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08.07.2020
Paola Bonora

Imputability of the child: education or rapid escape from the criminal trial?

A brief analysis of the recent jurisprudence on the assessment of the immaturity of the juvenile offender

Issue 7-8/2020

Abstract. Starting from the psycho-socio-juridical concept of maturity, the paper proposes to analyze the path of the jurisprudence of legitimacy until the most recent jurisprudential approaches regarding the immaturity of the juvenile offender.

 

SUMMARY: 1. Introduction. – The assessment of the maturity in the light of the different interpretation guidelines. – 2.1. A first confirmation. – 2.2. The illusion of a peaceful solution. – 3. Which solution to prefer?

1. Premessa.

L’imputabilità – o meglio il difetto di imputabilità – del minore autore di reato, che trova fondamento all’interno del nostro ordinamento agli articoli 97 e 98 del codice penale, è un concetto giuridico di contenuto incerto, che deve essere riempito sulla base degli apporti e dei continui progressi delle scienze psico-sociali, così come ricorda, tra molti, Chiara Scivoletto[1].

La formula utilizzata dal nostro legislatore fonda la non imputabilità dell’autore di reato minore di anni diciotto sull’assenza della sua effettiva capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto. Questa condizione di non imputabilità “minorile” è stata tradotta dalla giurisprudenza e dalla dottrina nel concetto di “immaturità” e si basa sull’idea che, pur potendo il singolo soggetto avere un livello di capacità sufficientemente sviluppato, ad esso mancherà quasi sempre quel “bagaglio etico” da cui dipende la piena comprensione dei valori morali che fondano una data comunità[2].

Partendo da questo assunto concettuale e analizzando a contrario la giurisprudenza di legittimità è possibile rilevare che quest’ultima ha ritenuto che l’assenza di maturità del minore si fondi sulla mancanza di un adeguato «sviluppo intellettuale e morale» (Cass. pen., sez. I, 11 luglio 1991, n. 10002) e di una sufficiente «capacità intellettiva e di autodeterminazione» (Cass. pen., sez. I, 1 ottobre 1990, n. 14674); inoltre, che questa mancanza sia tale da non permettergli di rendersi conto del disvalore sociale del fatto commesso (Cass. pen., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9265).

La condizione di non imputabilità “minorile” è stata tradotta dalla giurisprudenza e dalla dottrina nel concetto di “immaturità” e si basa sull’idea che […] ad esso mancherà quasi sempre quel “bagaglio etico” da cui dipende la piena comprensione dei valori morali che fondano una data comunità

Se nel caso degli ultraquattordicenni[3], però, l’assenza di maturità è rimessa ad una valutazione caso per caso ad opera, in concreto, del giudice di merito: per gli infraquattordicenni[4], invece, la stessa è presunta in modo assoluto, ovvero prescinde dall’effettivo riscontro della capacità di intendere e di volere in capo al soggetto.

In questa sede ci concentreremo proprio sulla disciplina normativa e sugli orientamenti giurisprudenziali formatisi sull’art. 26 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448[5], che impone al giudice, che accerti che il minore abbia un’età inferiore agli anni quattordici, la pronuncia, anche di ufficio, di una sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità[6].

2. L’accertamento della maturità alla luce dei diversi indirizzi interpretativi.

La norma sopra citata non richiede accertamenti sulle condizioni di procedibilità o nel merito dell’imputazione, salvo tener presente il dovere imposto al giudice minorile, ai sensi dell’art. 9 d.P.R. 448/88, di acquisire, anche ai fini della decisione circa l’imputabilità, elementi utili sulla personalità dell’imputato.

Una prima interpretazione giurisprudenziale puramente letterale ha perciò affermato che il giudice non potesse scendere nel merito, onde accertare sia l’eventuale insussistenza del fatto sia la non attribuibilità dello stesso al minore imputato, atteso il carattere superfluo di qualsiasi indagine in ordine ad un fatto che il legislatore non permette di perseguire (Cass. pen., sez. V, 29 dicembre 2009, n. 49863).

La norma […] non richiede accertamenti sulle condizioni di procedibilità o nel merito dell’imputazione, salvo tener presente il dovere imposto al giudice minorile […]  di acquisire, anche ai fini della decisione circa l’imputabilità, elementi utili sulla personalità dell’imputato

Quest’orientamento, però, è stato smentito da successive pronunce della Suprema Corte. Si è lamentato, infatti, che l’interpretazione sopra menzionata non fosse conforme a Costituzione, poiché l’immediata declaratoria di non imputabilità andrebbe a minare il diritto di difesa e il diritto al contraddittorio fra le parti e a limitare l’attività di indagine, tanto più che l’art. 224 c.p. prevede la possibilità di applicare al minore infraquattordicenne le misure di sicurezza del riformatorio giudiziario[7] e della libertà vigilata[8]. Si è andato così consolidando un indirizzo giurisprudenziale che afferma che, prima di pronunciare declaratoria di non imputabilità, il giudice debba accertare sia la responsabilità dell’imputato sia le ragioni del suo mancato proscioglimento (Cass. pen., sez. V, 17 gennaio 2012, n. 18052, Cass. pen., sez. V, 23 luglio 2014, n. 24696, Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2016, n. 49603).

Infatti, se è vero che è interesse del minore fuoriuscire dal processo penale il prima possibile, è altrettanto vero che per il minore è determinante a fini educativi il riconoscimento della sua estraneità rispetto al fatto di reato a lui contestato o il suo inserimento all’interno di un percorso educativo di recupero, senza che gli sia trasmesso un pericoloso senso di impunità[9]. La valorizzazione del suo ruolo all’interno del processo penale e la sua responsabilizzazione sono, peraltro, gli obbiettivi che l’art. 9 d.P.R. 448/88 impone al giudice di perseguire e che rendono fondamentale il momento di accertamento sulla responsabilità[10].

Si è privilegiata, dunque, un’interpretazione sistematica e non letterale dell’art. 26 d.P.R. 448/88, che è stata raccordata alle indicazioni costituzionali e sovranazionali in tema di giustizia minorile (ex plurimis, Cass. pen., sez. II, 10 aprile 2015, n. 16769).

Se è vero che è interesse del minore fuoriuscire dal processo penale il prima possibile, è altrettanto vero che per il minore è determinante a fini educativi il riconoscimento della sua estraneità rispetto al fatto di reato a lui contestato o il suo inserimento all’interno di un percorso educativo di recupero, senza che gli sia trasmesso un pericoloso senso di impunità

Sull’onda di questo filone giurisprudenziale, si è arrivati addirittura ad affermare che, anche nei confronti dei minori infraquattordicenni, dovrebbe essere fissata l’udienza preliminare, poiché la lettera della norma di cui all’art. 26 d.P.R. 448/88 non escluderebbe l’applicazione dell’art. 31, c. 3, d.P.R. 448/88, che garantisce il contraddittorio a tutti gli aventi diritto, inclusa la persona offesa (Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2016, n. 45441).

 

2.1. Una prima conferma.

La tesi favorevole all’accertamento nel merito dei fatti ipoteticamente ascritti ad un soggetto infraquattordicenne è stata consolidata dal giudice di legittimità nel 2018.

La Corte di Cassazione, sezione V, infatti, con la sentenza del 23 ottobre 2018, n. 55260[11], ha annullato la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Caltanissetta che dichiarava non luogo a procedere nei confronti dell’imputato in ordine al delitto continuato di minaccia aggravata, in quanto non imputabile, al momento del fatto, perché di età inferiore agli anni quattordici.

La sentenza, in particolare, era stata impugnata dai genitori del ragazzo, i quali lamentavano la presenza di una violazione di legge, avendo il giudice deciso sulla base della sola querela sporta contro l’imputato, senza consentire al medesimo di esprimersi in merito alla vicenda e, dunque, senza consentire l’instaurazione del contraddittorio fra le parti. Lamentavano, inoltre, di essere venuti a conoscenza della sentenza tramite un accesso in cancelleria, non avendo ricevuto l’imputato l’avviso né della conclusione delle indagini preliminari né della pronuncia della sentenza né quest’ultima gli era stata notificata. Il pregiudizio per il ragazzo, su cui si fondava l’interesse a ricorrere, derivava dal fatto che la suddetta pronuncia, divenuta irrevocabile, andasse iscritta nel casellario giudiziale fino alla maggior età. A sostegno della loro posizione, i genitori dell’imputato avevano allegato quanto affermato dalla stessa Corte di Cassazione nella sopra citata sentenza n. 16769/2015 (v. supra). Condividendo le loro ragioni, anche il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione aveva chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.

Orbene, la Corte, che ha ritenuto il ricorso promosso fondato e lo ha accolto, ha ripercorso la sua giurisprudenza in materia.

Prendendo le mosse dal contenuto dell’art. 26 d.P.R. 448/88, ha precisato che sull’interpretazione della norma e, in particolare, sulla necessità di instaurare il contraddittorio nei confronti dell’imputato infraquattordicenne, la stessa Corte aveva ritenuto, con un primo indirizzo interpretativo, che si imponesse l’immediata declaratoria della non imputabilità senza che fosse necessario comunicare la pendenza del procedimento al minore per consentirgli l’eventuale difesa nel merito dell’accusa mossagli (in tal senso veniva richiamata la sentenza n. 49863/2009, v. supra).

Quest’orientamento, però, aveva trovato smentita in tutte le ulteriori pronunce sul tema, in cui si era affermato che la sentenza di non luogo a procedere ex art. 26 d.P.R. 448/88 per difetto di imputabilità del minore postulasse il necessario accertamento di responsabilità dell’imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito, alla luce delle conseguenze che al minore possono derivare in tema di applicazione di misure di sicurezza. A ciò si aggiunge l’ulteriore effetto sfavorevole rilevato nel presente ricorso, ossia l’iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento definitivo di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, ai sensi dell’art. 3, c. 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313[12], iscrizione che viene cancellata solo al raggiungimento della maggiore età ai sensi dell’art. 5, c. 4, d.P.R. 313/02.

Sulla necessità di instaurare il contraddittorio nei confronti dell’imputato infraquattordicenne, la stessa Corte aveva ritenuto […] che si imponesse l’immediata declaratoria della non imputabilità senza che fosse necessario comunicare la pendenza del procedimento al minore per consentirgli l’eventuale difesa nel merito dell’accusa mossagli […]. Quest’orientamento, però, aveva trovato smentita in tutte le ulteriori pronunce sul tema

Facendo proprio quest’ultimo filone interpretativo, la Corte ha affermato che l’applicazione del citato art. 26 deve essere preceduta dall’instaurazione del contraddittorio, così da consentire al minore di apprestare le sue difese per pervenire ad un eventuale proscioglimento nel merito che escluda sia l’applicazione di una misura di sicurezza sia l’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale. Solo una conclusione di questo genere può ritenersi costituzionalmente orientata, a detta della Corte, e tutelante il diritto di difesa, come sancito dall’art. 24 Cost. e dall’art. 6 della Convenzione EDU.

 

2.2. L’illusione di una soluzione pacifica.

Se il giudice di legittimità, dopo tanto faticare, sembrava aver trovato finalmente una giurisprudenza consolidata a cui fare appiglio, a ribaltare la prospettiva e complicare ulteriormente la situazione è intervenuta la sezione I della Corte di Cassazione, con una sentenza di soli tre mesi successiva alla precedente.

La stessa, con la sentenza del 14 febbraio 2019, n. 16118[13], ha dichiarato inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso avverso la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Messina di non luogo a procedere perché gli imputati, in relazione al reato di molestia o disturbo alle persone di cui all’art. 660 c.p., erano infraquattordicenni all’epoca dei fatti.

Uno dei due imputati, in particolare, aveva fatto ricorso in Cassazione avverso la suddetta sentenza, lamentando l’assenza di motivazione nel merito sulla sussistenza o meno del fatto addebitato, essendosi limitata la sentenza ad evidenziare che i minori erano non imputabili al momento della condotta loro contestata. Anche nel caso in esame, il ricorrente sosteneva che l’interesse a ricorrere fosse correlato all’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale.

La Corte, però, per risolvere la questione, ha fatto proprio un ragionamento del tutto contrapposto a quello adottato dal giudice di legittimità del 2018, ritenendo che, posto che l’assenza di imputabilità del soggetto infraquattordicenne deriva da un’espressa previsione di legge con obbligo della immediata declaratoria della non imputabilità, l’eventuale applicazione di una misura di sicurezza deriva, oltre che dall’accertata commissione di un reato costituente delitto, dalla valutazione in concreto della pericolosità sociale del reo. La necessità di ricostruzione del fatto commesso dal minore infraquattordicenne si ricollegherebbe, dunque, esclusivamente alla contestuale applicazione di una misura di sicurezza, aspetto che non viene in rilievo nel caso di specie (anche perché trattasi di contravvenzione).

A ribaltare la prospettiva e complicare ulteriormente la situazione è intervenuta la sezione I della Corte di Cassazione, con una sentenza di soli tre mesi successiva alla precedente, [che] ha fatto proprio un ragionamento del tutto contrapposto a quello adottato dal giudice di legittimità del 2018

La Cassazione è giunta a questa conclusione muovendo da quanto affermato nella sentenza n. 49863/2009 e ritenendo che le successive pronunce della Corte, tese a richiamare la necessità di una motivazione sulla sussistenza del fatto e, dunque, sul mancato proscioglimento nel merito si ricollegassero proprio all’applicazione di una misura di sicurezza. L’effetto sfavorevole dell’iscrizione nel casellario della sentenza di non luogo a procedere nei confronti del minore è, invece, meramente temporaneo, attesa la sua cancellazione al raggiungimento della maggiore età.

3. Quale soluzione privilegiare?

Scopo principale del processo minorile è, come ogni procedimento penale, l’accertamento dei fatti e dell’eventuale responsabilità penale ascrivibile a soggetti minorenni, ma il rito minorile è anche improntato ad altri canoni, specificatamente modulati in relazione a quello che è il soggetto di riferimento. Primaria importanza ha il c.d. “principio di minima offensività”, secondo cui il processo deve tendere, compatibilmente con le necessità di accertamento, a tutelare adeguatamente la personalità e le esigenze educative del soggetto minorenne, ma altrettanto importanti sono il principio di c.d. “destigmatizzazione”, volto a far dichiarare la superfluità del processo il prima possibile così da evitare deleteri etichettamenti, e quello di “deflazione processuale”.

L’art. 26 d.P.R. 448/88 risponde a tutti questi principi, volendo evitare al minore i traumi derivanti dal coinvolgimento all’interno di un contesto ansiogeno come quello processuale[14].

Dunque, se da un lato è maggiormente tutelante ed educativo per il minore infraquattordicenne un proscioglimento nel merito, laddove possibile, sia per gli effetti sfavorevoli in precedenza analizzati sia perché, in generale, qualsiasi soggetto non colpevole merita il riconoscimento della propria innocenza, va detto anche che il processo penale minorile, pur dovendo tutelare il percorso evolutivo del minore, non può essere concepito come un’opportunità pedagogica, non essendo il luogo ove una qualche forma di pedagogizzazione può avvenire.

Inoltre, è chiaro che un’indagine nel merito vada inevitabilmente a pesare su una giustizia penale già gravata da un importante carico processuale, così andando a ledere i principi di “deflazione” e “destigmatizzazione”.

Se da un lato è maggiormente tutelante ed educativo per il minore infraquattordicenne un proscioglimento nel merito, laddove possibile […], va detto anche che il processo penale minorile, pur dovendo tutelare il percorso evolutivo del minore, non può essere concepito come un’opportunità pedagogica, non essendo il luogo ove una qualche forma di pedagogizzazione può avvenire

Per questi motivi, in attesa di una decisione risolutiva da parte della Suprema Corte, tutto è rimesso a quale logica seguire e quale principio far prevalere: una finalità educativa in senso stretto o la finalità, pur altrettanto importante, di rapida fuoriuscita del minore dal processo penale?

 

___________

 

[1] V. L’imputabilità del minorenne. Intervista a Chiara Scivoletto in questa rivista, 6 novembre 2019.

[2] G. De Francesco, Diritto penale. I Fondamenti, Giappichelli Editore, 2011, pp. 374-375 e p. 381.

[3] Si fa riferimento ai soggetti di età compresa fra i quattordici e i diciotto anni.

[4] Si tratta di individui di età inferiore agli anni quattordici.

[5] Questo decreto, integrato dal d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 e dal d.l. 28 luglio 1989, n. 272, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, ha dato forma al c.d. Codice del processo penale minorile. Sulla scia della maggior sensibilità nei confronti della devianza giovanile, affermatasi con forza a partire dalla “Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo” del 1959, il decreto ha delineato un sistema di giustizia penale ad hoc per i minori, che ne ha visto il passaggio da oggetto di protezione a soggetto titolare di diritti.

[6] All’esito dell’udienza preliminare il giudice ha due strade: 1) pronunciare sentenza di non luogo a procedere, così chiudendo il procedimento in quella fase oppure 2) rinviare l’imputato a giudizio. L’art. 425 c.p.p. disciplina i casi in cui il giudice deve optare per la prima alternativa: a) sussiste una causa di estinzione del reato o per la quale l’azione non doveva essere iniziata o proseguita; b) il fatto non è previsto dalla legge come reato; c) il fatto non sussiste; d) l’imputato non lo ha commesso; c) il fatto non costituisce reato o si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa. Per i minori degli anni diciotto, il d.P.R. 448/88 ha introdotto altre due formule di proscioglimento: quella in commento e l’irrilevanza del fatto, laddove lo stesso – ossia il fatto – sia tenue e il comportamento del minorenne occasionale.

[7] Pur facendo la norma in esame tutt’ora riferimento al riformatorio giudiziario, in realtà quest’ultima struttura non esiste più dal 1988, quando con l’introduzione del d.P.R. 448/88 si previde all’art. 36 che tale misura di sicurezza potesse essere eseguita solo nelle forme di cui all’art. 22 d.P.R. 448/88 ovvero tramite il collocamento in comunità.

[8] La libertà vigilata è una misura di sicurezza non detentiva disciplinata, in via generale, agli artt. 228-232 c.p. Tale misura, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 448/88, si applica anche nei confronti del minorenne autore di reato e, in tal caso, deve essere eseguita nelle forme previste dagli artt. 20 e 21, che hanno ad oggetto “Prescrizioni” e “Permanenza in casa”. In tale contesto, il giudice può prescrivere al minorenne attività di studio o di lavoro o altre attività utili a fini educativi.

[9] E. Mariani, La declaratoria di non imputabilità dell’infraquattordicenne non deve ridurre le garanzie poste a tutela del minore in Diritto penale contemporaneo, 9 giugno 2015.

[10] Al riguardo cfr., tra tanti, R. Bianchetti, La personalità del minorenne: gli accertamenti esperibili e le finalità processuali (art. 9, D.P.R. 22.9.1988, n. 448), in G.F. Basini, G. Bonilini, M. Confortini (a cura di), Codice di famiglia, minori e soggetti deboli. Codice commentato, Tomo II, UTET, 2014, pp. 4902 ss.

[11] Per leggere le motivazioni, clicca qui.

[12] Il decreto ha a oggetto il “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti”.

[13] G. Giostra (a cura di), Il processo penale minorile, Giuffrè, 2009, pp. 283-291.

[14] Per leggere le motivazioni, clicca qui.

Altro

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