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02.04.2019
Paola Emilia Cicerone

People, more than institutions

People constitute the Services and give shape to institutional responses to problematic additive behaviours of human beings. But these answers alone are not enough: we need human relationships that know how to activate the real resources that each one possesses and that can make available to the other in terms of treatment and social prevention.

 The editorial staff

Issue 4/2019

«Ho cominciato a riemergere quando ho toccato il fondo. Per poi uscirne, perché potessi fare da testimone, dare un aiuto a chi ha i miei stessi problemi».

Donato, cinquantenne milanese con una lunga storia di ludopatia, riassume così il percorso che l’ha portato a vivere esperienze drammatiche – la droga, il carcere, i debiti – e che oggi ne ha fatto un portavoce dell’associazione dei Giocatori Anonimi, impegnato a raccontare la propria storia nelle scuole per tenere lontani i ragazzi dall’azzardo. Partendo proprio da quando lui stesso, ragazzo, ha incontrato per la prima volta il gioco.

«Ero in un bar col biliardo, avevo sedici anni, ero senza soldi e ho scommesso una bevuta. Ho perso, poi ho scommesso due bevute, e poi non ho più smesso», racconta Donato. «Di quel momento ricordo l’emozione, ho sentito che avrei potuto continuare a giocare all’infinito».

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È un momento di svolta, il problema è che Donato non ha accanto qualcuno che si occupi di lui, e possa indirizzarlo: vive in una famiglia problematica, da piccolo è stato messo in collegio e il padre, quando scopre che ha giocato e perso, gli dice solo che deve andare a lavorare. Gli adulti che ha intorno sono quelli con cui gioca, a carte o a biliardo, «persone per cui ero soprattutto un pollo da spennare», ricorda.

E il passo successivo è l’incontro con la droga: «avevo diciotto anni quando un amico mi ha offerto la cocaina, che avrebbe dovuto aiutarmi a tirarmi su, a non pensare», racconta, «così, però mi sono trovato con due dipendenze, anzi tre considerando il fumo».

E si è messo nei guai.

Ricordo l’emozione, ho sentito che avrei potuto continuare giocare all’infinito

«Ho visto che alla mia compagnia la droga piaceva e ho cominciato a spacciare, compravo coca e poi la rivendevo per procurarmi i soldi da giocare». Una scelta che finisce con un arresto – «sono stati anni di pura follia, non so più se mi drogavo per andare a giocare, o giocavo per procurarmi i soldi per la droga», racconta.

Ma proprio l’esperienza del carcere lo aiuta a liberarsi dalla droga. «Sono andato avanti anni, volevo smettere di drogarmi ma non ce la facevo: l’arresto è stato una mazzata che mi ha fatto riflettere», racconta Donato. Anche se in carcere ha passato pochi giorni: «ho usufruito quasi subito dei domiciliari perché la mia famiglia aveva bisogno di me e il giudice è stato comprensivo. Ti faccio andare a casa, ha detto, ma non ti voglio più vedere neanche con un grammo di cocaina».

I giorni di carcere, una ventina, sono legati in realtà a un episodio ben preciso, un’altra “leggerezza”: «mentre ero ai domiciliari, sono uscito per fare una commissione per i miei, in quell’occasione hanno fatto un controllo e sono stato scoperto, mi hanno portato in carcere com’ero, in ciabatte». Ma pochi giorni bastano per prendere una decisione importante: «ho capito che stavo dando un dispiacere ai miei, e quando sono uscito, della cocaina non ne ho più voluto sapere», spiega Donato. Che supera anche i controlli bisettimanali presso il SERT, «salvo una volta», ammette, «perché mi avevano detto che se all’esame delle urine fossi risultato positivo avrei potuto chiedere aiuto, forse entrare in comunità. Poi mi sono reso conto di avere sbagliato».

Sono stati anni di pura follia, non so più se mi drogavo per andare a giocare, o giocavo per procurarmi i soldi per la droga

Anche il processo si risolve bene – «essendo incensurato ho avuto la sospensione condizionale della pena, e proprio di recente ho ottenuto la riabilitazione», racconta Donato – ma il gioco è un’altra faccenda.

«Ho fatto qualunque gioco, carte, cavalli, casinò, perfino i dadi, che non mi piacevano».  Trovare da giocare è facile, «e all’inizio è piacevole, dopo diventa compulsivo, non si riesce a smettere, giocavo con due macchinette per volta». E uscirne è difficile anche perché, negli anni, nessuna istituzione intercetta i problemi di Donato o gli offre aiuto.

Gli incontri che hanno fatto la differenza nella sua vita sono quelli, casuali, con due sacerdoti: don Giovanni – «un avvocato che difendeva i poveri e che poi si è fatto prete» – conosciuto quando era ragazzo, che aiuta la famiglia e lascia un’impressione importante, ma non ferma Donato. «Se lo avessi ascoltato molte cose sarebbero andate diversamente, ma all’epoca non ascoltavo nessuno», spiega. «La fede c’era già, ma non avevo occasione di viverla, anche per le difficoltà che attraversavo con la mia famiglia».

L’incontro decisivo, invece, è quello con don Pino.

«Era il parroco del quartiere in cui mi ero trasferito, lo conoscevo già e mi piaceva, era una persona con la quale avevo pensato da subito di potermi aprire, però all’inizio non gli dissi del gioco, volevo ancora tenere questo segreto per me», racconta Donato. «Poi, però, per ottenere i soldi che mi servivano facevo di tutto, chiedevo agli amici al mio datore di lavoro, e ho perfino mentito a don Pino».

Una bugia che pesa: «non sopportavo più questa situazione, così gli ho chiesto di confessarmi, e ho buttato fuori tutto. Però don Pino non mi ha dato subito l’assoluzione: mi ha chiesto di iscrivermi ai Giocatori Anonimi e al tempo stesso mi ha inserito in un gruppo di preghiera».

Forse è proprio l’opportunità che Donato aspettava: incontrare persone con cui essere se stesso, a cui chiedere aiuto. E proprio grazie ai consigli di un partecipante al gruppo di preghiera, che lavora in tribunale, la vicenda giudiziaria legata al possesso di droga si conclude positivamente con la remissione del debito.

E anche l’esperienza nell’associazione è positiva: «sapevo già che esistevano queste associazioni, me ne aveva parlato un amico cui avevo chiesto soldi», spiega Donato, «ma ero convinto di farcela da solo, continuavo a ripetermi, come fanno tanti giocatori, “smetto quando voglio”».

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Adesso però qualcosa è cambiato davvero, e il gruppo [quello dei Giocatori Anonimi] diventa da subito un punto di riferimento: «quello che aiuta è la testimonianza, il confronto con le persone che condividono le loro esperienze, le loro sofferenze», spiega Donato.

E si va avanti un giorno alla volta, «il primo passo è arrendersi, ingoiare l’orgoglio, rendersi conto che il gioco è più forte di te, e che non c’è da vergognarsi a chiedere aiuto: a quel punto, sapere che gli altri sono nella tua stessa barca ti dà forza, ti ricarica». E permette di rinunciare, «un giorno alla volta», al gioco.

«Chi gioca vuole ottenere tutto e subito, è un’ossessione, un’idea con cui ti svegli la mattina e che ti segue per tutto il giorno, la sera vai a letto pensando che il giorno dopo devio vincere. E poi non arrivi a fin mese perché ti sei giocato i soldi della spesa, inventi scuse fantasiose per chiedere soldi a chiunque», ricorda Donato. «L’astinenza è dura, ma per noi non ci sono terapie a scalare, non puoi ridurre, o giochi o non giochi».

L’astinenza è dura, ma per noi non ci sono terapie a scalare,
non puoi ridurre, o giochi o non giochi

E le ricadute? «Una sola, ho giocato due euro e mi sembrava niente, ma vale comunque come ricaduta e ho dovuto ricominciare da capo a contare i giorni di astinenza, e rinviare il traguardo di astinenza, il “compleanno” che si festeggia nel gruppo… mi brucia ancora».

Il gruppo però funziona, e grazie ai suoi compagni di percorso Donato è riuscito a mettere i paletti a una vita sregolata: «ora vado in giro con pochi soldi in tasca per evitare tentazioni, non frequento i vecchi ambienti o i bar dove ci sono macchinette, piuttosto vado al parco o leggo un libro: cose che non avevo mai fatto», racconta.

Trent’anni di gioco non si cancellano, «ma dopo sei mesi che frequentavo il gruppo ho ricominciato a dormire la notte».

E poi ha ripreso a lavorare e a fare ordine – ancora una volta c’è don Pino a sorreggerlo – nelle sue disastrate finanze. «Per fortuna, non avendo una busta paga, non avevo ottenuto finanziamenti» ricorda, Donato. «Quando sono entrato in Giocatori Anonimi avevo tre debiti, con un amico, con don Pino e con un mio ex datore di lavoro: la cosa bella è che questa persona si è resa conto che stavo cambiando, e quando gli ho restituito il debito mi ha detto che se avessi avuto ancora bisogno mi avrebbe aiutato. Ho sentito che mi dava fiducia, è stato molto importante».

Il gruppo resta centrale – «e lo frequento sempre, anche per aiutare i nuovi arrivati» – ma la figura di riferimento resta don Pino: «il mio sponsor è lui, anche se in teoria dovrebbe essere qualcuno che fa parte del gruppo. E mi succede di rivolgermi agli anziani del gruppo per un consiglio. Ma è lui la persona che mi ha aiutato di più, il mio padre spirituale».

Anche se Donato ricorda l’incontro con una psicologa di un consultorio che l’ha sostenuto in un momento di crisi: «ho trovato una persona con cui mi potevo confidare» spiega, una persona che ha riconosciuto il carico emotivo e pratico generato da una famiglia complessa e l’ha aiutato a dipanare qualche nodo prendendosi i suoi spazi e, anche in questo caso, a capire a chi chiedere aiuto.

E alla fine Donato si è liberato anche dell’ultima dipendenza, quella da tabacco, grazie a una bronchite ma anche a una voce – forse interiore, ma lui giura di averla sentita davvero – che gli ha detto di prendere il rosario e di fare quell’ultimo sacrificio: «“almeno quello lasciamelo”, ho provato a dire», ricorda Donato «ma poi è arrivata la bronchite e ho smesso».

E non c’è dubbio che nel suo percorso la fede abbia giocato un ruolo importante: «frequento la chiesa, vado a messa e il parroco mi ha chiesto di fare il chierichetto», ricorda Donato, per poi raccontare con emozione una veglia pasquale in cui ha rivissuto con emozione la sua storia, anche questa segnata da una “rinascita” dovuta alle persone che hanno creduto in lui e alla sua volontà di cambiare.

«Ora ho un lavoro, spero un giorno di farmi una famiglia», conclude. «Per il gioco, ho proprio un rifiuto: sarò comunque un giocatore compulsivo, per tutta la vita, però non giocherò mai più, perché solo così mi sento pulito».

Sarò comunque un giocatore compulsivo, per tutta la vita, però non giocherò mai più

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A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

ISSN 2612-677X (website)
ISSN 2704-6516 (journal)

 

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