La parola all’Editore

Questa sezione del sito raccoglie le riflessioni, le considerazioni critiche e le provocazioni formulate da Luca Santa Maria, ideatore e fondatore della Rivista.

Gli spunti qui pubblicati sono ampiamente ripresi all’interno di DPU – il blog, che vi invitiamo a consultare, prendendo parte al dialogo ivi avviato con i lettori e con il medesimo Editore sui numerosi temi oggetto di interesse per il progetto DPU.

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3 aprile 2019

Il diritto penale dalla A alla Z

 

«Ho scritto più e più volte che il discorso del diritto penale è trapuntato di finzioni di ogni genere e che il penalista – che le conosce meglio di chiunque altro – le tollera perché, altrimenti, senza finzioni, quel tipo di discorso su quel tipo di diritto penale sarebbe impossibile […].

Debbo ovviamente provare la plausibilità di quel che ho asserito.

Ho fatto un esercizio intellettuale – provare a smascherare le finzioni – e DPU inviterà qualsiasi lettore a fare lo stesso esercizio, a sforzarsi, cioè, di pensare in modo scettico, ossia critico, per capire se le parole che usiamo ogni giorno nella letteratura giuridica come nelle sentenze o nelle memorie prodotte nei processi, cioè nell’intero nostro discorso del e sul diritto penale, siano davvero sostenute da una ragione sufficientemente potente o non siano, invece, in parte almeno ormai appese nel vuoto […].

Il diritto penale, ad esempio, non regge la pressione delle scienze empiriche, e di questo parleremo molto, ma si è anche mostrato inadeguato al linguaggio contemporaneo, perché non ha saputo prendere coscienza dei propri limiti espressivi.

Questa inadeguatezza linguistica ha radici profonde, che devono essere esplorate, ma, soprattutto, mette in moto conseguenze etiche che è davvero difficile sottovalutare […].

Dovrebbe essere la scienza del diritto a provvedere all’adeguamento del diritto al tempo in cui esso deve essere applicato, ma qualcosa evidentemente non ha funzionato, ma forse sono le sfide che la modernità ha lanciato al diritto penale ad essere state troppo grandi perché potesse bastare qualche aggiustamento in corsa.

Mi sia concesso, a questo punto, un fugacissimo e breve “volo” su queste finzioni, o meglio su quelle che io ho imparato a vedere e di cui vorrei parlare… dalla A alla Z».

 

Per leggere l’intero contributo di apertura, a firma di Luca Santa Maria, nella versione rivista dall’autore e aggiornata al 2 maggio 2019, clicca sul titolo, “Il diritto penale dalla A alla Z”.

Per leggere la versione precedente, pubblicata su questa rivista il 3 aprile 2019, clicca qui.

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2 maggio 2019

DPU: perché è necessaria una “svolta”

Prima parte

 

«L’orizzonte degli eventi in cui si inscrive DPU è il tempo della crisi.

[…]

DPU nasce con l’intento di prendere sul serio questa “crisi” del diritto penale – che è una crisi a un tempo epistemologica ed etica – per la più semplice delle possibili ragioni, e cioè  che la crisi del diritto penale è, allo stesso tempo, una crisi della società di cui il diritto penale è da sempre struttura portante.

[…]

Il nostro punto di partenza è che la crisi è vasta e profonda, forse più ancora di quanto sia già stato detto e scritto, perché il contesto in cui si colloca è quello di una crisi generale della cultura

[…]

DPU nasce per creare un laboratorio – un acceleratore di particelle di pensiero per scoprire, se possibile, le particelle fondamentali di questo diritto – perché da lì, dal profondo, si può osservare e capire la crisi, e navigherà su questa rotta, aprendo numerosi e differenziati programmi di ricerca e di azione pragmatica – noi li chiamiamo “cantieri aperti” – di inusitata estensione, perché nulla o quasi del diritto penale che crediamo di conoscere funziona davvero come vorremmo che funzionasse.

[…]

Vorrei fugare da subito un possibile dubbio.

Il dubbio che, a molti, possa venire il pensiero che DPU, che ha iniziato appena la sua vita, non è una rivista di diritto penale, ma qualcosa d’altro il cui posto, dunque, non è certo quello del discorso sul diritto.

Nulla di più infondato.

La scienza del diritto sembra nata con un vizio d’origine, e il vizio è che questa sedicente scienza (perché essa si è data questo nome) da sempre delimita e costruisce il suo oggetto come più le aggrada; decide essa, cioè, che cosa sia diritto e che cosa no.

[…]

Tocca a noi ridefinire la risposta alla domanda: “che cosa è diritto?”, e subito appresso: “che cosa è la scienza del diritto?”; domande, ovviamente, l’una connessa all’altra».

 

Per leggere l’intero contributo, nella versione rivista dall’autore e aggiornata all’8 maggio 2019, clicca sul titolo, «DPU: perché è necessaria una “svolta”».

Per leggere la versione precedente, pubblicata su questa rivista il 2 maggio 2019, clicca qui.

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22 maggio 2019

Pronti… via! Perché è necessaria una “svolta”

Seconda parte

 

«Che cosa è il Diritto Penale? Chi crea il Diritto Penale? La Legge e solo la Legge? Quale rapporto c’è tra Diritto e Legge? E tra Giudice e Legge? Tra Giudice e Diritto? Che cos’è la Giustizia? È possibile, o addirittura doveroso, costruire un concetto di Giustizia o almeno un nucleo fondamentale di valori su cui tutti dobbiamo concordare ragionevolmente e che chiamiamo Giustizia? O facciamo bene a continuare a chiamare – al solito modo – il Diritto come se fosse sinonimo di Giustizia? È possibile che la Legge sia ingiusta e che il Diritto Penale, cionondimeno, possa e debba essere conforme a Giustizia, perché altrimenti non è Diritto? Quando la Legge non è conforme a Giustizia, può – o deve, ed eventualmente a quali condizioni – il Giudice disapplicarla con una sorta di obiezione di coscienza? La Giustizia può essere fonte di cause di giustificazione che siano fondate sulla Giustizia, e che facciano venir meno l’antigiuridicità di fatti conformi al tipo di reato scritto della Legge?

Sono tutte domande difficili, alcune persino antiche quanto è antico è il diritto (che, a loro volta, richiamano antiche dispute tra giusnaturalismo illuminismo e positivismo giuridico e tante altre ancora), ma sono anche le uniche domande, o le poche domande, cui abbia senso davvero provare a rispondere.

È d’uso, però, nel gioco linguistico della dogmatica corrente, chiudere il discorso su queste domande prima ancora di averlo aperto e concludere che quelle sono tutte domande filosofiche e non giuridiche (sebbene sia ovvio che anche questa risposta è una risposta… filosofica)».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Pronti… via! Perché è necessaria una “svolta”».

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5 giugno 2019

Il cantiere aperto sul diritto penale nella società del rischio

 

«Con questo lavoro inauguriamo i lavori del cantiere dove si studia il diritto penale della società del rischio. Cercheremo di capire se e come il diritto penale si sia rivelato all’altezza delle sfide della post-modernità.

Caratterizziamo questa nostra era con due rilevanti e connessi grandi mutamenti.

Da un lato è improvvisamente caduta in disgrazia l’immagine ottimistica dell’uomo e del mondo tipica della modernità, che si fondava su una fiducia quasi illimitata verso la scienza e sulle magnifiche sorti e progressive della ragione, e, dall’altro lato, sono affiorate profonde paure collettive che, come in un circolo vizioso, a causa (anche, ma non solo) del discredito o del minor credito della scienza, sono difficili da capire e quindi da trattare.

[…]

La domanda […] è “che fare”? e interessa o dovrebbe interessare tutti».

 

Per leggere l’intera presentazione del cantiere, clicca sul titolo, “Il cantiere aperto sul diritto penale nella società del rischio”.

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5 giugno 2019

Il fallimento del diritto penale nella definizione e nell’accertamento della causalità da amianto

 

«Col presente lavoro intendo ripercorrere vent’anni di giurisprudenza sulla causalità da amianto, al fine di verificare come i giudici abbiano affrontato questo problema e le indubbiamente complesse questioni scientifiche, e non solo scientifiche, che sono a esso collegate.

Scrivo la storia di un fallimento del diritto penale che chiama in causa l’intera cultura penale della teoria come della pratica – che non hanno messo a fuoco questo fallimento – e, se vogliamo generalizzare questa scarsa cura per questa imbarazzante vicenda giurisprudenziale, non è facile sfuggire alla sensazione che, in questi tempi, i penalisti siano ormai più propensi a trattare questioni di cui sanno trattare, e ignorino, invece, quelle che non hanno più la competenza per trattare. Sfortunatamente tra queste ultime spesso vi sono questioni assai importanti, perché riguardano – come nel caso della causalità – le regole fondamentali dell’imputazione penale che ormai non sono quasi trattate forse perché si pensa che su di esse non ci sia più molto da dire.

[…]

Seguirà a questo un lavoro di analisi dal punto di vista del penalista di un set di sentenze di legittimità e di merito che abbiamo giudicato rappresentative degli orientamenti più frequenti o comunque che, per varie ragioni che indicheremo, ci sono parse significative.

A seguire sottoporremo l’analisi dello stesso set di sentenze ad un epidemiologo e a un biologo sperimentale, entrambi spesso coinvolti in processi penali come consulenti della difesa, per conoscere il loro punto di vista».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, “Il fallimento del diritto penale nella definizione e nell’accertamento della causalità da amianto”.

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12 febbraio 2020

«Sentinella, a che punto è la notte?»

Il diritto penale attraversa il deserto del nichilismo

 

«Il diritto penale, in un tempo che forse non ha più uno spirito, sta perdendo il suo, perché, come ogni cosa intorno, i suoi tradizionali fondamenti non lo fondano più come prima.

La crisi attuale del diritto penale è una crisi di cultura giuridica, che è decaduta in modo inquietante in una generazione (la mia) e quella successiva, che ora comanda nelle università.

Sedicenti scienziati del diritto (salvo pochissime eccezioni) l’hanno ridotta ormai a burocratica tecnica che lavora, fredda e impotente, parole su parole, costruendo e maneggiando stereotipi linguistici apparentemente oggettivi, costruiti a imitazione goffa della scienza, del tutto inintelligibili ai non adepti, senza porsi più il problema del loro senso.

Ma si fa torto alla verità se non si inquadri codesta crisi in un contesto assai più ampio e profondo.

Lo spettro che si aggira in ogni dove nella cultura occidentale, che ha il nome di nichilismo, è la perdita di fondamento stabile e sicuro di ogni e qualsiasi narrazione sull’uomo e sul mondo, ed è purtroppo fatale che lo spettro abbia da tempo infettato anche la cultura giuridica e la cultura penalistica più di qualsiasi altra, perché essa più di qualsiasi altra ha bisogno di credere che la narrazione della colpa e del castigo un tempo potente le conferisca ancora senso».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Sentinella, a che punto è la notte?».

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17 giugno 2020

Diritto penale: un grande imbroglio? – prima parte

 

«Che l’uomo sia diventato “buono”, che il “legno storto” si sia raddrizzato, non è facile da credere; che il nostro Io abbia trovato il modo di convivere con la repressione della innata aggressività dell’Es, avendo ormai potentemente introiettato il Super Io dello Stato che punisce, cioè del diritto penale, è certamente possibile, ma c’è anche dell’altro.

È difficile credere che l’animale uomo sia stato definitivamente addomesticato; forse, semplicemente, quegli spiriti hanno assunto nuove forme.

[…]

La cultura giuridica tende a non occuparsi di questi temi perché è ancora immersa nel rassicurante positivismo formalista del XIX secolo; se vuole essere strumento di interpretazione realistica del rapporto tra diritto penale e società contemporanea, dovrebbe quindi ancora fare i conti con se stessa, e incontrare i problemi fondamentali del diritto – la legge e la giustizia – su cui la cultura filosofica dell’uomo riflette da sempre, almeno dai tempi dei Greci; problemi che, invece, pare aver dimenticato.

[…]

Ora come prima, però, il diritto penale – ossia che cosa è delitto e che cosa no – è quel che il Giudice fa della legge, manipolando il linguaggio di cui la legge è fatta, e creando con ogni sentenza il diritto penale realmente vigente.

[…]

Quando la legge rispecchia sempre meno l’immagine di uomo e di società (ma anche di natura), ogni giorno di più essa diventa formula vuota, volto arrogante della pretesa di un linguaggio obsoleto di rinchiudere una complessità ontologica e deontologica sempre più inafferrabile e, allora, diventa ancor più evidente quel che è sempre stato, ma prima si poteva celare.

[…]

Nel diritto penale il pericolo è più forte che altrove, perché il potere supremo di esercitare come si vuole la violenza in forma legale, e quindi autorizzata, è una tentazione irresistibile.

Ma, alla fine, comanda sempre il più potente, che non è nemmeno il Giudice».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Diritto penale: un grande imbroglio? – prima parte».

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8 luglio 2020

Frammenti di un discorso sulla giustizia malata

 

«Nessuno Stato, o meglio nessuna società umana, può permettersi il lusso di non avere più fiducia nella Giustizia Penale e nei suoi Giudici, pena lo sfaldamento della società stessa […].

C’è chi spera che la riforma del CSM sia il farmaco che guarirà il male e chi crede che il problema dei problemi sia la prescrizione dei reati.

Io non lo credo. Io temo che i problemi della giustizia penale siano profondi e così gravi che anche farne una buona e coraggiosa diagnosi sia difficile.

Le considerazioni che seguono sono poco più che libere associazioni di idee, frammenti appunto, di un discorso tutto da costruire ancora, e questo stile così poco ortodosso e pieno di limiti – del resto, ognuno di noi pensa e scrive come gli è possibile e non può fare altrimenti – è dovuto al fatto che ho voluto provare a dire la mia su molti, forse troppi temi, e la paura di lasciare nel non detto qualcosa che invece sento l’urgenza di dire, perché potrebbe essere importante, ha prevalso sulle necessità dell’ordine e della chiarezza sistematica degli argomenti e forse anche sulla necessità dell’umiltà e della piena coscienza dei propri limiti (che, però, assicuro il lettore, non manca a chi scrive) […].

Se debbo indicare, in sintesi, il problema che, per me, li include tutti, non esito a dire che il problema più grave di tutti è l’ingiustizia del diritto penale e tutto il resto, o molto del resto, segue da questo fondamentale punto […].

L’unico auspicio è che qualcuno – qui o altrove non conta – provi a prendersi i rischi che il tempo di crisi impone e dica la sua con tutta la spregiudicatezza che è necessaria, anche se così facendo dovesse gettare a mare tutto quel che io ho scritto, giudicandolo insufficiente, errato, pericoloso e soprattutto non nuovo, il che è assolutamente vero».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Frammenti di un discorso sulla giustizia malata».

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23 settembre 2020

Il diritto penale dell’ambiente, ieri, oggi e domani: cronaca di un fallimento annunciato

 

«Il primo grande processo italiano in materia ambientale è stato il processo intentato dal PM di Venezia, Felice Casson, contro il gotha della chimica italiana, Montedison ed Eni per il Petrolchimico di Porto Marghera, a cavallo dei due secoli.

I disastri ambientali, in verità, c’erano anche prima: il capitalismo italiano, come in altri Paesi, produsse, con l’accelerazione dell’industrializzazione, gravi danni dell’acqua, della terra e dell’aria, ma tutto era accaduto nel silenzio di tutti o quasi tutti noi, PM e Giudici compresi. Il diritto penale tollerava.

Proprio il processo al Petrolchimico di Porto Marghera rese evidente lo storico ritardo del diritto italiano e del diritto penale in particolare nel fronteggiare gli effetti collaterali sull’ambiente e sulla salute umana della industrializzazione […].

Tutti sapevano, ma la verità è che tutti non vedevano e quindi tacevano. Nel nuovo secolo PM e talvolta anche Giudici, hanno scoperto altri disastri ambientali i cui responsabili non erano apparsi tali quando commettevano quei fatti. Ma ora che i fatti venivano alla luce i responsabili non c’erano più da tempo. I disastri ambientali erano già quasi tutti accaduti.

Come è potuto accadere?».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Il diritto penale dell’ambiente, ieri, oggi e domani: cronaca di un fallimento annunciato».

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7 ottobre 2020

Fibra assassina, una silenziosa strage di Stato rimasta impunita ancora oggi

 

«Quali sono i valori primordiali, rectius i beni giuridici, per la cui difesa gli uomini hanno stretto tra loro il contratto sociale su cui la società umana si fonda e che tocca al diritto penale difendere?

La vita?

[…]

Non è vero che per il diritto penale la vita è un valore senza prezzo, un valore che sempre e comunque prevale su qualunque altro diritto, o almeno non è vero nel diritto penale di una società capitalista, e chi dice l’opposto fa spesso più retorica che altro.

Non è nemmeno vero che quando sia in gioco la vita umana nessun rischio sia lecito.

[…]

La vita ha il prezzo che la società – con o senza il diritto penale – a essa assegna, e a quanto ammonti il prezzo è materia che decide chi può decidere, e il prezzo varia col variare del tempo».

 

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21 ottobre 2020

Amianto/2: giudici poco coraggiosi e un assurdo diritto all’oblio

 

«Questa strage era prevedibile ed evitabile? Dipende.

La prevedibilità dipende dai tempi della evoluzione delle conoscenze scientifiche sulla dannosità e poi sulla cancerogenicità dell’amianto e l’evitabilità dalla volontà di porvi rimedio.

Mi limito all’essenziale anche perché l’essenziale basta ed avanza.

[…]

La storia d’Italia è costellata di più o meno oscure stragi di cui tanto parliamo. La strage dell’amianto di cui, invece, non parliamo proprio, di quelle è assai più grave.

I PM e i Giudici si sono avveduti però solo da una ventina d’anni che il diritto penale poteva essere usato per punire le morti connesse all’uso dell’amianto.

Eppure Giudici coraggiosi avevano già celebrato processi, addirittura nel lontano 1906».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Amianto/2: giudici poco coraggiosi e un assurdo diritto all’oblio».

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4 novembre 2020

Amianto/3, la causa penalmente rilevante è il cuore del problema

 

«La legge che puniva il fatto d’aver causato la morte d’un uomo, per dolo o per colpa, c’era e da tempo; stava nel codice penale del Guardasigilli fascista Rocco, del 1930. Invero la legge che punisce l’omicidio per colpa c’è da tempo immemorabile, dacché la colpa si è staccata, come un frutto maturo, dall’albero della colpevolezza prima limitata all’intenzionalità del danno, cioè al dolo, ma, a dire il vero e come accennato prima, è evidente che il fatto che ci fosse la legge non vuol dire che ci fosse anche il diritto penale.

Il fatto della causazione per colpa della morte di un lavoratore esposto ad amianto è diventato un delitto solo da poco e se pm e giudici prima non vedevano nella legge che stava nel codice penale abbastanza “materia penale” per punire quel fatto, ci deve essere qualche ragione che l’idea tralatizia secondo cui la legge è il diritto penale contribuisce solo a velare cioè non aiuta a capire.

Il giudice serve la legge ovvero è servo della legge? La Legge governa e non il Giudice, come la speranzosa ideologia illuminista ancora vuol farsi credere vera? La Costituzione poi non sacralizza il principio di legalità combinato col principio della doverosità dell’azione penale del pm? La Costituzione non tutela come bene primario la vita e salute del lavoratore? Parrebbe di sì, ma sfortunatamente essa non funziona da sola, come da sola non funziona la legge ordinaria».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Amianto/3, la causa penalmente rilevante è il cuore del problema».

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18 novembre 2020

Amianto/4 – La scienza è continuamente manipolata e distorta dalle parti: in aula la “legge scientifica” non esiste

 

«Il mio maestro Federico Stella ha risolto il problema della causa, mescolando in una sintesi ardita, causa e non causa, cioè necessità causale e mere correlazioni sempre probabili e mai necessarie, che, per definizione, non sono ancora cause anche perché forse le cause non ci sono? No, purtroppo. Il problema vero doveva apparire evidente.

È evidente che il modello di spiegazione – che sia quello deduttivo o quello induttivo – col quale Stella integra la tradizionale teoria della condicio sine qua non, a sua volta presuppone che il Giudice abbia già trovato la legge scientifica – l’explanans – dentro cui sussumere il fatto – l’explanandum –, ma come si trovi questa legge scientifica né l’uno né l’altro modello lo dicono, né pretendono di dirlo.

Siccome il problema vero e difficile è sempre trovare e riconoscere la legge scientifica in cui sussumere il fatto, il diritto penale dovrebbe riflettere su se stesso con un certo imbarazzo visto che ancora crede che i modelli di spiegazione di cui Stella ha parlato abbiano capacità euristiche che ovviamente non hanno».

 

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18 novembre 2020

Alcune considerazioni sulla “trasparenza” delle riviste giuridiche online

 

«I mezzi di informazione di massa stanno evolvendo rapidamente, così come stanno mutando, altrettanto rapidamente, le modalità attraverso le quali le persone si informano e si formano.

[…]

Questo fenomeno può avere anche un lato oscuro che deve essere rischiarato perché questa offerta di informazione, tanto più se gratuita e ad accesso libero, pone indubbiamente delle questioni etiche e deontologiche di cui è bene essere consapevoli e su cui è opportuno riflettere.

[…]

DPU aprirà nel suo sito una sezione in cui comunicherà, con la massima trasparenza possibile, tutte le predette informazioni di rilievo che la riguardino, e contestualmente auspica che tutte le altre Riviste scientifiche online, giuridiche e non, condividano le esigenze di trasparenza e accessibilità delle informazioni sopra evidenziate».

 

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2 dicembre 2020

Amianto/5 – Il giudice deve deliberare di scienza, materia che molto spesso ignora

 

«I giudici, allora, come in un grande gregge senza pastore, cominciano a infiocchettare le loro sentenze con la rassicurante espressione “alto grado di credibilità razionale”, ma si dimenticano quasi sempre di spiegare come siano giunti a un così alto grado di… convincimento soggettivo. Pare difficile crederlo, ma forse quando i giudici scrivono “alto grado di credibilità razionale” non si avvedono del fatto che stanno solo scrivendo “credo di avere ragioni sufficienti per dire che A causi B.

 Che cos’è allora codesta nuova probabilità che suona così bene alle orecchie?

Il giudice, per poter condannare, deve sempre spiegare le ragioni per cui è pervenuto a un “alto grado di credibilità razionale” circa la sussistenza di qualunque elemento costitutivo della fattispecie di delitto. Non solo la causalità, ma anche la colpa o il dolo. Non è forse ovvio?».

 

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16 dicembre 2020

Amianto/6 – I giuristi se ne facciano una ragione: non c’è alcun diritto al di fuori di un fatto

 

«Come è possibile che un giudice veda un consenso scientifico intorno ad A e un altro giudice veda un consenso scientifico intorno a Non A? La Cassazione che cosa fa di fronte a questo problema? Talvolta si avventura sul terreno del fatto concreto provando a suggerire ai giudici di merito schemi generali di motivazione che potrebbero essere bastevoli per superare il vaglio che la stessa Corte di Cassazione farà sulla sentenza di condanna.

[…]

La Cassazione, che dovrebbe essere titolare della cattedra nomofilattica nel sistema e quindi dovrebbe dire che cosa è diritto penale e che cosa no, salomonicamente, allora, conferma e annulla assoluzioni così come annulla e conferma condanne per lo stesso fatto, la causazione del mesotelioma dall’esposizione occupazionale frazionata nel tempo, e forse non si accorge dell’aporia, cioè della flagrante contraddizione, che così introduce nel sistema, o forse sì se ne accorge benissimo ma sostiene ch’essa deve solo stabilire se il giudice di merito abbia logicamente motivato la condanna o l’assoluzione».

 

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3 febbraio 2021

Amianto/7: il nuovo diritto penale si deve misurare con l’incertezza dell’evento (così come lo abbiamo considerato finora)

 

«[…] Il problema della responsabilità causale personale per l’amianto è risolvibile con una condanna razionalmente motivabile solo accettando di accontentarsi della prova che qualunque esposizione ha, ex ante, aumentato la probabilità dell’evento.

È possibile assegnare una probabilità diversa a ogni periodo di esposizione. La ragione qui è sinonimo però di incertezza non risolubile e il poco che v’è di certo è che l’evento della probabilità non è più l’evento del realismo ingenuo del diritto penale.

[…]

Che cosa sia la causalità del diritto penale dipende anche dalla risposta alla domanda se il diritto penale debba o no essere applicato anche ai fatti della cosiddetta società del rischio, crimini tipici del capitalismo industriale contemporaneo, la cui caratteristica essenziale, è che essi sono costruiti e costruibili nel processo solo accettando e governando l’onnipresente e ineliminabile incertezza circa la loro esistenza e la loro magnitudine».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Amianto/7: il nuovo diritto penale si deve misurare con l’incertezza dell’evento (così come lo abbiamo considerato finora)».

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17 febbraio 2021

Amianto/8: quanto poco vale la vita di un uomo per il diritto penale

 

«Il diritto civile funziona meglio?

In diritto civile possono valere convenzioni come quelle create dalle Corti Usa che, per condannare il convenuto, cioè il datore di lavoro, pretendono la prova di un aumento del rischio, cioè di un rischio relativo, superiore a 2 (C. Reynolds, Public Health and Environment Law, Federation Press, 2011, p. 98).

Il raddoppio del rischio garantirebbe – così si pensa laggiù – che l’attore abbia adempiuto l’onore probatorio del “più probabile che no” perché un rischio statistico relativo più alto di 2 significa – o significherebbe – una probabilità logica maggiore del 50%.

È una convenzione, peraltro assai dibattuta, anche negli Usa.

Se la si volesse importare in Italia, quanto dovrebbe essere alto l’aumento del rischio per soddisfare lo standard? Quanto vale la vita d’un operaio morto d’amianto, se chi difendeva la famiglia ebbe l’accortezza di scegliere la via civile e non quella penale?

Il diritto, però, ha anche bisogno di certezza e quella regola convenzionale, per quanto dubbia, tende a preservare questo valore del diritto.

Negli Usa il problema – o uno dei problemi – è che il quantum delle condanne inflitte dalle Corti civili è del tutto imprevedibile, ora non c’è ora può essere o apparire spropositato.

In Italia, invece?».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «Amianto/8: quanto poco vale la vita di un uomo per il diritto penale».

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31 marzo 2021

E la nave (non) va…

«Nel 1494 Sebatian Brant pubblicò un volumetto di versi allegorici intitolato La nave dei folli. In esso si trova una celebre incisione di Albrecht Durer. La Giustizia vi è raffigurata come una donna bendata. Dietro, un folle, riconoscibile per il berretto a sonagli, le stringe il nodo della benda.

Le cronache giudiziarie di questi ultimi tempi riportano d’attualità il tema di quell’incisione. C’è qualcuno che da dietro le spalle leghi la benda che chiude gli occhi alla giustizia? Chi benda gli occhi alla Giustizia è veramente un pazzo? Oppure no, la Giustizia è al collasso per tante difficili e profonde ragioni?».

 

Per leggere l’intero contributo, clicca sul titolo, «E la nave (non) va…».

 

È il diritto penale che deve adattarsi alla natura dell’uomo
oppure è la natura dell’uomo che deve adattarsi al diritto penale?

Luca Santa Maria

Diritto Penale e Uomo - DPU

Luca Santa Maria e Associati - LSM

Diritto Penale Contemporaneo - DPC

Un incontro di saperi sull’uomo e sulla società
per far emergere l’inatteso e il non detto nel diritto penale

 

ISSN 2612-677X (sito web)
ISSN 2704-6516 (rivista)

 

La Rivista non impone costi di elaborazione né di pubblicazione