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09.09.2020
Susanna Arcieri - Fabio Basile - Raffaele Bianchetti

About transdisciplinarity

Editorial on occasion of the opening of the first research Building Sites

 

Prendono oggi il via i lavori all’interno dei primi Cantieri di ricerca di DPU, termine con il quale si è scelto di identificare singoli percorsi di ricerca lungo i quali il progetto DPU intende muoversi per indagare i rapporti tra il diritto penale e l’uomo nella società contemporanea.

Uno dei principali criteri-guida dei lavori all’interno dei Cantieri sarà rappresentato dal carattere marcatamente transdisciplinare che connota sia l’approccio seguito nella ricerca, sia l’estrazione e l’esperienza professionale dei membri dei gruppi di lavoro che animano ciascun Cantiere. Del resto, fin dalla nascita di DPU, abbiamo fatto ampio uso del termine “transdisciplinarità” per definire il cuore e gli scopi del progetto, come una sorta di baluardo dell’intero programma scientifico-culturale.

Cogliamo allora l’occasione dell’apertura dei primi tre Cantieri di ricerca, dedicati a diritto penale e rischio, diritto penale ed economia e diritto penale e linguaggi, per soffermarci meglio, e più nel dettaglio, su cosa esattamente intendiamo dire quando affermiamo che DPU è un progetto a vocazione “transdisciplinare”, prendendo in prestito le parole usate da Emanuela Bambara, filosofa e giornalista professionista culturale, nella sua prefazione al Manifesto della transdisciplinarità di Basarab Nicolescu[1].

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Il termine “transdisciplinarità” fu coniato da Jean Piaget nel 1963 nell’ambito di un programma di studio per il Centro di ricerca e di indagine sull’educazione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Erich Jantsch lo ufficializzò nel 1972, riconoscendogli uno statuto gnoseologico e pedagogico, in un saggio dal titolo “Towards interdisciplinarity and transdisciplinarity in education and innovation”[2].

Edgar Morin, poi, lo ha dotato di una fondazione etica ed epistemologica attraverso un “viaggio” di pensiero e di riflessione che fa tappa nelle tante opere della sua versatile e multiforme creatività saggistica e che trova una sintesi nel volume “I sette saperi necessari all’educazione del futuro”[3], frutto di uno studio su incarico dell’Unesco.

Dunque, fin dal suo esordio la transdisciplinarità è associata alla questione  educativa: più precisamente, essa è una risposta all’esigenza di una riorganizzazione, di una evoluzione – se non addirittura di una vera e propria rivoluzione – del sistema educativo del sapere, come conseguenza necessaria e auspicabile della riforma paradigmatica della cultura e della conoscenza iniziata agli albori del XX secolo, con la rivoluzione quantistica e la rivoluzione informatica, ancora in piena attuazione.

La transdisciplinarità non è, quindi, una nuova disciplina.

Può essere considerata, piuttosto, come il “meta-punto di vista” di tutte le discipline, quel “candore dello sguardo nuovo” che, come scriveva il biologo Jacques Monod ne ll caso e la necessità, può illuminare di luce nuova antichi problemi, contribuendo allo sviluppo dello spirito problematizzatore e, quindi, al progresso della conoscenza.

Transdisciplinarità è il nome di un nuovo approccio alla realtà e alla vita, di una nuova visione olistica-ecologica-sistemica-sinergica­solidale-complessa del sapere, nella quale possano convergere le singole discipline quali “punti di vista” e “livelli di osservazione” sul mondo, insieme autonomi e interconnessi.

La transdisciplinarità è, per così dire, il “terzo occhio”, che ci permette un meta-sguardo sul mondo, polioculare e multifocale.

I pensatori e i ricercatori transdisciplinari sono, in un certo senso, “indisciplinati” e “trasgressori” degli ordini costituiti nell’organizzazione delle informazioni e nella trasmissione del sapere: aperti e disponibili a superare le barriere e i limiti normativi e metodologici della disciplina di propria appartenenza, ad oltrepassare i confini disciplinari, come suggerisce il suffisso trans, per accedere all’area libera e comune dei problemi umani fondamentali, che possono trovare soluzione soltanto all’interno di un dialogo autentico e profondo e in collaborazione paritaria e democratica tra tutte le discipline e gli ambiti della conoscenza.

La transdisciplinarità è lo spazio di frontiera, il “luogo senza-luogo”, ove le singole discipline si incontrano e nel quale i problemi fondamentali dell’uomo e della vita trovano il loro “giusto posto”. Per questa ragione, la transdisciplinarità esige un atto preliminare di umiltà, nel senso che essa necessita la sussistenza di un iniziale riconoscimento del fatto che ogni singola disciplina non è altro che un frammento, seppure luminoso e bellissimo, nell’infinito mosaico della conoscenza umana.

Lo studio disciplinare, infatti, è unidimensionale e contempla di solito un solo livello di realtà; nella maggior parte dei casi, poi, esso si concentra sui frammenti di questa realtà, perdendone di vista la complessità.

Lo studio transdisciplinare, invece, si interessa alle dinamiche generate dall’interazione tra molteplici livelli di realtà contemporaneamente. Esso prende in considerazione la realtà in un’ottica multidimensionale, strutturata su molteplici livelli.

La transdisciplinarità rappresenta, in estrema sintesi:

  1. la trasgressione della dualità, della frammentazione, dell’iper-specializzazione settoriale;
  2. il superamento della frattura tra cultura scientifica e cultura umanista, tra scienze dell’uomo e scienze della natura;
  3. la sfida vera e propria alla “complessità” delle cose.

Potremmo dire che essa è il “crocevia” di una nuova avventura umana nella complessità del mondo contemporaneo, la “torre di controllo” che vigila e sovrintende alle migrazioni e alle “epidemie” linguistiche e semantiche tra le discipline, tra i popoli e i territori della conoscenza.

A differenza della interdisciplinarità e della multidisciplinarità, la transdisciplinarità consiste in una comunicazione tra le discipline a livello profondo e paradigmatico nella quale le idee, i concetti, le immagini circolano liberamente da un “campo” all’altro.

Pertanto, il pensiero del ricercatore è chiamato ad uno sforzo nuovo, di creazione di “passerelle” per l’attraversamento delle differenti aree disciplinari, per la formazione di nuovi modelli teorici e metodologici di comprensione e per la messa in pratica di nuove strategie educative, in apprendimento permanente, sull’essere umano nella sua totalità.

La transdisciplinarità è, si potrebbe dire, ciò che, ne Il vivo del soggetto, Morin definisce la comunicazione intelligente tra l’al di qua e l’al di là dell’intelligenza.

Nell’interpretazione liberale anglosassone, la transdisciplinarità può essere considerata come una nuova modalità, complessa e cooperativa, di produzione della conoscenza: ove il sapere è una sorta di “capitale” umano, il cui valore dipende non soltanto dalla qualità in sé delle conoscenze, ma anche dagli effetti pratici che esse hanno nella vita quotidiana.

Questo aspetto pratico-applicativo non è, infatti, secondario per la ricerca transdisciplinare. Essa, infatti, deve tradursi in un agire concreto, in strategie di soluzione ai problemi della vita quotidiana dell’uomo contemporaneo, grazie alla partecipazione e il contributo di tutte le componenti dello scibile. Per fare questo, ovviamente, non vi devono essere chiusure e diffidenze disciplinari e devono essere superate le difficoltà di comunicazione linguistica e concettuale, affinché il dialogo e il confronto non siano sterili sul piano – appunto – delle ricadute pratiche ed applicative.

Di fatto, la transdisciplinarità è una pratica trasformativa della conoscenza: apre nuove vie di indagine all’interno delle singole discipline e attiva relazioni nuove tra le diverse discipline, favorendo l’evoluzione unitaria, sinergica e armoniosa dell’intero sistema del sapere.

Nello studio transdisciplinare, diversi sono i livelli operativi che occorre tenere in considerazione. Tra questi ricordiamo:

– il livello epistemologico-linguistico, che riguarda la consapevolezza di ogni disciplina della propria “identità disciplinare” e del proprio statuto, per un’autentica comunicazione tra le discipline e una efficace condivisione di termini, concetti e metodi tra l’una e l’altra;

– il livello applicativo, che riguarda la soluzione sinergica ed integrata di problemi complessi;

– il livello generativo, che riguarda la nascita di nuove forme di conoscenza e, a volte, anche di nuove discipline.

Di conseguenza, la saggezza transdisciplinare consiste nell’attitudine e nella capacità a mettere in relazione i differenti “punti di vista disciplinari”, articolandoli in un ciclo di conoscenza vitale e dinamico, caratterizzato da ciò che Ernst Cassirer, in Conoscenza, concetto, cultura, definiva quell’eterna “sistole” e “diastole” che è essenziale al pensiero, alla funzione logica in quanto tale nella sua totalità.

La transdisciplinarità, in altre parole, può essere considerata una sorta di ambasciatrice della nuova “democrazia della conoscenza”, dove domande e risposte, problemi e soluzioni possono trovare delle “nuove” dimensioni e delle “nuove” utilità.

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[1] Il testo che segue costituisce una rielaborazione e una sintesi di detta prefazione (E. Bambara, Prefazione, in B. Nicolescu, Il Manifesto della transdisciplinarità Armando Siciliano Editore, 2014, pp. 7 ss.).

[2] Pubblicato all’interno del volume Interdisciplinarity. Problems of Teaching and Research in Universities, OECD, 1972, pp. 97 ss.

[3] Edito da Raffaello Cortina Editore, 1999. Un estratto del volume (pp. 11 ss.) è stato pubblicato in questa rivista il 26 febbraio 2020.

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A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

ISSN 2612-677X (website)
ISSN 2704-6516 (journal)

 

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