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22.07.2020
Paolo Jarre

“Mal comune, disastro planetario”

Brevi considerazioni sulla gestione della pandemia nella prospettiva di un medico[*]

Fascicolo 7-8/2020

SOMMARIO: 1. Come l’Italia ha accolto la pandemia: errori, ritardi e peccati di hybris. – 2. Le differenze regionali, tra vizi e virtù. – 3. Come andrà a finire? – 4. Un’osservazione finale, oltre i confini dell’Italia.

***

1. Come l’Italia ha accolto la pandemia: errori, ritardi e peccati di hybris.

Occorre fare una premessa di carattere generale; la periodica esplosione di pandemie planetarie accompagna la storia dell’umanità al pari di altre calamità naturali come i terremoti, le alluvioni, gli incendi, gli uragani e così via. Nell’ultimo millennio, solo riferendoci a quanto successo in Europa, non ci sono mai stati cento anni di seguito liberi da grandi pandemie – la più spaventosa è stata la peste nera della metà del ‘300 che sterminò da un quarto alla metà della popolazione del continente, mentre la penultima, continentale, è stata la Spagnola del 1918-19 – così come non c’è mai stato un intero secolo di seguito senza guerre, tranne che per la Svizzera.

L’errore di fondo è stato – accanto ad un processo fisiologico di “rimozione” di quanto accade con un intervallo spesso superiore all’arco di una vita terrena, posto che intere generazioni sono nate, vissute e scomparse nell’ultimo secolo senza sperimentare nel proprio paese gravi epidemie – un eccesso di superbia tecnocratica, una sorta di hybris generalizzata, diffusa a tutti i governi e a tutte le popolazioni, che ha fatto ritenere che i pur straordinari progressi della scienza medica (i vaccini, gli antibiotici, gli antivirali anche per malattie ritenute sino a poco più di vent’anni fa incurabili come l’AIDS…) fossero in grado di costituire uno scudo sicuro contro le malattie infettive.

L’errore di fondo è stato – accanto ad un processo fisiologico di “rimozione” di quanto accade con un intervallo spesso superiore all’arco di una vita terrena […] – un eccesso di superbia tecnocratica, una sorta di hybris generalizzata, diffusa a tutti i governi e a tutte le popolazioni

Si possono sentire riecheggiare «le magnifiche sorti e progressive» di duecento anni orsono di Giacomo Leopardi[1].

Così, mentre per le guerre – che tutti i paesi dichiarano di non volere – teniamo in piedi imponenti apparati militari che costano parecchi punti di PIL (la nostra alleanza militare ci impone di non scendere sotto una data quota di PIL), non per farle ma nella mera eventualità di doversi difendere, e per i terremoti, gli incendi e le alluvioni, a forza di farci trovare impreparati, abbiamo messo in piedi un apparato di Protezione civile efficace nel pronto intervento (sul lungo termine pecchiamo invece cronicamente dei mali del nostro Paese), per le emergenze pandemiche, invece, nulla era pronto.

Il Piano nazionale specifico non era aggiornato da oltre dieci anni[2], non c’era alcuna riserva strategica di dispositivi di protezione individuale e così via. Nessun dispositivo per un intervento rapido equivalente a un Canadair per un incendio, nessun reparto speciale, nessuna riserva di acqua dolce…

Così, mentre per le guerre – che tutti i paesi dichiarano di non volere – teniamo in piedi imponenti apparati militari che costano parecchi punti di PIL […], e per i terremoti, gli incendi e le alluvioni, a forza di farci trovare impreparati, abbiamo messo in piedi un apparato di Protezione civile efficace nel pronto intervento […], per le emergenze pandemiche, invece, nulla era pronto

Espressione concreta di quella hybris è costituita dal fatto che i servizi immediatamente coinvolti in chiave organizzativa dalla pandemia, i servizi d’Igiene e di sanità pubblica, sono stati – nell’ambito dei già bistrattati servizi territoriali – tra i più trascurati, le “Cenerentole” nelle ASL italiane, ancor più di servizi periferici come i Ser.D.

Sono rimasti un po’ come una progressivamente sguarnita Fortezza Bastiani (dal Deserto dei Tartari di Buzzati) dove gli ufficiali invecchiano, si ammalano e muoiono in attesa del nemico “dal Nord” che non arriva mai, ma poi alla fine, inesorabile arriva davvero.

In una ASL grande come quella in cui lavoro, a Torino (oltre 4.000 dipendenti, 600.000 abitanti, due grandi ospedali…) non esisteva (e ancora non esiste) un servizio, ancorché organizzato come struttura semplice, di Infettivologia, e l’attività viene svolta presso i due ospedali su base volontaristica, per alcune ore settimanali, prevalentemente per gestire le cosiddette infezioni ospedaliere, da due specialisti infettivologi che lavorano, di norma, al Ser.D.

Sicuramente è estremamente complicato far fronte tempestivamente ed efficacemente ad un bisogno acuto di salute che nel volgere di poche settimane dapprima si decuplica e poi si centuplica; le nostre organizzazioni sanitarie sono strutturate per far fronte alle malattie croniche ed alle acuzie altamente prevedibili nella loro numerosità, che hanno una variabilità di prevalenza di anno in anno, in ciascun territorio, di pochi punti percentuali.

Un ulteriore elemento strutturale di criticità è senz’altro da individuare nel fatto che, mentre per curare tumori e infarti il fatto che vi siano venti diversi centri di potere sanitario ha scarsa o nulla importanza, per affrontare una minaccia che per sua natura non rispetta alcun confine, il governo non può essere solo nazionale, deve essere sovranazionale. Ma già nazionale piuttosto che regionale andrebbe bene.

È un’assoluta follia che la pandemia Covid-19 sia stata affrontata in modo diverso a Piacenza, a Lodi o ad Alessandria.

Un ulteriore elemento strutturale di criticità è senz’altro da individuare nel fatto che […] per affrontare una minaccia che per sua natura non rispetta alcun confine, il governo non può essere solo nazionale, deve essere sovranazionale. Ma già nazionale piuttosto che regionale andrebbe bene

2. Le differenze regionali, tra vizi e virtù.

Pur in questo scenario, che può sembrare preludere ad una assoluzione generalizzata, analizzando le differenze di comportamento nella presa di decisioni da parte degli organismi politici deputati al governo della salute – le Regioni – si può facilmente evidenziare che una risposta più tempestiva e appropriata poteva senz’altro essere messa in atto in particolare per quanto riguarda le quattro Regioni del Nord-ovest, il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Lombardia e la Liguria.

E non si tratta di una questione che attiene alla coloritura politica della amministrazioni.

Analizzando le differenze di comportamento […] da parte [delle] Regioni, si può facilmente evidenziare che una risposta più tempestiva e appropriata poteva senz’altro essere messa in atto in particolare per quanto riguarda le quattro Regioni del Nord-ovest, il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Lombardia e la Liguria

La Regione virtuosa è stata il Veneto, governata da un’amministrazione di centro-destra al pari della Lombardia, del Piemonte e della Liguria.

Cosa ha fatto il Veneto di diverso?

In primis ha avuto la fortuna di avere uno che l’ha vista più lunga degli altri, il professor Crisanti che a metà gennaio è stato in grado di far acquistare alla propria Regione i reattivi per processare centinaia di migliaia di tamponi e ha contribuito fattivamente a gestire in modo esemplare il focolaio di Vò Euganeo. Anche in altre Regioni ci sono stati invero prestigiosi “grilli parlanti”: la differenza è che il Governatore Zaia ha ascoltato e messo in atto i suggerimenti del proprio consulente, mentre nelle altre Regioni del nord le “Unità di crisi” sono state sin da subito infarcite di presunti tecnici “di bandiera”, senza alcuna competenza specifica né di sanità pubblica né di infettivologia.

La Regione virtuosa è stata il Veneto […]. Anche in altre Regioni ci sono stati invero prestigiosi “grilli parlanti”: la differenza è che il Governatore Zaia ha ascoltato e messo in atto i suggerimenti del proprio consulente, mentre nelle altre Regioni del nord le “Unità di crisi” sono state sin da subito infarcite di presunti tecnici “di bandiera”, senza alcuna competenza specifica […]

Il risultato è che due Regioni con popolazione simile ed equidistanti dal “cratere epidemiologico” come Veneto e Piemonte hanno, a distanza di quattro mesi e mezzo dalla deflagrazione, una situazione molto differente: in Veneto 19.470 casi diagnosticati[3] (con un sommerso probabilmente molto meno significativo, essendo pari all’1,78% il rapporto tra i casi di malattia, appunto 19.770, e i 1.092.693 tamponi eseguiti al 16 luglio)[4], circa duemila morti[5]; in Piemonte oltre 31.500 casi[6], un sommerso sicuramente maggiore (6,85% il rapporto tra i 31.522 casi di malattia e i 460.019 tamponi eseguiti al 16 luglio, meno della metà rispetto al Veneto)[7], circa 4.100 morti[8].

Ecco, tutto quello che ho discusso nella lunga premessa valeva però, a metà febbraio, a Torino come a Padova. Il Piemonte (lasciamo da parte la situazione Lombarda, lì entrano in gioco anche altri fattori interni alla Regione stessa) ha avuto oltre duemila morti in più del Veneto, una gigantesca strage.

Perché? Pochi tamponi, per lo più fatti a casaccio, a seconda di quanto si tiravano per la giacchetta o meno coloro che ne disponevano l’esecuzione, nessun tracciamento dei contagi (i tamponi sono stati fatti per molte settimane con un’aderenza un po’ “ebefrenica” alle indicazioni nazionali di fare i tamponi ai soli sintomatici, quando questi ultimi erano quelli rispetto ai quali era meno utile farlo, dal momento che la diagnosi si poteva porre anche solo sulla base della sintomatologia …)[9], centinaia di segnalazioni dei medici di base perse dai servizi di igiene regionali per un banale intasamento delle caselle mail[10], un gravissimo ritardo nel governo della situazione delle residenze collettive in particolare quelle per anziani, ritardo nella creazione di percorsi interamente impermeabili per soggetti Covid positivi, Covid sospetti e Covid negativi nelle strutture ospedaliere, perdita di esiti di tamponi, esiti disponibili in tempi lunghi anche superiori alla settimana, annunci di campagne diagnostiche sul personale sanitario mai eseguite e così via.

E sul fatto che le cose, anche nelle residenze collettive, avrebbero potuto essere gestite diversamente, la dice lunga la situazione delle comunità terapeutiche per soggetti affetti da dipendenze, che in Piemonte non hanno avuto né malati né tantomeno morti tra ospiti e operatori grazie ad una tempestiva chiusura dei nuovi ingressi ed un accurato triage sin dal 24 di febbraio.

In Piemonte per molte settimane l’Unità di crisi è stata composta quasi esclusivamente sulla base di appartenenze politiche omogenee con l’Amministrazione regionale. Ci sono voluti due mesi perché il Presidente Cirio chiamasse a farne parte uno dei più qualificati esperti di sanità pubblica ed epidemiologia piemontesi, il professor Vineis.

Nella realtà della mia ASL TO3 gli unici sei infettivologi su oltre 4.000 dipendenti lavorano tutti al Ser.D.; per oltre un mese nessuno di loro è stato in alcun modo interpellato dalla direzione aziendale; poi, ad aprile sono stati coinvolti nell’Unità di crisi regionale e nei reparti Covid del nostro territorio.

Nella realtà della mia ASL TO3 gli unici sei infettivologi su oltre 4.000 dipendenti lavorano tutti al Ser.D.; per oltre un mese nessuno di loro è stato in alcun modo interpellato dalla direzione aziendale; poi, ad aprile sono stati coinvolti nell’Unità di crisi regionale e nei reparti Covid del nostro territorio

E il fatto che in Piemonte poteva tranquillamente andare come in Veneto, e che in Veneto le cose sono andate in modo molto diverso dalla Lombardia, lo dicono bene le mappe provinciali di prevalenza[11]; nelle province orientali del Piemonte, il cui capoluogo dista in linea d’aria tra i 100 e i 140 km da Codogno, le prevalenze attuali variano dai sette casi per mille abitanti del territorio del Verbano, Cusio ed Ossola (VCO) ai dieci della provincia di Alessandria (le province più colpite in Lombardia ed Emilia sono Cremona con diciannove casi per mille, Lodi con sedici, Piacenza con quindici, Bergamo con tredici, Brescia con dodici e Pavia con dieci; nella provincia occidentale del Veneto, Verona, il cui capoluogo dista 120 km da Codogno e soli 57 km da Vò Euganeo, la prevalenza scende a meno di sei casi per mille abitanti e a Padova e Vicenza, 24 e 32 km da Vò Euganeo, quattro e tre casi per mille abitanti rispettivamente.

Il ritardo dell’intervento di fronteggiamento in Piemonte è facilmente rappresentabile dalla frazione dei casi totali (come misurati al 16 luglio 2020) già diagnosticata nel mese di marzo; in Italia nel suo complesso il 15 marzo era già stata posta diagnosi sul 10,2% dei casi totali diagnosticati al 16 luglio, in Veneto sul 11,2% e in Piemonte solo sul 3,5%; il 31 marzo in Italia la percentuale arrivava al 43,4%, in Veneto al 47% mentre il Piemonte si era ancora al 29,5% (9.301 casi su 31.522), il valore più basso tra le 20 Regioni italiane[12].

Il 50% dei casi totali diagnosticati al 16 luglio si superava il 2 aprile in Veneto, il 4 aprile nell’intero Paese e solo l’11 aprile in Piemonte. Mentre i dati del confronto con il Veneto possono essere confutati con un ritardo della diffusione dell’epidemia nel nord-ovest rispetto al nord-est, tale considerazione non può esser fatta nel raffronto con l’intero paese.

In molte Regioni del centro-sud (Umbria, Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata) al 31 marzo si era già superato il 50% delle diagnosi totali effettuate al 16 luglio.

Ad ulteriore conferma del fatto che in Piemonte non vi è stata una diffusione “differita” della pandemia, quanto piuttosto un ritardo nell’attività diagnostica (sia in entrata che in uscita dalla malattia) stanno ancora altri dati; la ”ondata di piena” dell’epidemia, rappresentata dall’indicatore meno influenzabile dalla intensità della “penetrazione” diagnostica, il numero di soggetti ricoverati in terapia intensiva, passava in Italia il 3 aprile (4.068 casi), in Piemonte tra l’1 e il 2 aprile (453 persone), in Veneto tra il 30 e il 31 marzo (356), in Emilia Romagna il 2 aprile (366) e in Lombardia, come nell’insieme del Paese, il 3 aprile (1.381 ricoverati in terapia intensiva)[13].

Ciò a significare, in modo difficilmente confutabile, che nelle Regioni del nord Italia l’epidemia si è diffusa “in simultanea”, con uno strettissimo range di variabilità temporale (soli 4 giorni).

Dopo l’ondata di piena in Piemonte sono stati diagnosticati (in ritardo) proporzionalmente molti più casi che nel resto del Paese e si è anche fatta fatica a certificare per tempo i guariti; tant’è che il picco degli attualmente positivi veniva toccato in tutta Italia il 20 aprile e in Piemonte solo quasi due settimane dopo, il 2 maggio.
Altra indicazione suggestiva è che, sino al 30 di marzo, il Veneto – che nel mese di luglio conterà come detto diverse migliaia di casi diagnosticati in meno del Piemonte – aveva un totale di casi diagnosticati superiore a quello del Piemonte (8.724 versus 8.712)[14].

La Valle d’Aosta, con prevalenza Covid di poco addirittura superiore a quella lombarda, ha sciaguratamente riaperto le scuole dopo le vacanze di carnevale (ahi, l’autonomia…) e tenuto aperti gli impianti di sci sino all’8 marzo (cosa che è costata cara anche in Trentino Alto Adige).

Un po’ come se il virus avesse trovato un ostacolo ad est nel corso del Mincio ed un piano inclinato, invertito rispetto alla realtà geomorfologica, lungo il quale scivolare più agevolmente ad ovest.

Una grande mole di indizi, si può dire in termini giuridici.

3. Come andrà a finire?

Sono un medico e quindi la valutazione in merito alle eventuali responsabilità per quanto accaduto esula dal mio campo; credo però, riprendendo in parte una considerazione già fatta, che uno dei problemi fondamentali sia una scarsa chiarezza circa il centro di comando in caso di emergenza pandemica. La querelle sulla mancata istituzione della “zona rossa” a Alzano e Nembro è da questo punto esemplare; avrebbero potuto istituirla, sembra, sia la Regione che lo Stato, ma non l’ha fatto nessuno dei due in un clima di conflitto irresponsabile rispetto alla gravità della situazione.

Quindi potremmo dire che una prima responsabilità potrebbe essere attribuita al legislatore ed anche al legislatore costituzionale, che laddove ha disegnato aree di governo concorrente ha – quanto successo ne è la prova provata – lasciato troppa ambiguità.

Poi, sicuramente, le Amministrazioni regionali ed in particolare i vertici della sanità regionale hanno fatto il resto.

Credo […] che uno dei problemi fondamentali sia una scarsa chiarezza circa il centro di comando in caso di emergenza pandemica […]. Una prima responsabilità potrebbe essere attribuita al legislatore ed anche al legislatore costituzionale, che laddove ha disegnato aree di governo concorrente ha – quanto successo ne è la prova provata – lasciato troppa ambiguità […]. Le Amministrazioni regionali ed in particolare i vertici della sanità regionale hanno fatto il resto

Il fattore assolutamente cruciale è stato determinato dalla penetrazione e dall’appropriatezza diagnostica; Piemonte e Liguria: un tampone ogni dieci abitanti, sei-sette casi per mille abitanti; Lombardia: un tampone ogni nove abitanti, oltre nove casi per mille; Veneto: oltre un tampone ogni cinque abitanti, meno di quattro casi per mille residenti.

Lesinare sui tamponi ed effettuare le diagnosi nel mese di marzo non seguendo una precisa strategia scientifica ha verosimilmente comportato, nel Nord Italia, un eccesso di mortalità di alcune decine di migliaia di soggetti rispetto a quanto ci si poteva aspettare. Ad aprile ormai i buoi erano ampiamente scappati dalle stalle.

Tuttavia, proprio in virtù della scarsa chiarezza sulla ripartizione dei poteri è verosimile che alla fine nessuno sarà ritenuto responsabile; forse solo coloro per i quali si potrà dimostrare che hanno disposto l’accoglienza nelle RSA dei soggetti dimessi dagli Ospedali senza tampone o con tampone ancora positivo[15].

Tuttavia, proprio in virtù della scarsa chiarezza sulla ripartizione dei poteri è verosimile che alla fine nessuno sarà ritenuto responsabile

4. Un’osservazione finale, oltre i confini dell’Italia.

Oltre ai casi clamorosi di mala gestione in Regno Unito, Stati Uniti e Brasile, rimanendo in Europa i cugini transalpini hanno reagito ancor più tardivamente di noi e anche i Tedeschi, primi della classe, hanno dovuto ripristinare zone rosse qua e là per eccessiva fretta nel riprendere le attività economiche.

Ci si potrebbe quindi consolare pensando che il nostro Paese è tra quelli che ha reagito meglio; ma in questo caso sicuramente non vale il proverbio “mal comune, mezzo gaudio”, quanto piuttosto quello “mal comune, disastro planetario”.

Proprio perché nessuno era pronto a quanto è successo ed è facile previsione – noi non ci saremo – quella per cui, neppure tra 150 anni, quando succederà la prossima volta – in uno scenario di auto volanti e comunicazione diretta del pensiero – i popoli della terra saranno pronti.

Ci si potrebbe quindi consolare pensando che il nostro Paese è tra quelli che ha reagito meglio; ma in questo caso sicuramente non vale il proverbio “mal comune, mezzo gaudio”, quanto piuttosto quello “mal comune, disastro planetario”

Post scriptum.

Mentre l’epidemia prosegue secondo modelli studiabili (e talvolta affrontabili) con un approccio scientifico, le decisioni della politica sono terribilmente soggette alla dittatura della ricerca del consenso a breve termine.

Pochi giorni dopo aver consegnato questo contributo, leggo e sento di un aspro conflitto in corso tra il prof. Crisanti e il governatore del Veneto Zaia. Il “Messaggero” il 21 luglio ha intervistato Crisanti[16] che affermava di esser pronto a dimettersi dal Comitato Tecnico Scientifico del Veneto per il totale cambio di politica della regione: «da quando ho avuto quelle polemiche con Zaia, il governatore della Regione Veneto, tutto è cambiato. Non dimentichi, Zaia, che due dei principali consiglieri del presidente sono tra coloro che hanno detto che il virus è morto. Tutto questo ha delle conseguenze, indirizza scelte, comportamenti».

Crisanti continuava così: «le esigenze politiche hanno prevalso sulle indicazioni della scienza. Era necessaria una comunicazione che invitasse a prudenza e responsabilità. Invece, ci sono stati solo segnali contraddittori: “apriamo”, “non apriamo”, “è finito tutto”, “il virus è morto”. Questo è il risultato della scelta di Zaia di affidarsi a persone che dicono che il virus è morto. E intanto gli ospedali tornano a riempirsi».

E così, in Veneto, nelle tre settimane tra il 6 e il 27 luglio, gli attualmente positivi quasi raddoppiano (passano da 384 a 734, +91%; in Italia nello stesso lasso di tempo scendono da 14.709 a 12.581, – 14,5%), in Piemonte diminuiscono da 1.208 a 802 (- 33,6%).

C’è chi scende e c’è chi sale, il Veneto rimette la freccia.

Ma non è una buona notizia; una sana evidence based policy è ancora molto in là da venire.

___________

 

[*] Versione rivista dall’autore in data 28 luglio 2020 alla luce degli ulteriori dati disponibili.

[1] G. Leopardi, La ginestra, in N. Gallo e C. Garboli (a cura di), Canti, Einaudi, 1993, v. 51.

[2] L’ultimo aggiornamento del Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale, a cura del Ministero della Salute, elaborato nel 2006, risale infatti al 2010.

[3] Al 12 luglio scorso, i casi diagnosticati erano precisamente 19.401 (cfr. Coronavirus in Italia, i dati e la mappa ne Il Sole 14 Ore, aggiornamento al 12 luglio 2020, sezione: “Il dettaglio per regione e provincia”).

[4] Ibidem.

[5] Per la precisione, 2.039 al 13 luglio scorso (ibidem).

[6] Al 13 luglio, Il Sole riferisce infatti di 31.504 casi totali (Ibidem).

[7] Ibidem.

[8] Per la precisione, risultano registrati 4.112 al 13 luglio scorso (ibidem).

[9] Si vedano, sul punto, gli articoli di A. Mondo, Il virologo Di Perri critica il metodo della Regione Piemonte: pochi tamponi, è un errore: ecco perché non troviamo i positivi, e Pochi reagenti e i laboratori sono in affanno: i tamponi in Piemonte ora diventano un caso, entrambi ne La Stampa, rispettivamente il 18 e il 20 marzo 2020, e quello di M. Ravarino, Piemonte in ritardo sul tracciamento dei contagi, ne Il Manifesto, 17 maggio 2020.

[10] Cfr. A. Mondo, Perse le mail dei medici di base. Centinaia di casi sospetti di coronavirus svaniti, ne La Stampa, 15 aprile 2020.

[11] Si vedano ancora, in proposito, gli aggiornamenti pubblicati da Il Sole 14 Ore, cit.

[12] Ibidem.

[13] Cfr. i dati pubblicati sul portale di GEDI Visual, Coronavirus, la situazione in Italia. Aggiornato al 27 luglio 2020 alle ore 17.30, dati del ministero della Salute.

[14] Ibidem.

[15] Cfr., sul tema, S. Arcieri, Sicurezza sul lavoro e pandemia, in questa rivista, 1 luglio 2020.

[16] M. Evangelisti, Coronavirus, Crisanti: “Non mi dimetto più. Zaia? Non l’ho ancora sentito”, ne Il Messaggero, 21 luglio 2020.

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