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01.12.2021
Eleonora Montani

The story of Agata: It takes a flower to do it all… (1/4)

Usury: the courage to denounce it (and tell about it). Four stories of victims of usury to change the look

Issue 12/2021

Abstract. Usury is a crime whose unrecorded crime is particularly significant. An explanation for this evidence is to be found in the victim’s low propensity to report. There are several reasons that combine to describe this phenomenon: one is certainly to be found in the collusive nature of this crime, the presentation of the complaint also makes clear the situation of economic difficulty of the operator and, again, the scarcity of complaints affects the mistrust in institutions that is accompanied by the social stigma conveyed by the prejudice that a victim of usury, in some way, has contributed to building their condition. For these reasons we have chosen to dwell on the events of some victims of usury, retracing the narration of the facts of the crime from their point of view to restore its centrality and try to overcome the preconception that still resists, for which the victim of usury is a subject who, in some way, “went looking for him”.  

SUMMARY: 1. Introduction. –  2. The construction of the criminal balance. –  3. The yoke tightens. –  4. The come to light of the crime. –  5. With theirs head held high.

***

1. Premessa.

L’usura è un reato subdolo, rimane sommerso perché la vittima di questo delitto, colei alla quale il diritto attribuisce il potere di denunciare, è quella stessa persona che si è vista costretta a rivolgersi al reo, contribuendo così, con la sua richiesta, all’instaurarsi del sinallagma criminale. La genesi di questo reato fa sì che nell’immaginario collettivo l’usurato, che è la vittima del reato, colui che cade nella rete criminale, venga etichettato come chi, in qualche modo, scegliendo di rivolgersi al sottobosco criminale per procurarsi del denaro, è artefice del proprio destino. Nella mente dei più si fa strada il vecchio adagio «chi è causa del suo mal pianga sé stesso» e, in questo modo, si inibisce qualsiasi approccio empatico.

Questa precomprensione che la magistratura sta cercando di scardinare affermando come «ai fini dell’integrazione del reato di usura, non occorre che l’iniziativa di instaurare la negoziazione sia stata presa dall’usuraio, e non rileva che la conclusiva pattuizione connotata da usura sia stata accettata dalla vittima senza subire pressioni, poiché la ratio dell’incriminazione s’incentra sul carattere oggettivamente usurario della pattuizione» (Cass. pen., sez. II, sent. 18 settembre 2019, n. 38551), è in realtà latente e torna a emerge, quale sottotesto, anche nella struttura degli istituti posti a sostegno delle vittime di questi reati. Basti il riferimento al Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione e usura[1], che  garantisce alle vittime di estorsione un’elargizione a ristoro dei danni subiti mentre riserva alle vittime di usura un mutuo senza interessi che va restituito allo Stato in 10 anni, differenza la cui ratio appare difficile da comprendere alla luce della scelta solidaristica effettuata dal legislatore con questo Fondo e dichiarata già nel nome dell’Istituto oltre che alla luce delle indicazioni contenute nella Direttiva 2012/29/UE in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato[2].

Questa la ragione per la quale si è scelto di soffermarsi sulle storie di alcune vittime di usura, ripercorrendo la narrazione dei fatti di reato dal loro punto di vista per restituire loro centralità e cercare di vincere la precomprensione che ancora resiste, per cui la vittima di usura è un soggetto che, in qualche modo, “se l’è andata a cercare”.

Le storie che racconteremo sono quelle di Agata, titolare di un’azienda agraria, che è stata costretta a cambiare paese per ricominciare; di Luca, un imprenditore edile che ha affrontato il terribile periodo dell’imposizione del giogo usurario da solo riuscendo a confidare tutto alla moglie solo dopo aver denunciato; di Claudio, titolare di una società di servizi e autonoleggio, prima vittima di estorsione e poi, dinnanzi a una richiesta di pizzo dall’importo spropositato, costretto a rivolgersi,  su indicazione dello stesso estortore, agli strozzini; di Giovanni, un agricoltore appartenente a una famiglia molto nota in paese che si indebiterà per poche migliaia di euro per far fronte a imprevisti legati alla ristrutturazione di una casa e finirà per perdere tutto, legato in un giogo che non riuscirà a spezzare.

La storia di Agata così come quella di Luca, Claudio e Giovanni – i nomi sono di fantasia ma le storie sono reali – sono storie di vita come ce ne sono molte, sono storie di vittime che hanno trovato la forza di denunciare. Le testimonianze di queste vittime sono state raccolte nel corso di uno studio sul ruolo del Fondo di solidarietà[3]. Ciascuno degli intervistati ha poi acconsentito a che la propria storia venisse qui narrata con la speranza che questi racconti possano essere utili non solo ad altre vittime perché si sentano meno sole e trovino, nel percorso di riscatto qui narrato, uno stimolo per spezzare il giogo che le vincola all’usuraio, ma anche per tutti noi, membri della società civile, perché, con uno sforzo di empatia possiamo riuscire, leggendo le storie di Agata, Claudio, Luca e Giovanni a metterci nei loro panni e a superare l’odioso pregiudizio che perpetuandosi rende le vittime di usura ancor più sole.

Questa è la storia di Agata..

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2. La costruzione del sinallagma criminale.

Agata è un’imprenditrice di successo, lavora nel biologico – un settore in piena espansione – presiede un’importante associazione di categoria e collabora attivamente alla realizzazione di un progetto di rilancio e riqualificazione della zona in cui risiede.

Gli affari vanno bene tanto che, di recente, ha chiesto un prestito alla banca che ha investito per ampliare il proprio magazzino e acquistare nuovi mezzi.

Un giorno riceve una telefonata da una sua fornitrice: un caro amico è alla ricerca di un immobile da acquistare in zona e Marisa, la fornitrice che con Agata condivide l’impegno nel biologico e nel progetto di riqualificazione dell’area agricola, le chiede la disponibilità ad accompagnarlo durante un sopralluogo per supportarlo in questa avventura imprenditoriale. È così che Agata e Guglielmo si conoscono. Guglielmo si presenta come un consulente finanziario, è un signore distinto, arriva sempre con macchine eleganti e ben vestito tanto che Agata lo soprannomina presto “il Lord inglese”.

Di quell’affare non si farà nulla: Guglielmo non acquisterà l’immobile al quale pareva essere interessato, ma il contatto è creato. Con cadenza periodica Guglielmo passa a trovare Agata, fermandosi a prendere un caffè o invitandola a pranzo. Le scuse sono le più diverse ma i suoi modi galanti e la sua cortesia ispirano una naturale fiducia. Quando escono a colazione Guglielmo, impeccabile, non manca mai di offrire alla propria ospite e, come Agata racconta, nel pagare fa scorrere lentamente le molte carte di credito che custodisce nel portadocumenti estraendo sempre «quella d’oro».

Agata si sente lusingata dall’attenzione di Guglielmo, uomo distinto, colto, sempre molto interessato a lei e ai suoi affari.

Passa così quasi un anno.

Gli affari continuano ad andare bene, tanto che Agata sta pensando di ampliare i propri investimenti acquistando una partita particolarmente significativa di merci, così da fare un salto di qualità e affermarsi sul mercato tra i principali distributori.

Si reca in banca per chiedere un fido, che però le viene negato: l’azienda è già esposta a causa degli investimenti fatti di recente per ampliare il magazzino e acquistare un mezzo aggiuntivo. Agata continua a pensare all’affare sfumato senza riuscire a darsi pace. Così, quando Guglielmo passa a farle visita, decide di parlargliene.

Guglielmo si dichiara subito disponibile ad aiutarla: suo fratello, le dice, lavora per una finanziaria che potrebbe agilmente supportare Agata nel suo progetto di espansione. Non si tratta, sottolinea, di un favore ma di affari e l’operazione è sicuramente interessante.

Agata vuole rifletterci: certo l’opportunità di realizzare il progetto desiderato è quello che stava cercando, ma non è persuasa all’idea di passare tramite Guglielmo.

L’uomo le dà tempo, ma non troppo. Alcuni giorni dopo ripassa con una scusa e la invita a pranzo. Le racconta un po’ del suo ultimo viaggio di lavoro e della sua recente vacanza alle Cinque Terre e poi torna sull’argomento… «è un peccato lasciar perdere un affare così importante, certe occasioni vanno colte appena si presentano… si sa: ogni lasciata è persa! E questo è un buon momento per investire». Sicuramente il debito potrebbe essere ripagato in breve tempo, non si tratta poi di una cifra molto significativa, e altrettanto certamente Agata si troverebbe in breve in una posizione ancor più invidiabile, nulla lascia ipotizzare un diverso esito…

Ad Agata la prospettiva interessa. Ha costruito la propria azienda da sola e tutto ciò che ha è il frutto dei sacrifici e del lavoro di una vita, è lei che si occupa di tutto e che amministra e gestisce i conti dell’azienda; si sente appagata e riconosciuta nel ruolo di imprenditrice, sente che il momento è propizio: tutti i segnali vanno in quella direzione e sicuramente questo è il momento per crescere… Allo stesso tempo percepisce una paura di fondo, il timore di un’esposizione eccessiva, la paura di non farcela, la precauzione che frena la mano dell’imprenditore che non agisce con avidità e al solo scopo di arricchirsi, ma con il desiderio di costruire una realtà solida per sé e per le persone che le stanno attorno: il marito che lavora con lei nell’azienda, i loro due figli che un giorno lavoreranno lì .Ma per ora deve preoccuparsi di consolidare ciò che ha costruito.

Guglielmo non si arrende e qualche giorno dopo ripassa. Questa volta ha in mano dei moduli, dice che vengono dal fratello e sono quelli della finanziaria. È molto semplice, basta compilarli. Il fratello gli ha assicurato, dice, che l’iter è estremamente veloce in ragione anche dell’importo richiesto: 10.000 euro è un prestito tutto sommato modesto e Agata potrebbe facilmente restituire quella cifra nell’arco di sei mesi senza troppi pensieri e troppe difficoltà.

Agata ci pensa ancora un po’ e poi decide di buttarsi: alla fine tutto pare essersi incastrato perfettamente. Il destino questa volta sembra sorriderle e così Agata compila i documenti per richiedere il prestito e contemporaneamente ordina la merce di cui aveva bisogno.

Da quel momento, però, Guglielmo si fa più difficile da trovare. Agata ha effettuato l’ordine e ha bisogno del denaro per pagare quanto ricevuto.

Guglielmo ritorna dopo una settimana e comunica ad Agata che ci sono dei problemi per ottenere il prestito: la finanziaria deve fare alcuni accertamenti, devono essere verificati alcuni documenti e quindi ci vorrà un po’ più di tempo per ottenere quanto richiesto.  A questo punto, Agata si agita: deve far fronte a delle spese, ha assunto degli impegni, è sempre stata un’imprenditrice corretta e vuole onorare il proprio debito. Guglielmo la tranquillizza e si offre di aiutarla. Può sicuramente supportarla lui in questo momento di difficoltà e poi, non appena avrà ottenuto il prestito richiesto, gli renderà quanto anticipatole. «Tanto si tratta solo di una formalità, solo di qualche verifica… è solo una questione di tempo, l’elargizione del prestito non è certo in dubbio» dice. Anzi – aggiunge – può fare subito qualcosa e così dicendo prende il libretto degli assegni, compila un assegno per l’importo di cui Agata ha bisogno e glielo consegna. Sono amici, non occorre alcuna formalità, Agata non deve preoccuparsi di nulla: entro la settimana successiva la pratica sarebbe stata istruita, lei avrebbe avuto un regolare prestito da parte della finanziaria e tutto si sarebbe sistemato.

Agata è grata a Guglielmo che le consente di proseguire la sua attività, la supporta e in qualche modo le viene incontro in un momento in cui le istituzioni non avevano scommesso su di lei. La donna vede in Guglielmo l’amico che sa che ce la puoi fare e investe su di te e c’è a dispetto di qualunque rigidità burocratica, ostacolo o ritardo. Guglielmo è veramente, per Agata, la persona sulla quale si può contare e, nonostante lo conosca da poco meno di un anno, sente che la sua figura è stata una presenza costante e affidabile: è sempre stato disponibile ad ascoltarla e a darle un buon consiglio; è una persona a modo, colta, educata, ben vestita… una persona della quale fidarsi, di cui lei si è subito fidata. D’altra parte, le è stato presentato da una collega con la quale lavora da anni e che, oltre ad essere una sua fornitrice, è diventata nel tempo una cara amica.  Agata accetta la mano tesa di Guglielmo che le consente di proseguire lungo una strada che in quel momento vede indirizzata verso un successo sicuro, senza doversi esporre con i suoi fornitori e mantenendo rispettabile il suo profilo imprenditoriale. Così, Agata con un sorriso e una stretta di mano prende l’assegno che Guglielmo le porge e mette a tacere quel sottile disagio che si accompagna alla circostanza dell’essere in debito con un amico. Disagio che imparerà presto a conoscere e che a breve la soffocherà.

3. Il giogo si stringe.

Passano cinque giorni, una macchina parcheggia davanti alla porta d’ingresso dell’azienda di Agata, scende un uomo ben vestito: è Guglielmo.

Non era atteso. Quando si erano salutati alcuni giorni prima aveva detto ad Agata che sarebbe tornato verso la fine del mese e alla fine del mese mancavano ancora tre settimane. «Poco male» pensa Agata andandogli incontro sulla porta «vorrà dire che la pratica si è sbloccata anzitempo e finalmente potrò accedere al prestito sperato».

Guglielmo si dirige verso Agata, la saluta con il consueto calore e la invita a prendere un caffè. Agata accetta volentieri. In quel momento può allontanarsi, non c’è nessuno che ha bisogno di lei e Guglielmo lo sa, ha imparato a conoscere i ritmi del lavoro durante questo anno in cui l’ha osservata. Agata sale in macchina con Guglielmo, raggiungono un locale in centro, ordinano, come di consueto, una spremuta e un caffè macchiato caldo. Passano pochi minuti e Guglielmo, con aria affranta, spiega ad Agata il motivo della visita: ha bisogno di quanto le ha prestato, purtroppo ha una situazione di emergenza di liquidità che lo costringe a chiedere la restituzione di quanto ha dato all’amica… se ne dispiace, non avrebbe mai voluto farlo ma la realtà è questa e lui non può farci niente. Agata è presa dal panico: come può restituire quella cifra? non ha a disposizione liquidità, non l’aveva la settimana prima e non ce l’ha ora… «Che ne è del prestito che la finanziaria avrebbe dovuto erogare?» chiede. «Ancora nulla: la finanziaria sta facendo delle verifiche, si tratta sicuramente di questione di poco tempo ma ad oggi il prestito non c’è» risponde Guglielmo.

Agata non sa come fare: da una parte, l’imbarazzo di non poter restituire ad un amico in stato di bisogno quanto lui le ha prestato nel momento in cui era lei a chiedere aiuto e supporto; dall’altra, la confusione di chi si trova in pochi giorni in una situazione completamente ribaltata senza capire bene cosa stia succedendo. «Come è possibile che tutto sia cambiato in così breve tempo», si chiede. Il sospetto che ci sia qualcosa sotto le parole di Guglielmo si insinua nella sua mente ma viene immediatamente allontanato: «non è possibile che tutto sia stato organizzato con il tentativo di ingannarmi» si ripete «ma come se ne esce, che si può fare?».

Ancora una volta è Guglielmo a prendere in mano la situazione e a indicare la via d’uscita. Per far fronte alla situazione suggerisce ad Agata di dargli in contanti quanto ha in cassa e di consegnargli un assegno postdatato, pari all’importo inizialmente prestato, che lui potrà tenere in garanzia. Agata ha in cassa 4000 euro, non capisce bene questo giro che le viene suggerito, tutto è molto veloce, lei è imbarazzata, confusa e incerta. Sentimenti contrapposti si agitano dentro di lei ma non può tradire la parola data, la fiducia e l’amicizia.

Agata e Guglielmo tornano insieme all’azienda, Agata prende i 4000 euro che ha in cassa e li consegna a Guglielmo insieme ad un assegno postdatato dell’importo di 10.000 euro.

Questa sarà solo la prima di una serie di visite che si ripeteranno a ritmo sempre più sostenuto. Il continuo flusso di denaro che Agata consegnerà a Guglielmo metterà in serie difficoltà la prosecuzione dell’attività e Agata avrà bisogno di altro denaro. Guglielmo in quel momento sarà lì, con il volto amico e il fare tranquillizzante: si farà dare un altro assegno postdatato e invierà un vaglia di pari importo ad Agata e poi, poco dopo, passerà a reclamare quanto presente in cassa, che andrà ad essere conteggiato come interesse. In poco più di un anno il tasso raggiungerà il 147%.

Agata, disperata, comincia a chiedere prestiti dapprima alla madre, poi agli amici e infine anche al prete del paese; e quando nessuno sarà più disposto a farle credito, si rivolge a un altro usuraio, un soggetto appartenente alla criminalità organizzata, e questa volta non ci sarà alcuna rassicurazione nel momento in cui non potrà saldare la rata pattuita.

Un giorno Agata, dopo essere stata schiaffeggiata e spinta con violenza, verrà minacciata con una pistola. Altre 24 ore per consegnare il denaro pattuito e poi si dovrà assumere le conseguenze del mancato pagamento.

Il giorno successivo Agata si alza presto, dopo una nottata in cui non è riuscita a chiudere occhio, e si reca dalla Guardia di Finanza, sperando di mettere fine a questa storia.

4. L’emersione del reato.

Agata in commissariato ha paura, racconta tutto quanto accaduto, è precisa nel racconto e ricorda ogni dettaglio ma non sa come poter provare quanto ha detto: gli usurai non rilasciano ricevute.

Il Maresciallo ascolta le sue dichiarazioni, meglio: il suo sfogo. La tranquillizza. Agata per la prima volta da molto tempo si sente capita. In quella stanza nessuno la sta giudicando, forse lì hanno già visto tanti casi come il suo. Forse le persone che incontra in quell’ufficio sono brave persone e sanno che lei è una vittima, sanno che può aver commesso un errore ma che il criminale, quello da condannare, è un altro.

Il Maresciallo la invita ad andare a casa dalla sua famiglia e a comportarsi come di consueto e poi a tornare il giorno successivo in caserma.

L’indomani Agata si presenta puntuale, è terrorizzata, il tempo sta passando e lei non ha i soldi che deve restituire.

Il Maresciallo ancora una volta la ascolta e la tranquillizza: l’usuraio che l’ha minacciata è già indagato, è coinvolto in una grossa inchiesta, non andrà a cercarla. Quanto al Lord inglese, occorre invece agire per fare in modo che non possa più nuocere.

Agata e il Maresciallo raggiungono insieme l’azienda di Agata, posizionano dei microfoni e aspettano l’arrivo di Guglielmo, il Maresciallo nascosto poco distante con altri colleghi.

Tutto avviene in pochi minuti. Agata è molto agitata e spaventata, Guglielmo non si accorge di nulla, saluta affettuoso, fa alcune domande sull’andamento degli affari e poi chiede ad Agata la cifra pattuita: la consueta provvista di denaro per pagare gli interessi. Agata prende tempo, cerca di fare domande che inducano Guglielmo a scoprirsi perché egli stesso riveli la natura del loro rapporto. Guglielmo risoluto e senza scomporsi incalza Agata ricordandole il debito contratto e la necessità di farvi fronte. In quel momento entra il Maresciallo della Guardia di Finanza.

Agata piange.  È finita.

5. A testa alta.

Nella valigetta di Guglielmo verranno trovati numerosi assegni postdatati firmati da Agata, da sua madre e dalle amiche. I documenti di diverse società a lui intestate e altre carte relative ai suoi affari. Durante il processo Agata scoprirà che Marisa, la fornitrice e amica che le aveva presentato Guglielmo, era anch’essa una sua vittima.

Guglielmo verrà riconosciuto colpevole del reato di usura.

Agata, che ha denunciato, farà istanza di accesso al Fondo di Solidarietà per le vittime di estorsione e usura, ottenendo l’accoglimento della propria richiesta. Perderà la casa e l’azienda, non riuscirà a continuare la propria attività lì dove tutto è successo, troppo il peso del giudizio della comunità. Ma si rialzerà: cambierà paese e caparbiamente ricomincerà con un piccolo negozietto di fiori. La sua battaglia non è finita, continua giorno dopo giorno testimoniando con il suo esempio che l’usura si può vincere.

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[1] Il Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione e usura è disciplinato dalla legge 44/1999. Per un approfondimento sul funzionamento del Fondo di solidarietà, i danni risarcibili e i criteri di liquidazione si veda l’Appendice al Report Il Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione e usura: uno studio in questa rivista, 1 luglio 2021.

[2] Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

[3] Il progetto di ricerca dell’Università Bocconi co-finanziato da CONSAP e promosso in accordo con il Ministero dell’Interno e il Commissario Straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura dal titolo Strategie di contrasto a racket e usura: il fondo di solidarietà delle vittime di estorsione e usura iniziato nel 2020 si è concluso, nel 2021, con la pubblicazione del già citato Report dal titolo Il Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione e usura: uno studio, che è stato presentato in Prefettura a Milano il 21 luglio 2021. Lo Studio comprende una sezione di approfondimento dedicata alle vittime di estorsione e usura

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A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

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