegnati contro l’iniquità in modo però da non dimenticare l’umanità; non sfogare la voluttà della vendetta contro le atrocità dei peccatori, ma rivolgi la volontà a curarne le ferite»

Sant’Agostino

266. Le paure e i rancori facilmente portano a intendere le pene in modo vendicativo, quando non crudele, invece di considerarle come parte di un processo di guarigione e di reinserimento sociale. Oggi, «tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge […].

C’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste»[16]. Ciò ha reso particolarmente rischiosa l’abitudine sempre più presente in alcuni Paesi di ricorrere a carcerazioni preventive, a reclusioni senza giudizio e specialmente alla pena di morte.

C’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose […]. Ciò ha reso particolarmente rischiosa l’abitudine sempre più presente in alcuni Paesi di ricorrere a carcerazioni preventive, a reclusioni senza giudizio e specialmente alla pena di morte

267. Desidero sottolineare che «è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone». Particolare gravità rivestono le cosiddette esecuzioni extragiudiziarie o extralegali, che «sono omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionato della forza per far applicare la legge»[17].

268. «Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne ha opportunamente sottolineato alcuni, come la possibilità dell’esistenza dell’errore giudiziario, e l’uso che di tale pena fanno i regimi totalitari e dittatoriali, che la utilizzano come strumento di soppressione della dissidenza politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali, tutte vittime che per le loro rispettive legislazioni sono “delinquenti”. Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. […] L’ergastolo è una pena di morte nascosta»[18].

Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte […] ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo

269. Ricordiamo che «neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante». Il fermo rifiuto della pena di morte mostra fino a che punto è possibile riconoscere l’inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia un suo posto in questo mondo. Poiché, se non lo nego al peggiore dei criminali, non lo negherò a nessuno, darò a tutti la possibilità di condividere con me questo pianeta malgrado ciò che possa separarci.

270. I cristiani che dubitano e si sentono tentati di cedere a qualsiasi forma di violenza, li invito a ricordare l’annuncio del libro di Isaia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri» (2,4). Per noi questa profezia prende carne in Gesù Cristo, che di fronte a un discepolo eccitato dalla violenza disse con fermezza: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (Mt26,52). Era un’eco di quell’antico ammonimento: «Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso» (Gen9,5-6). Questa reazione di Gesù, che uscì spontanea dal suo cuore, supera la distanza dei secoli e giunge fino a oggi come un costante richiamo.

«Neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante»

S. Giovanni Paolo II

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[1] Discorso alle Autorità, alla società civile e al Corpo diplomatico, Maputo – Mozambico (5 settembre 2019): L’Osservatore Romano, 6 settembre 2019, p. 6.

[2] V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), 398 (ed. it. EDB, Bologna 2014).

[3] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 59: AAS 105 (2013), 1044.

[4] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 228: AAS 105 (2013), 1113.

[5] Discorso alle Autorità, alla società civile e al Corpo diplomatico, Riga – Lettonia (24 settembre 2018): L’Osservatore Romano, 24-25 settembre 2018, p. 7.

[6] Cfr. Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), 56: AAS 87 (1995), 463-464.

[7] Discorso in occasione del 25º anniversario del Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 2017): AAS 109 (2017), 1196.

[8] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi circa la nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla pena di morte (1 agosto 2018): L’Osservatore Romano, 3 agosto 2018, p. 8.

[9] Discorso a una delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale (23 ottobre 2014): AAS 106 (2014), 840.

[10] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 402.

[11] S. Giovanni Paolo II, Discorso all’Associazione Nazionale Magistrati (31 marzo 2000), 4: AAS 92 (2000), 633.

[12] Divinae Institutiones VI, 20, 17: PL 6, 708.

[13] Epistula 97 (responsa ad consulta bulgarorum), 25: PL 119, 991.

[14] Epistula ad Marcellinum, 133, 1.2: PL 33, 509.

[15] Discorso alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale (23 ottobre 2014): AAS 106 (2014), 840-841.

[16] Ibid. AAS 106 (2014), 842.

[17] Ibid.

[18] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), 9: AAS 87 (1995), 411.

Altro

A meeting of knowledge on individual and society
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