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18.12.2019
Paola Emilia Cicerone - Silvano Montaldo

Overturning the perspective: when delinquency is female. Interview with Silvano Montaldo

Issue 12/2019

Per sapere che le donne commettono meno crimini dei maschi, basta guardare le statistiche. Sul perché questo avvenga – sono naturalmente meno inclini alla violenza, o le condizioni sociali non le mettono in condizione di esercitarla? – il dibattito è ancora aperto. E si tratta di un dibattito che ha quasi due secoli, e si è sviluppato di pari passo con le origini della criminologia: lo ricorda il saggio Donne delinquenti. Il genere e la nascita della criminologia appena pubblicato (da Carocci editore, 2019), in cui lo storico Silvano Montaldo, Direttore scientifico del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino, ripercorre il dibattito sul tema tra l’Europa e gli Stati Uniti. In un’epoca, il diciannovesimo secolo, in cui nasce la criminologia e contemporaneamente comincia a emergere la questione femminile. Un mondo segnato dai pregiudizi ma in cui le teorie di Lombroso, sintetizzate nel suo saggio La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, scatenano un dibattito che in qualche modo anticipa temi che emergono ancora oggi quando si analizza l’atteggiamento della legge nei confronti delle donne.

Per sapere che le donne commettono meno crimini dei maschi, basta guardare le statistiche. Sul perché questo avvenga – sono naturalmente meno inclini alla violenza, o le condizioni sociali non le mettono in condizione di esercitarla? – il dibattito è ancora aperto

Il problema della delinquenza femminile nasce quando comincia ad affermarsi l’idea di carcere come lo conosciamo noi, tra la metà del settecento e la metà dell’ottocento. «Prima di allora, la detenzione serviva fondamentalmente per tenere il sospetto a disposizione del giudice, quindi le carceri erano piccole, gestite da privati e distribuite sul territorio», spiega Montaldo, «mentre i delitti erano puniti con pene corporali o pecuniarie, con la pena di morte, o con la deportazione negli stati che avevano colonie».

Quando la pena detentiva diventa la norma, emerge il problema delle detenute, spesso confinate in situazioni difficili che lasciano spazio ad abusi di ogni genere: «ma al tempo stesso, mentre si discute sulle finalità della pena detentiva, si comincia a quantificare la delinquenza femminile», prosegue Montaldo. «E ci si rende conto che le donne che commettono crimini sono una minoranza». Un dato che apre la strada a interpretazioni diverse: c’è chi come il sociologo belga Adolphe Quetelet riconosce alle donne una superiorità morale, senza escludere altri fattori come la loro minor forza fisica, ma anche il fatto che le donne, meno inserite nella vita sociale, avevano semplicemente minori occasioni di delinquere.

Quando Lombroso affronta il tema, ha già sviluppato la sua teoria sull’atavismo criminale, che vede nell’uomo che infrange le regole morali una sorta di sottospecie affine all’umanità primitiva, riconoscibile anche dai tratti somatici e dalla struttura del cranio. Lo studioso, che nel 1876 ha già dato alle stampe L’uomo delinquente, affronta il problema della criminalità femminile in un saggio scritto in collaborazione con Guglielmo Ferrero, un giovane studioso che in seguito sarebbe diventato suo genero: La donna delinquente, pubblicato nel 1893. Un testo che esplicita le sue teorie sull’inferiorità della donna: «la donna è più cattiva che buona, e quando è buona lo è spesso per stupidità», sintetizza all’epoca Ferrero scrivendo a un collega.

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«Lombroso integra gli stereotipi sulla donna ancora presenti all’epoca con nuovi pregiudizi, che dovrebbero avere una base scientifica», osserva Montaldo, «nonostante il valore delle sue ricerche, che ci hanno permesso di recuperare testimonianze importanti sulla vita dei ceti popolari – pensiamo solo alla ricchissima documentazione sui tatuaggi –, Lombroso non è stato capace di guardare di là dalle proprie convinzioni misogine, cui ha tentato di dare giustificazioni scientifiche». Suscitando reazioni negative da parte di molti studiosi, tanto che le sue posizioni sulle donne contribuiranno a screditarne l’immagine negli ambienti accademici.

Eppure, proprio in questi anni si sono affermate convinzioni dure a morire, come quelle che identificano la criminalità femminile con un comportamento sessuale troppo libero. «Un’idea che riflette le paure di una società misogina e patriarcale, per cui la devianza sessuale diventa sinonimo di criminalità», nota Montaldo. E che condiziona fino a tempi recenti la gestione delle carceri, dove spesso le detenute sono affidate a religiose con l’intento di correggerne il malcostume.

«Lombroso non condivideva le preoccupazioni espresse dalla Chiesa, ma classificare come criminali le donne sessualmente libere, e in particolare le prostitute, gli permette di spiegare l’apparente contraddizione secondo la quale la donna, pur meno evoluta del maschio, commette meno delitti», spiega Montaldo.

In questi anni si sono affermate convinzioni dure a morire, come quelle che identificano la criminalità femminile con un comportamento sessuale troppo libero. Un’idea che riflette le paure di una società misogina e patriarcale, per cui la devianza sessuale diventa sinonimo di criminalità, nota Montaldo. E che condiziona fino a tempi recenti la gestione delle carceri, dove spesso le detenute sono affidate a religiose con l’intento di correggerne il malcostume

D’altronde Lombroso aveva nei confronti della prostituzione, che all’epoca era diffusa in forma legalizzata secondo il modello francese, un atteggiamento piuttosto cinico, considerandola in qualche modo utile a livello sociale. Un atteggiamento che sollevò critiche particolarmente in Francia, dove all’epoca si stavano sviluppando le prime iniziative a tutela delle prostitute. «L’idea di Lombroso era che la donna normale non fosse particolarmente interessata al sesso, se non in funzione di una possibile maternità», ricorda Montaldo. Anche per questo l’omosessualità era presentata come una delle caratteristiche della donna delinquente: «ed è paradossale che Lombroso, studiando i legami omosessuali che nascono nelle carceri femminili, finisca col fornire una delle prime testimonianze su questo tema», ricorda Montaldo, «anche se dal suo punto di vita l’omosessualità è un segnale del ritorno all’atavismo di questi soggetti criminali».

Anche i reati “tipicamente femminili” come l’aborto o l’infanticidio, d’altronde, sono legati alla sfera sessuale, e spesso alla necessità di nascondere gravidanze clandestine che comporterebbero un ostracismo sociale. «Non pochi studiosi, all’epoca, danno dell’aborto una lettura di tipo eugenetico, non lo vedono come un vero e proprio crimine perché impedisce la nascita di individui che sarebbero diventati a loro volta criminali, o comunque sarebbero stati un peso per la società», ricorda Montaldo. Quanto all’infanticidio, come fattispecie di reato si sviluppa piuttosto tardi perché è legato al concetto di infanzia, che si definisce tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo: «anche considerando le diverse circostanze, legate alla condizione della donna e all’età del bambino – e le differenze anche sensibili nelle varie legislazioni – in generale l’atteggiamento dei criminologi punta a un alleggerimento della pena, per cercare di evitare a queste donne la pena capitale prevista per l’omicidio», osserva Montaldo; «in generale, c’è un atteggiamento paternalistico nei confronti dei reati commessi dalle donne, considerate meno evolute e quindi meno pericolose dell’uomo». Lo stesso Lombroso propone pene inferiori per i reati commessi da donne, per affermare le differenze tra i sessi anche di fronte alla legge.

Un approccio discriminatorio che stona di fronte all’atteggiamento dello studioso nei confronti delle intellettuali con cui si è confrontato, come la criminologa russa Tarnovskaya, o Anna Kuliscioff, che frequentò la sua casa. E delle sue stesse figlie, Paola e soprattutto Gina, che avevano studiato ed erano diventate sue strette collaboratrici.

In generale, c’è un atteggiamento paternalistico nei confronti dei reati commessi dalle donne, considerate meno evolute e quindi meno pericolose dell’uomo […]. Un approccio discriminatorio che stona di fronte all’atteggiamento dello studioso nei confronti delle intellettuali con cui si è confrontato

«Sono anni in cui i ruoli di genere si trasformano, facendo emergere una serie di contraddizioni», spiega Montaldo, «spesso le donne intelligenti e colte sono considerate eccezioni». Lo fa il drammaturgo Strindberg, e lo stesso Turati, scrivendo alla Kuliscioff, la definisce “un’eccezione”, provocando la reazione indignata della donna. Così, Lombroso considera un’eccezione le proprie figlie e della Kuliscioff, che pure aveva frequentato, scrive in una perizia che «benché medichessa ha un’idea inadeguata della donna, che crede uguale all’uomo».

«Nel pensiero di Lombroso», spiega Montaldo, «le donne intraprendenti, moderne, che si battono per i loro ideali, annunciano una trasformazione sociale che spaventa». È questo che lo spinge a classificare come criminali le rivoluzionarie della Comune di Parigi. E sono i suoi pregiudizi che gli fanno vedere segni di “atavismo criminale” nel cranio di Carlotta Corday – oggi scomparso – che gli era stato sottoposto dal principe Bonaparte che lo conservava, mentre l’antropologo francese Topinard vede nello stesso reperto le tracce di un’indole patriottica ed eroica.

Nel pensiero di Lombroso, spiega Montaldo, le donne intraprendenti, moderne, che si battono per i loro ideali, annunciano una trasformazione sociale che spaventa

Nonostante il successo – soprattutto negli Stati Uniti – de La donna delinquente, tradotta in varie lingue anche se privata dei capitoli dedicati al sesso, che erano stati considerati scandalosi, le polemiche sul libro segnano il declino delle teorie lombrosiane: «e al tempo stesso ci raccontano la vivacità del dibattito all’interno di una società scientifica piccola, poliglotta e molto ben informata»,  spiega Montaldo, «in un’epoca in cui le grandi riviste erano poche ma autorevoli e molto lette». Dopo i successi iniziali, le critiche a Lombroso arrivano da molti studiosi e dall’opinione pubblica più avanzata, soprattutto in paesi come la Francia, l’Inghilterra e la Germania, dove i dibattiti sulla questione femminile erano stati più intensi. «Lombroso afferma di riconoscere i fattori sociali che incidono nella delinquenza, ma continua a pensare ai criminali come a persone biologicamente diverse dai loro simili», conclude Montaldo. «Già all’epoca emergono le modalità non scientifiche con le quali produceva i suoi lavori, soprattutto gli studi sulle donne». E non è un caso che le difficoltà maggiori vengano dal confronto con due ricercatrici, la Tarnovskaya, e soprattutto la sociologa americana Frances Kellor, i cui studi sulle carcerate possono essere considerati un primo trattato di criminologia nel senso moderno del termine.

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A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

ISSN 2612-677X (website)
ISSN 2704-6516 (journal)

 

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