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15.07.2020
Susanna Arcieri

Mind tricks and apparent causation. Daniel Wegner’s theory

Issue 7-8/2020

«Il più delle volte desideriamo consapevolmente fare ciò che facciamo. Sperimentiamo questa sensazione in modo così profondo da essere indotti a credere che le nostre azioni siano causate dalla coscienza. Potrebbe però anche trattarsi di un inganno –­­ il modo col quale la mente si auto-attribuisce la paternità delle azioni, formulando inferenze causali sui rapporti tra quelle e i pensieri. Studi cognitivi, sociali e neuropsicologici sull’apparente causazione mentale suggeriscono che spesso le esperienze di volontà cosciente si discostano dai processi causali reali e, pertanto, potrebbero non rispecchiare le percezioni dirette del pensiero cosciente che provoca l’azione».

 

 

1. Inizia con queste parole il noto articolo dello psicologo americano Daniel Wegner, dal titolo The mind’s best trick: how we experience conscious will, pubblicato ormai oltre diciassette anni fa sulla rivista statunitense Trends in Cognitive Sciences[1].

Scomparso nel 2013, Wegner è stato uno psicologo sociale di fama mondiale, professore ordinario in psicologia prima alla Trinity University del Texas, poi presso l’Università della Virginia e, infine, all’Università di Harvard. La sua notorietà è in gran parte dovuta ai suoi studi sulla volontà, sulla coscienza e sui rapporti tra determinismo e libero arbitrio, tutti temi ampiamente trattati da Wegner nell’ambito della sua teoria della cd. causazione mentale apparente, oggetto del presente articolo così come del noto volume, pubblicato quasi contestualmente, The Illusion of Conscious Will (MiT Press, 2002), da poco tradotto in italiano con il titolo L’illusione della volontà cosciente (Carbonio Editore, 2020).

Siamo abituati a pensare di essere noi a decidere, consapevolmente, di compiere un’azione e quindi di essere noi, esercitando la nostra volontà, a causare quell’azione. Diamo per scontato che ogni nostro gesto sia non solo preceduto ma anche generato da un pensiero, un desiderio cosciente. Si tratta di una percezione tanto intensa quanto, secondo Wegner, probabilmente illusoria.

«È noto che la mente tende a giocare brutti scherzi. Che sia anche questo il caso?»[2].

 

2. Secondo Wegner abbiamo ottime ragioni per ritenere che tanto il pensiero che precede l’azione quanto l’azione in sé siano dovuti a una qualche forza interna alla nostra mente; una forza sulla quale non abbiamo alcun potere di controllo e della cui esistenza neppure siamo consapevoli. Del resto, se le cose stessero effettivamente così, riusciremmo a spiegare tutta una serie di fenomeni bizzarri ma frequenti, caratterizzati da un’apparente dissociazione tra azione e volontà cosciente.

Si pensi, ad esempio, ai risultati degli esperimenti condotti nella seconda metà del Novecento dal neurologo canadese Wilder Penfield, il quale – ricorda Wegner – aveva sottoposto i suoi pazienti a stimolazione cerebrale provocando movimenti corporei (anche di natura complessa, diversi dai semplici riflessi motori) del tutto indipendenti dalla volontà dei soggetti[3].

Wegner ricorda come i partecipanti all’esperimento di Penfield avessero riferito la sensazione di «non essere stati loro»[4] a compiere l’azione, come se essa fosse stata in qualche modo «tirata fuori»[5] dai loro corpi a opera dello sperimentatore.

I partecipanti all’esperimento riferirono la sensazione di “non essere stati loro” a compiere l’azione, come se fosse stato lo sperimentatore a “tirarla fuori” dai loro corpi

«Questa osservazione ha un senso solo assumendo che la sensazione di volontà sia qualcosa che si aggiunge all’azione volontaria, e non la causa di essa»[6], afferma Wegner.

Ulteriori elementi a supporto della tesi dell’illusione della volontà cosciente provengono dal celebre esperimento diretto dal neurofisiologo e psicologo Benjamin Libet a metà degli anni Settanta del secolo scorso[7]. Libet fu il primo a rendersi conto dell’esistenza di uno scarto temporale (di circa mezzo secondo) tra l’attivazione cerebrale[8] che avvia il movimento e il momento in cui il soggetto decide di muoversi.

In altre parole, quando la persona capisce di voler compiere l’azione, il cervello ha già deciso di compierla.

Il che, secondo Wegner, porta ad confermare che «il cervello genera entrambi, il pensiero e l’azione, lasciando che il soggetto sia portato a inferire che è il pensiero a causare l’azione»[9].

Rielaborazione della Figura 1, a p. 66 dello studio di Wegner (2003)

3. Vi è poi un’altra serie di ulteriori situazioni nelle quali le azioni sembrano del tutto indipendenti dalla volontà di chi le compie.

Wegner si riferisce in particolare ai comportamenti automatici, come il gesto di scrivere senza pensare, o a fenomeni spesso ritenuti (specialmente in passato) misteriosi o spirituali, come la rabdomanzia, la lettura del pensiero o lo spostamento di oggetti con la forza della mente.

A tal proposito, l’Autore ricorda ad esempio gli studi del fisico inglese Michael Faraday, incentrati su un fenomeno abbastanza noto in quegli anni (metà ‘800), osservato durante le sedute spiritiche: il fenomeno dei cd. “tavoli giranti”. Alcune persone si raccoglievano attorno a un tavolo poggiando le mani su di esso e, restando perfettamente immobili, cercavano di farlo muovere con la sola forza del pensiero.

Ecco che, secondo quanto riferito dai partecipanti alle sedute, dopo poco tempo il tavolo cominciava a muoversi da solo, girando su se stesso o dall’alto verso il basso, vorticosamente. Nel tentativo di trovare una spiegazione del fenomeno, che fosse più razionale di quella diffusa all’epoca (l’intervento degli spiriti dei defunti fa sì che il tavolo si muova), Faraday ricreò le condizioni tipiche della seduta spiritica ed effettuò diverse misurazioni, arrivando così a scoprire così che erano proprio i partecipanti alla seduta a muovere ­– del tutto involontariamente ­– il tavolo attorno al quale stavano seduti[10].

Insomma: sembra proprio che la semplice sensazione che siamo proprio noi, con la nostra volontà cosciente, a causare l’azione non basti a concludere che le cose stiano effettivamente così.

Il cervello genera entrambi, il pensiero e l’azione, lasciando che il soggetto sia portato a inferire che è il pensiero a causare l’azione

4. Perché, allora ­– si chiede l’Autore – siamo istintivamente portati a dare così ampio credito a quella sensazione?

Nel tentativo di dare una risposta a questa domanda, Wegner ha elaborato una propria tesi, che come anticipato è nota come la teoria della causazione mentale apparente[11].

Secondo la predetta teoria, abbiamo la percezione (ingannatoria) di essere noi, con i nostri pensieri consapevoli, a generare le nostre azioni, ogniqualvolta risultino soddisfatti tre criteri, i cd. principi dell’inferenza causale: la priorità, la coerenza e l’esclusività.

«Quando un pensiero affiora nella coscienza appena prima dell’azione (priorità), è coerente con essa (coerenza) e non sembrano esserci evidenti cause alternative dell’azione (esclusività), abbiamo l’impressione di una volontà consapevole e ci attribuiamo la paternità dell’azione», spiega Wegner[12].

Quando un pensiero affiora nella coscienza appena prima dell’azione (priorità), è coerente con essa (coerenza) e non sembrano esserci evidenti cause alternative dell’azione (esclusività), abbiamo l’impressione di una volontà consapevole e ci attribuiamo la paternità dell’azione

In altre parole, secondo l’Autore ­– che riferisce i fondamenti della propria teoria agli studi di David Hume[13] – tendiamo a ravvisare una relazione causale tra pensiero e azione se il nostro cervello ci fornisce una «anticipazione mentale»[14] dell’azione e quest’ultima, quando viene compiuta, effettivamente corrisponde a quella rappresentazione; si tratta di un’esperienza che facciamo continuamente, infinite volte al giorno.

«I principi dell’inferenza causale», però, «non descrivono relazioni causali reali»[15]; le percezioni, sostiene Wegner, possono essere molto lontane da quel che accade davvero.

Esistono numerosi esempi di questo scostamento tra percezione e realtà, che riguardano ciascuno dei tre principi dell’inferenza causale.

 

5. Il principio di coerenza, ad esempio, postula che le persone avvertono più intensamente la sensazione di volere ciò che fanno, quando ciò che fanno ha un esito positivo. Quando pensiamo di compiere una certa azione, generalmente crediamo che quell’azione porterà un qualche vantaggio (ed è per questo che vogliamo compierla); solo di rado facciamo qualcosa che nella nostra mente ci appare fallimentare.

Quando l’azione, una volta compiuta, si rivela effettivamente vantaggiosa, ecco che il pensiero e l’azione sono coerenti tra loro e per questo ci sembra che il primo abbia generato la seconda.

Le persone avvertono più intensamente la sensazione di volere ciò che fanno, quando ciò che fanno ha un esito positivo

Si tratta però di un errore di ragionamento: come testimoniato da alcuni esperimenti, tendiamo a ragionare in questi termini anche in presenza di eventi del tutto casuali dei quali, ciononostante, riteniamo essere gli autori.

«La gente è portata a credere di controllare un evento occasionale quando nella previsione di tale evento ricevono una serie di potenziali successi»[16], come accade nel caso del lancio di un dado, o di una moneta, quando otteniamo il risultato che speravano di ottenere. La percezione di essere noi stessi la causa di un evento favorevole è quindi dovuta, scrive Wegner, «esclusivamente all’alta frequenza di esiti positivi»[17].

 

6. Per quanto riguarda il principio della priorità, l’Autore spiega che in virtù di questo principio abbiamo la sensazione che il nostro pensiero abbia prodotto, e quindi causato, un’azione, per il semplice fatto di aver pensato di compiere quell’azione, prima di compierla.

Nel corso di un esperimento di qualche anno prima[18], Wegner e la collega Thalia Wheatley hanno chiesto a circa cinquanta studenti, disposti a coppie davanti a un monitor con un mouse in condivisione, di muovere quest’ultimo e selezionare alcune immagini presenti sullo schermo sulla base delle indicazioni ricevute attraverso un auricolare (ad esempio, cliccare sull’immagine di un cigno quando sentivano la voce registrata pronunciare la parola cigno).

Quel che i partecipanti non sapevano era che il proprio compagno era in realtà un complice dello sperimentatore e che era lui, in realtà, a muovere il cursore.

«Ciononostante, quando il pensiero razionale è stato formulato tra 1 e 5 secondi prima dell’azione, i partecipanti hanno riferito di aver avvertito la sensazione di agire intenzionalmente»[19].

 

7. Infine, il criterio dell’esclusività assume rilievo in tutte quelle situazioni in cui esistono elementi esterni (ad esempio altre persone) suscettibili di mettere in discussione la nostra sensazione di libertà e di padronanza delle nostre azioni.

Numerosi esperimenti hanno fatto emergere come talvolta le persone sperimentino l’impressione di non essere state loro a decidere di fare ciò che hanno fatto, di essere stati come spinti da forze esterne, a volte addirittura contrarie alla propria volontà.

È il caso ad esempio dell’ipnosi[20], o delle famose scoperte dello psicologo Stanley Milgram in ordine alla disponibilità delle persone a torturare brutalmente terzi sconosciuti quando ricevono un preciso ordine in tal senso: per spiegare le ragioni di questo fenomeno, Milgram ha ipotizzato che la consapevolezza di eseguire un ordine altrui possa ridurre la nostra percezione di volere davvero l’azione, e così anche la sensazione di esserne effettivamente gli autori[21].

«Credere che agenti esterni influenzino i comportamenti può confondere la nostra percezione della volontà cosciente così profondamente da produrre bizzarre dissociazioni ­– che si manifestano nella forma di comunicazioni ultraterrene, possessioni di spiriti disturbo dissociativo dell’identità – nell’attribuzione della paternità delle azioni»[22].

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8. Che conclusione dobbiamo trarre, all’esito di tutti questi ragionamenti? Sulla base dei suddetti rilievi, possiamo (dovremmo?) affermare che il pensiero non è la causa delle nostre azioni?

No, spiega Wegner: quello di stabilire se esista o meno una relazione causale tra le rappresentazioni mentali delle azioni e queste ultime è un compito che spetta all’indagine scientifica, e non è affatto da escludere che le ulteriori ricerche consentano di accertare l’esistenza di «connessioni affidabili»[23] tra pensiero cosciente e azioni.

Quel che invece è certamente da escludere è la possibilità di derivare una simile conclusione dal solo fatto che ci sembra che le cose stiano così. L’esperienza della volontà cosciente, secondo Wegner, può essere considerata al più come «un’indicazione di massima dell’esistenza di un rapporto causale»[24].

Del resto, «sarebbe sorprendente se le nostre capacità cognitive, che si sono dimostrate limitate quanto all’autoanalisi, fossero tali da consentirci di percepire i meccanismi più profondi che regolano il funzionamento della nostra mente. L’esperienza della volontà consapevole è uno straordinario trucco della mente, che genera utili intuizioni in ordine al nostro essere autori dei nostri gesti, ma che non può costituire il fondamento di una teoria esplicativa che si allontana dal solco tracciato dalla causalità deterministica»[25].

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[1] D.M. Wegner, The mind’s best trick: how we experience conscious will, in Trends Cogn Sci, 7(2), 2003, pp. 65 ss.

[2] «The mind has been known to play tricks, though. Could this be one?»; idem, p. 65.

[3] Wegner menziona, a tal proposito, il lavoro di W. Penfield, The Mystery Of Mind, Princeton University Press, 1975.

[4] «They did not “do” the action»; D.M. Wegner, The mind’s best trick, cit., p. 65.

[5] «Pulled it out»; ibidem.

[6] «This observation only makes sense if the experience of will is an addition to voluntary action, not a cause of it»; ibidem.

[7] B. Libet, Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action, in Behav. Brain Sci. 8, 1985, pp. 529 ss.

[8] Essa viene misurata attraverso il cd. “potenziale di prontezza” (readyness potential – RP), registrato da Libet a mezzo di alcuni elettrodi posti sul cranio dei soggetti dell’esperimento.

[9] «The brain creates both the thought and the action, leaving the person to infer that the thought is causing the action»; D.M. Wegner, The mind’s best trick, cit., p. 66.

[10] L’Autore menziona in particolare lo studio di M. Faraday, Experimental investigation of table turning, in Athenaeum, 1853, pp. 801 ss.

[11] D.M Wegner, T.P. Wheatley, Apparent mental causation: sources of the experience of will, in Am. Psychol., 54, 1999, pp. 480 ss.; D.M. Wegner, The Illusion of Conscious Will, MIT Press, 2002.

[12] «When a thought appears in consciousness just before an action (priority), is consistent with the action (consistency), and is not accompanied by conspicuous alternative causes of the action (exclusivity), we experience conscious will and ascribe authorship to ourselves for the action»; D.M. Wegner, The mind’s best trick, cit., p. 67.

[13] E in particolare a quanto riportato nei tre volumi del Trattato sulla natura umana, pubblicati originariamente tra il 1739 e il 1740.

[14] «Timely previews of actions»; D.M. Wegner, The mind’s best trick, cit., p. 67.

[15] «The principles of causal inference do not describe actual causal relations»; ibidem.

[16] «People perceive that they controlled a chance event when they receive a large number of initial successes in predicting that event»; ibidem.

[17] «Merely by the increased frequency of that outcome»; ibidem.

[18] D.M Wegner, T.P. Wheatley, Apparent mental causation, cit., p. 487.

[19] «Nevertheless, when the relevant thought was provided either 1 s or 5 s before the action, participants reported feeling that they acted intentionally in making the movement»; D.M. Wegner, The mind’s best trick, cit., p. 68.

[20] S.J. Lynn. et al., Hypnotic involuntariness: a social cognitive analysis, in Psychol. Rev. 97, 1990, pp. 169 ss.

[21] S. Milgram, Obedience to Authority, Harper & Row, 1974.

[22] «The belief in outside agents who influence a person’s actions can so muddle the perception of conscious will as to promote bizarre dissociations of perceived authorship […]»; D.M. Wegner, The mind’s best trick, cit., p. 68.

[23] «Reliable connections»; ibidem.

[24] «A rough-and-ready guide to such causation»; ibidem.

[25] «We should be surprised, after all, if cognitive creatures with our demonstrably fallible self-insight were capable of perceiving the deepest mechanisms of our own minds. The experience of conscious will is a marvelous trick of the mind, one that yields useful intuitions about our authorship – but it is not the foundation for an explanatory system that stands outside the paths of deterministic  causation»; ibidem.

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ISSN 2612-677X (website)
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