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08.04.2020
Raffaele Bianchetti

“Eternit bis” case

A short historical-legal reconstruction of a trial that will mark Italy and many people’s lives

 

Issue 4/2020

 

Abstract. The present work aims to focus on the asbestos case legal and historical reconstruction, in order to understand a recent judicial decision in which the Court of Vercelli (Piedmont) gave course to the so-called “Eternit bis” trial before the Court of Novara, scheduled for the next November 27.

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L’udienza preliminare del processo “Eternit bis”, conclusasi il 24 gennaio 2020 davanti al Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Vercelli – con i provvedimenti qui pubblicati –, rappresenta un nuovo ed ulteriore momento di questa vicenda processuale, avente ad oggetto i decessi di migliaia di persone (lavoratori degli stabilimenti produttivi dell’eternit – materiale di fibrocemento contenente cemento ed un insieme di minerali che risultano essere altamente dannosi per l’uomo – e persone residenti in diverse zone di Italia) per l’inalazione delle polveri d’amianto[1].

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L’incipit della vicenda, si rammenta, risale al 2009, quando Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier De Marchienne sono stati chiamati a rispondere – quali effettivi responsabili della gestione, nel tempo, della società Eternit S.p.a., esercente presso gli stabilimenti di lavorazione dell’amianto siti in Cavagnolo (TO), Casale Monferrato (AL), Bagnoli (NA) e Rubiera (RE) –[2] dei delitti di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro  [ai sensi dell’art. 437 c.p., capo A) dell’imputazione] e di disastro doloso [ex art. 434 c.p., capo B) dell’imputazione], aggravati dai disastri e dagli infortuni occorsi.

L’udienza preliminare del processo “Eternit bis”, conclusasi il 24 gennaio 2020 […], rappresenta un nuovo ed ulteriore momento di questa vicenda processuale, avente ad oggetto i decessi di migliaia di persone (lavoratori degli stabilimenti produttivi dell’eternit […] e persone residenti in diverse zone di Italia) per l’inalazione delle polveri d’amianto

Con sentenza del 13 febbraio 2012, il Tribunale di Torino dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati:

– in ordine ai fatti del capo A), commessi fino al 13 agosto 1999;

– in ordine ai fatti contestati al capo B), commessi in Rubiera (RE) e in Bagnoli (NA), perché estinti per prescrizione.

Inoltre, il Tribunale dichiarava entrambi gli imputati colpevoli:

– dei reati a loro contestati al capo A), relativamente ai fatti successivi al 13 agosto 1999;

– dei reati contestati al capo B) commessi:
i) quanto a Schmidheiny, dal 27 giugno 1966 in poi per tutti i siti;
ii) quanto a De Cartier, dal 18 settembre 1974 in poi per i siti di Cavagnolo (TO) e Casale Monferrato (AL).

Infine, sempre il Tribunale di Torino, riconosciuta la continuazione dei reati, condannava gli imputati alla pena di sedici anni di reclusione per ciascuno degli infortuni avvenuti[3].

A seguito di regolare impugnazione proposta dal Pubblico Ministero, dal Procuratore Generale di Torino, dagli imputati, dai responsabili civili e da alcune parti civili che si erano costituite in giudizio, la Corte di Appello di Torino, con sentenza del 3 giugno 2013, in parziale riforma delle statuizioni del Tribunale, assolveva entrambi gli imputati per i fatti loro ascritti sino al 27 giugno 1966 – e De Cartier in relazione ai fatti riferiti al sito di Rubiera (RE) –, per non averli commessi[4].

Quanto ai fatti residui, la Corte territoriale dichiarava di non doversi procedere nei confronti di De Cartier per la morte dell’imputato e revocava, di conseguenza, le sanzioni accessorie e le statuizioni civili stabilite nei confronti suoi e del responsabile civile (Etex Group S.A.).

Altresì, la Corte ricostruiva nel seguente modo i periodi di responsabilità penale di Schmidheiny (in quanto afferenti ad effettiva e consapevole gestione):

– dal 27 giugno 1976 al 4 giugno 1986 per i siti di Casale Monferrato (AL) e Cavagnolo (TO);

– dal 27 giugno 1976 al 19 dicembre 1985 per il sito di Bagnoli (NA);

– dal 27 giugno 1976 al 16 dicembre 1984 per il sito di Rubiera (RE).

Infine, assolveva Schmidheiny dai reati a lui ascritti per il periodo che andava dal 27 giugno 1966 a tutto il mese di maggio 1976, per non avere commesso i fatti. Dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti in relazione al restante fatto contestato nell’ambito del delitto di cui al capo A (omissione dolosa di cautele contro gli infortuni su lavoro), perché estinto per prescrizione. Dichiarava, invece, Schmidheiny responsabile del delitto continuato di cui all’art. 434 co. 2 c.p., limitatamente alle condotte successive al maggio 1976, anche con riferimento ai disastri dolosi verificatisi a Bagnoli (NA) e a Rubiera (RE) e rideterminava, conseguentemente, la pena definitiva in 18 anni di reclusione.

A seguito di ricorso per cassazione proposto sia dall’imputato Schmidheiny sia dai responsabili civili e da alcune parti civili, la Corte di cassazione, con sentenza del 19 novembre 2014, n. 7941, confutando i criteri utilizzati dal primo e dal secondo grado di giudizio per calcolare il tempo necessario a prescrivere in ordine al (residuo) reato di cui all’articolo 434 c.p., con particolare riferimento all’individuazione del dies a quo della decorrenza del termine, annullava senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dell’imputato Schmidheiny per essere anche tale reato estinto per prescrizione maturata anteriormente alla sentenza di primo grado[5].

La Corte di cassazione, con sentenza del 19 novembre 2014, n. 7941, […] in ordine al (residuo) reato di cui all’articolo 434 c.p. […], annullava senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dell’imputato Schmidheiny per essere anche tale reato estinto per prescrizione

Nella motivazione della sentenza, tuttavia, la Corte di cassazione precisava che le singole malattie e le singole morti dei lavoratori e dei residenti, cagionate dall’inalazione delle poveri sottili dell’amianto, erano eventi estranei ed ulteriori rispetto ai reati d’impronta marcatamente collettiva, di cui agli artt. 437 e 434 c.p. – su cui, come si è detto, era definitivamente calata la scure della prescrizione –, ma erano fatti costitutivi i differenti reati di lesioni personali e di omicidio: delitti, però, che non solo non erano mai stati oggetto di contestazione formale, ma nei cui confronti era altresì stata espressamente respinta, in entrambi i giudizi di merito (quello del Tribunale e quello della Corte di Appello di Torino), qualsiasi richiesta volta alla verifica dei nessi di causalità tra le singole patologie riscontrate e la contaminazione ambientale[6].

Nella motivazione della sentenza, tuttavia, la Corte di cassazione precisava che le singole malattie e le singole morti dei lavoratori e dei residenti […] erano eventi estranei ed ulteriori rispetto ai reati […] di cui agli artt. 437 e 434 c.p. […], ma erano fatti costitutivi i differenti reati di lesioni personali e di omicidio

Proprio tale inciso, contenuto nella motivazione della sentenza della Suprema Corte, induceva la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino ad iscrivere un secondo procedimento penale, denominato appunto “Eternit bis”, avente ad oggetto il reato di omicidio volontario plurimo continuato in relazione alle morti già verificatesi al momento della chiusura del primo processo (e ovviamente riferibili ai periodi di gestione contestati all’imputato) insieme alle morti sopravvenute nelle more dello stesso, essendo noto che, a causa dei lunghi processi di latenza dell’asbestosi e del mesotelioma polmonare, la patogenesi è tuttora in atto e che seguiranno, ancora per i prossimi anni, altre morti.

La richiesta di rinvio a giudizio per il processo “Eternit bis” approdava nel maggio 2015 davanti al Giudice dell’udienza preliminare di Torino, individuato quale Ufficio giudiziario competente per tutti gli stabilimenti in ragione dello spostamento della competenza per “connessione da continuazione” ai sensi degli artt. 12 lett. b) e 16 c.p.p.[7].

La richiesta di rinvio a giudizio per il processo “Eternit bis” approdava nel maggio 2015 davanti al Giudice dell’udienza preliminare di Torino

La prima questione affrontata in udienza, con valenza pregiudiziale al merito, è stata quella dell’eventuale (im)procedibilità dell’“Eternit bis” per ne bis in idem processuale, in quanto la difesa sosteneva che, pur in presenza di una imputazione focalizzata su un diverso elemento del reato (cioè la morte della singola vittima), l’imputato era, nondimeno, già stato giudicato e, infine, definitivamente prosciolto (sia pure per intervenuta prescrizione), per le stesse identiche condotte che gli venivano ora nuovamente contestate, seppure come causative di eventi patologici singoli e non più, come nel primo processo, d’impatto ambientale e collettivo.

Per dirimere tale questione, il Giudice per l’udienza preliminare di Torino sollevava questione di legittimità costituzionale in ordine alla legittimità e alla corretta interpretazione dell’art. 649 c.p.p. («Divieto di un secondo giudizio»), anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo – e quindi del sistema delle “fonti interposte” ai sensi dell’articolo 117 Cost. – in relazione all’analogo principio contenuto all’articolo 4 del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU), cioè il diritto di non essere giudicato o punito due volte.

Con la sentenza n. 200 del 21 luglio 2016 la Corte costituzionale ha parzialmente accolto la questione, dichiarando l’illegittimità dell’art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale[8].

Tuttavia, sulla (non) rilevanza di tale decisum nel caso concreto, segnatamente ai fini di un arresto dell’Eternit bis per ne bis in idem processuale, la Corte ha fornito al Giudice del merito inequivoci indici interpretativi, in particolare precisando che ai fini della decisione sull’applicabilità del divieto di bis in idem rileva il solo giudizio sul “fatto storico” e che per “fatto storico” non si intende la sola “condotta” del soggetto ma, al contrario, un’articolazione concettuale complessa, costituita da più elementi inscindibilmente collegati tra loro, che devono essere oggetto di valutazione empirica e non giuridica e che costituiscono la cosiddetta triade del fatto: condotta, nesso causale ed evento[9].

Per determinare la differenza o la sostanziale assimilabilità delle contestazioni, tanto nel sistema della CEDU quanto in quello costituzionale, il giudice deve quindi «porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all’esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione»[10] e, poi, deve considerare che i fatti sono diversi «qualora da un’unica condotta scaturiscano la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio», cosa che, di fatto, costituisce «un nuovo evento in senso storico»[11]. Ove invece il primo giudizio abbia riguardato anche quella persona, occorre accertare se l’evento (morte o lesione) sia già stato specificamente considerato, unitamente al nesso causale con la condotta dell’imputato[12].

Ferma, quindi, la processabilità dell’imputato Schmidheiny con riguardo alle morti da amianto verificatesi in epoca successiva al primo giudicato (e anche a quelle che seguiranno), occorreva affrontare la seconda questione e, quindi, accertare, quanto ai decessi già verificatisi al momento del primo processo, se essi fossero ivi stati presi in considerazione come eventi – e quindi come “fatti storici” – autonomi e come tali fossero stati oggetto di accertamento specifico esteso al nesso eziologico con la condotta dell’imputato.

Tale verifica, come si è visto, era stata risolta a monte, in senso negativo, dalla Corte di cassazione, che aveva espressamente escluso, per l’appunto, che in entrambi i gradi di merito del primo processo fosse entrato il thema probandum inerente alla verifica dei nessi di causalità tra le singole morti e la contaminazione ambientale.

Ferma, quindi, la processabilità dell’imputato Schmidheiny con riguardo alle morti da amianto verificatesi in epoca successiva al primo giudicato (e anche a quelle che seguiranno), occorreva […] quindi accertare, quanto ai decessi già verificatisi al momento del primo processo, se essi fossero ivi stati presi in considerazione come eventi – e quindi come “fatti storici”

Il processo, dunque, è ripreso davanti al Giudice per l’udienza preliminare di Torino che, in conformità alle indicazioni della Corte costituzionale, non ha arrestato il procedimento per divieto di un secondo giudizio ma ha definito l’udienza preliminare ritenendo, nondimeno, di mutare la qualificazione giuridica dedotta dal pubblico ministero nell’imputazione: da omicidio volontario aggravato e continuato ad omicidio colposo plurimo aggravato dalla previsione dell’evento.

Così, all’esito dell’udienza preliminare del 29 novembre 2016, il Giudice per l’udienza preliminare di Torino ha emesso contestualmente i seguenti provvedimenti:

 a) decreto che dispone il giudizio davanti al Tribunale monocratico di Torino alla luce della suddetta nuova qualificazione giuridica, in esclusivo riferimento ai decessi correlati allo stabilimento di Cavagnolo (TO);

 b) sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione in relazione ai decessi correlati al medesimo stabilimento per cui era già decorso il tempo necessario, individuato ratione temporis in riferimento al delitto di omicidio colposo aggravato;

 c) sentenza di incompetenza territoriale in riferimento ai decessi correlati agli altri stabilimenti produttivi.

Il […] Giudice per l’udienza preliminare di Torino […] ha definito l’udienza preliminare ritenendo […] di mutare la qualificazione giuridica dedotta dal pubblico ministero nell’imputazione: da omicidio volontario aggravato e continuato ad omicidio colposo plurimo aggravato dalla previsione dell’evento.

Di conseguenza, dato che la maggior parte dei decessi avvenuti è connessa allo stabilimento di Casale Monferrato (AL), il procedimento è stato trasferito per competenza all’Ufficio giudiziario di Vercelli.

A seguito dei ricorsi interposti dalla Procura generale presso la Corte d’Appello di Torino e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino avverso le sentenze di proscioglimento per intervenuta prescrizione e di incompetenza territoriale, la Corte di cassazione, Sez. pen. I, con le sentenze nn. 21732 e 21733 del 16 maggio 2018 ha dichiarato inammissibili i ricorsi[13].

Il processo penale, quindi, è ripreso, a seguito della traslatio iudicii, presso le sedi individuate come competenti. Tra queste[14] vi è il Tribunale di Vercelli, competente in ordine allo stabilimento “madre” di Casale Monferrato (AL), il quale, come si è detto, ha attratto la maggior parte delle contestazioni (in tutto 392 posizioni, tra vittime “da lavoro” e vittime “da residenza”).

La scelta processuale della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vercelli, coadiuvata dallo stesso Sostituto Procuratore della Repubblica di Torino che aveva seguito il processo davanti alla Corte torinese, applicato con provvedimento del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino, è stata quella di mantenere la qualificazione giuridica di omicidio volontario aggravato e di sostituire, però, il regime della continuazione con quello del concorso formale di reati.

L’udienza preliminare davanti al Tribunale di Vercelli si è aperta il 14 gennaio 2020 e si è chiusa il 24 gennaio 2020, con l’emissione del decreto dispositivo del giudizio davanti alla Corte d’Assise di Novara – funzionalmente e territorialmente competente per il dibattimento (la prima udienza è fissata per il 27 novembre 2020) – con la qualificazione giuridica contenuta nell’imputazione “originaria”: qualificazione, quindi, che il Giudice di Vercelli, diversamente dal Giudice di Torino, ha ritenuto idonea a passare il vaglio dell’udienza preliminare[15].

Il processo penale, quindi, è ripreso, a seguito della traslatio iudicii, presso le sedi individuate come competenti. Tra queste vi è il Tribunale di Vercelli, competente in ordine allo stabilimento “madre” di Casale Monferrato (AL) […]. L’udienza preliminare davanti al Tribunale di Vercelli si è aperta il 14 gennaio 2020 e si è chiusa il 24 gennaio 2020, con l’emissione del decreto dispositivo del giudizio davanti alla Corte d’Assise di Novara

Con ordinanza del medesimo 24 gennaio u.s., il Giudice ha motivato la propria decisione, affrontando le complesse questioni emerse dalla discussione – tra cui una riproposizione, in termini differenti, dell’eccezione di ne bis in idem e l’inedita questione processuale relativa alla sostenibilità, affermata dalla difesa, di un vincolo sull’imputazione creato dal precedente torinese[16]–.

Si anticipa, sin d’ora, che la Rivista seguirà il processo di primo grado davanti alla Corte d’Assise di Novara.

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[1] Nel 2017 le vittime dell’amianto sono state 6.000, ma il picco di decessi è atteso per il quinquennio 2025-2030 (v., per approfondimenti, il Libro bianco realizzato dall’Osservatorio nazionale amianto – ONA, www.osservatorioamianto.com). Per l’Inail, l’Italia è uno dei Paesi al mondo maggiormente colpiti dall’epidemia di malattie amianto-correlate (cfr., in proposito, il VI Rapporto del registro nazionale dei mesoteliomi, 2018, www.inail.it).

[2] In realtà, Stephan Schmidheiny è stato imputato anche quale effettivo responsabile della gestione delle società Industria Eternit Casale Monferrato S.p.a., Industria Eternit Napoli S.p.a., Icar S.p.a. e Industria Eternit Reggio Emilia S. p.a., esercenti presso i suddetti stabilimenti di lavorazione dell’amianto siti in Cavagnolo (TO), Casale Monferrato (AL), Bagnoli (NA) e Rubiera (RE).

[3]Si veda Trib. Torino, 13 febbraio 2012, Pres. Casalbore, imp. Schmidheiny e altro, in questa rivista, accessibile al presente link.

[4] Si veda Corte d’Appello di Torino, 3 giugno 2013, Pres. Oggé, imp. Schmidheiny, in questa rivista, accessibile al presente link.

[5] Si veda Cass. pen., sez. I, 19 novembre 2014 (dep. 23 febbraio 2015), n. 7941, Pres. Cortese, Est. Di Tomassi, imp. Schmidheiny, in questa rivista, accessibile al presente link.

[6] Idem, pp. 83 ss.

[7] Per completezza: art. 12 c.p.p. «Casi di connessione». – 1. Si ha connessione dei procedimenti: a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l’evento; b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso […].
Art. 16 c.p.p. «Competenza per territorio determinata dalla connessione». – 1. La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato […].

[8] Si veda Corte cost., 31 maggio 2016 (dep. 21 luglio 2016), n. 200, Pres. Grossi, Rel. Lattanzi, pubb. in G. U. 27/07/2016, p. 21, in questa rivista, accessibile al presente link.

[9] Idem, pp. 14 ss.

[10] Idem, p. 20.

[11] Idem, p. 21.

[12] Ibidem.

[13] Si vedano le sentenze di Cass. pen., Sez. I, 16 maggio 2018 (ud. 13 dicembre 2017), nn. 21732 – 21733, entrambe pubblicate in questa rivista, rispettivamente a questo e a questo link.

[14] Oltre che Vercelli e Torino, le sedi competenti sono Napoli e Reggio Emilia.

[15] Il testo integrale del decreto emesso dal Gip di Vercelli è pubblicato in questa rivista ed è accessibile al presente link.

[16] Anche il testo dell’ordinanza è pubblicato in questa rivista ed è accessibile al presente link.

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