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11.09.2019
Riccardo Borsari - Luca Sammicheli

Neuroscience, decision-making rationality and the subjective element in economic crime. Introductory notes for a line of research

Issue 9/2019

The fall of the myth of the homo economicus now seems undeniable and, with this, of the entire theory of the rationality of the individual[*].

Is it really one of the pillars of criminal dogmatism, the homo iuridicus, that is next to fall?

In the wake of the investigation conducted by DPU in the context of the work in progress on criminal law and economics, we publish here, with kind editorial permission, the first chapter of the volume by R. Borsari, L. Sammicheli, C. Sarra (edited by), Homo oeconomicus. Neuroscienze, razionalità decisionale ed elemento soggettivo nei reati economici. Atti del Convegno di Studi Padova, 28 novembre 2014, Padova University Press, 2016, pp. 9 ss.


 

SUMMARY: 1. Neuroscience. – 2. Decision-making rationality. – 3. The subjective element in economic crime. – 4. Difficulties with the method.

1. Neuroscienze.

Il primo riferimento dei temi proposti per il Convegno (e per una possibile, stimolante linea di ricerca) muove verso le neuroscienze e, in particolare, verso quel recente indirizzo di studio che è stato etichettato come neurodiritto e si indirizza alla riflessione sulle sfide (challenges, secondo gli anglosassoni) che l’incalzante sviluppo delle neuroscienze pone al mondo del diritto, sino a mettere in dubbio, come sappiamo, il libero arbitrio.

Cos’è il neurodiritto[1]? Volendo segnare in modo convenzionale la data di na­scita del filone «diritto-neuroscienze», si potrebbe indicare quella dell’uscita – il 29 novembre 2004 – sulla prestigiosa rivista Philosophical Transactions of The Royal Society di un fascicolo monografico intitolato Law and The Brain[2], in cui erano raccolti diversi contributi di scienziati e studiosi di differente formazione sulle problematiche insorgenti dall’incontro tra il diritto e le neuroscienze.

Sin dalla nascita la disciplina evidenziava i suoi tratti salienti. L’organizzazione dei capitoli di tale volume collettaneo già manifestava, infatti, quella strut­turazione per aree che poi è andata sostanzialmente consolidandosi negli sviluppi successivi. Alcuni lavori (How neuroscience might advance the law di O’Hara; Law and the sources of morality di Hinde; A neuroscientific approach to norma­tive judgement in law and justice di Goodenough e Prehn), interrogandosi sulle questioni di fondo circa la possibile «messa in crisi» da parte delle neuroscienze degli assunti fondanti il diritto, potevano essere collocati – in senso lato – nell’a­rea della «filosofia del diritto». Vi erano poi alcuni paper che, entrando nelle pro­blematiche circa l’impiego delle neuroscienze come strumento di expertise nel processo, potevano riportarsi alle classiche «scienze forensi»: così, ad esempio, il capitolo sulle neuroscienze come possibili tecniche di lie detection (A cognitive neurobiological account of reception: evidence from functional neuroimaging di Shen et al.) o quelli relativi al tema cardine della imputabilità (così The frontal cortex and the criminal justice system di Sapolsky; e Responsibility and puni­shment: whose mind? A response di Goodenough). Comparivano infine alcuni contributi relativi a temi spuri, ma di assoluto interesse, quali il diritto di proprietà (The property instinct di Stake), il ragionamento causale (A cognitive neuroscien­ce framework for understanding causal reasoning and the law di Fugelsang e Dunbar) nonché, particolarmente importante per i lavori di questa giornata di studio, il rapporto tra neuroscienze e comportamenti economici (Neuroeconomics di Zak o The neuroeconomic path of the law di Hoffman).

Successivamente, come del resto confermato anche dalla letteratura più recente[3], il dibattito diritto-neuroscienze si è articolato intorno a due ben distinti orientamenti.

Un primo di carattere generale, che potremmo definire radicale e che rinvia alla teoria generale del diritto, si interroga su quanto e come le neuroscienze siano in grado di suggerire un nuovo «modello di funzionamento della mente umana» tale da richiedere una rivoluzione dei sistemi giuridici. Una rivoluzione che, muovendo da una assunzione naturalistico-riduzionista della natura dell’agi­re umano, imponga di riflesso l’edificazione di un diritto penale sostanzialmente liberato da concetti considerati vetusti e antiscientifici quali libertà, intenzione e responsabilità.

Un secondo, al quale si potrebbe attribuire l’etichetta di moderato e che ri­fiuta a priori qualsiasi discorso intorno alla teoria generale del diritto, si pone come obiettivo una riflessione sulla possibile applicazione pratica e immediata (de iure condito) degli strumenti di accertamento scientifico offerti dalle moderne neuroscienze.

Il punto, per quanto qui interessa, è che, quale che sia l’atteggiamento che si voglia adottare nella discussione sul neurodiritto, si è tra i giuristi ridesta­to il dibattito, a ben guardare mai veramente sopito, sul rapporto tra diritto ed etica. L’approccio del neurodiritto, e la sfida che esso implica, si sostanzia nel prendere le mosse dal dato naturale del comportamento etico, anche (e qui sta la differenza rispetto alle scienze psicologiche tradizionali) attraverso l’analisi delle componenti e funzioni cerebrali che ad esso paiono correlate. Ecco dunque che, pur volendo accantonare, per il momento, le discussioni interne alle scienze comportamentali sulla reale portata epistemologica delle neuroscienze[4] e quelle interdisciplinari sull’impatto delle medesime in veste di rifondazione del diritto, il neurodiritto ha, nei fatti, ridestato l’interesse sull’indagine concreta della di­mensione psicologica del comportamento delittuoso.

Interesse che, anche forse per il momento storico che stiamo vivendo, costan­temente assillato dall’agenda economica e dai compiti – anche etici – di quest’ul­tima, non può non riverberarsi sullo specifico settore del diritto penale dell’eco­nomia e della criminologia economica.

Si è tra i giuristi ridesta­to il dibattito, a ben guardare mai veramente sopito, sul rapporto tra diritto ed etica. […] Interesse che, anche forse per il momento storico che stiamo vivendo, costan­temente assillato dall’agenda economica e dai compiti – anche etici – di quest’ul­tima, non può non riverberarsi sullo specifico settore del diritto penale dell’eco­nomia e della criminologia economica.

2. Razionalità decisionale.

Nei rapporti tra scienze del comportamento e criminalità economica sembra manifestarsi una situazione paradossale: tanto forti i legami generali tra psico­logia ed economia (ci riferiamo alla economia comportamentale), tanto pochi i riflessi di questi ultimi in una psicologia forense di carattere economico.

Non possiamo non ricordare la consolidata e fiorentissima letteratura di tipo «psicologico-economico»: l’unico premio Nobel assegnato a studiosi di psico­logia è proprio quello di Daniel Kahnemann relativo alle distorsioni di ragiona­mento in ambito economico (tant’è che si tratta per l’appunto di un premio Nobel dell’Economia).

Come mai, questa la domanda rivolta agli psicologi, tanti sono i contributi della psicologia all’economia e tanto pochi i contributi alla criminologia e al di­ritto penale economico? Come mai in importantissime opere di psicologia giuri­dica e forense, al cospetto di migliaia di pagine di trattazione non vi è in sostanza accenno a possibili applicazioni in ambito giuridico-economico?

Volendo provare ad ipotizzare una risposta, sembrerebbe che la psicologia forense si ritenga legittimata ad intervenire solo nella esplicazione di situazioni giuridiche «emotivizzate». E la riflessione criminologica di impronta psicolo­gica (la cosiddetta criminologia psicologica) poco interessata pare allo studio dei meccanismi psicologici devianti sottostanti ai crimini economici, lasciando tendenzialmente l’indagine ad approcci differenti soprattutto di stampo sociolo­gico. Una sorta di divisione di competenze: «a noi abusi e violenze, a voi truffe ed evasioni».

Il punto interessante è che tale «de-psicologizzazione» – anche culturale – della interpretazione dei crimini di natura economica viene da più parti segnalata anche sul «versante» giuridico. Si avverte cioè la sensazione che, nonostante sul piano dei principi e della struttura del reato la valutazione dei crimini economici richieda l’accertamento della componente psicologica (l’elemento soggettivo) in maniera in nessun modo differente da quella di qualsiasi altro reato, per i suddetti illeciti tale elemento di valutazione venga per così dire lasciato scivolare sullo sfondo, con un rischio di «trasformazione» in reati a responsabilità pressoché oggettiva e l’evocazione sovente del paradigma del dolus in re ipsa. Impressione confermata anche da una semplice «misurazione quantitativa» dello spazio ad esso dedicato nelle sentenze in materia di reati economici, spesso alquanto ridotto rispetto all’analisi dell’elemento oggettivo.

Come mai, questa la domanda rivolta agli psicologi, tanti sono i contributi della psicologia all’economia e tanto pochi i contributi alla criminologia e al di­ritto penale economico? Come mai in importantissime opere di psicologia giuri­dica e forense, al cospetto di migliaia di pagine di trattazione non vi è in sostanza accenno a possibili applicazioni in ambito giuridico-economico?

Si constata dunque l’effetto speculare a quanto osservato in riferimento al versante psicologico: il giurista si rivolge allo psicologo e alla psicologia (intesa qui nell’accezione più generale di scienza del comportamento) tendenzialmente solo allorquando si trovi nella necessità di avere spiegazioni su comportamenti distorti dalla patologia delle emozioni/passioni e non quando occorra inoltrarsi nella comprensione di comportamenti «freddi» quali quelli, appunto, di tipo eco­nomico.

Ecco dunque il tema della razionalità decisionale, in via d’ipotesi connatura­ta al comportamento economico come possibile giustificazione – da ambo il lati – di quel fenomeno di «de-psicologizzazione» del crimine economico.

Il punto – da analizzare e approfondire – si impernia allora sulla constatazio­ne alla stregua della quale se e nella misura in cui i reati di natura economica, in primis quelli di tipo fiscale, sono categorizzati e studiati quali espressioni di com­portamenti economici (si consideri la teoria dell’evasione come costi/benefici), la condotta penalmente rilevante diviene un comportamento economico. Compor­tamento economico segnato da una supposta razionalità decisionale. E dunque il rischio che l’approfondimento di tutte le sfumature delle modalità psicologiche della condotta rimproverabile venga assorbito in un modello di azione razionale che è di per sé svuotato di ulteriori connotazioni psichiche (l’agire asettico dell’homo oeconomicus): tutto ciò che può essere oggetto di indagine psicologica ai fini del giudizio risulta di per sé, anche se inconsapevolmente, da escludersi pro­prio per il tipo di comportamento cui si riferisce.

3. Elemento soggettivo nel reato economico.

Il tema non è, naturalmente, in questa sede nemmeno compendiabile; presen­tano tuttavia aspetti degni di menzione due casi giudiziari, seppur molto diversi tra loro, che bene esemplificano lo «svuotamento» sostanziale dell’approfondi­mento dell’elemento soggettivo nel reato economico: la falsa dichiarazione al mercato (il caso Ifil-Exor) e il mancato pagamento dell’IVA a causa della crisi di liquidità dell’impresa.

Emblematica, anzitutto, la celebre vicenda dell’equity swap eseguito dai ver­tici della finanziaria Exor ai tempi della crisi Fiat. In quel caso la dichiarazione rilasciata alla Consob in merito agli acquisti di azioni Fiat ai fini di mantenere il controllo poteva essere considerata «falsa» in punto di completezza (ossia «reti­cente»). Una «falsità» tuttavia – a quanto apparso dalle carte processuali e dalla logica dei comportamenti successivi – messa in atto per uno scopo specifico: non tanto alterare il corso di mercato delle azioni quanto coprire una operazione contrattuale vantaggiosa nei confronti delle banche[5]. L’approfondimento di tale delicata vicenda permette di toccare con mano la sproporzione tra l’attenzione posta sugli aspetti relativi alla materiale sussistenza dell’illecito (in primis, sul nesso di causa) e quella posta sulla effettiva articolazione della volontà colpe­vole. Sproporzione (e carenza) sin da subito rilevata da autorevole dottrina: «Di qui l’essenziale rilevanza di quello che può essere stato l’effettivo contenuto del dolo: se il mendacio non era diretto a interferire illecitamente sui meccanismi di determinazione dell’andamento delle quotazioni e neppure, come nell’ipotesi dell’illecito amministrativo che si sta esaminando, a fornire elementi fuorvianti sullo strumento finanziario, bensì, semplicemente, a mantenere occulta al merca­to una determinata operazione finanziaria proprio per evitare inutili oscillazioni nella quotazione del titolo – all’esclusivo fine di conservare, in tal modo, intatta la propria posizione di azionista di riferimento – l’illecito contestato è naturalmente da escludere, proprio perché oggettivamente inesistente». Centrale nel caso in esame era la finalità soggettiva sottesa alla reticente dichiarazione («…ciò che rileva è la causale sottesa a quella reticenza…»)[6] e dunque la valutazione della intenzione nel comportamento doveva costituire un passaggio centrale dell’accer­tamento giuridico del fatto. Valutazione evidentemente non avvenuta ad avviso di autorevoli commentatori.

Il secondo esempio che bene si attaglia al nostro tema è quello, recentemente emerso anche nella prassi giudiziaria, relativo ai casi di «evasione da mancata ri­scossione»[7]. Com’è noto, il legislatore ha inteso incriminare fatti di mero omesso versamento; ovvero la sola mancata estinzione, entro il termine, del debito tributario, anche quando non sorretta dal fine di evasione fiscale. Scelta che «… ha privato queste fattispecie del carattere identitario tipico dell’intero sistema penaltributario, ovvero la necessità che le condotte materialmente offensive degli interessi dell’erario siano anche teleologicamente volte a evadere le imposte»[8]. Dalla esclusione del dolo specifico d’evasione derivano importanti questioni con­cernenti l’applicazione della sanzione penale a fatti di omissione del versamento non sorretti dallo scopo di evadere le imposte, bensì necessitati dall’assenza asso­luta di liquidità (ovvero imposti dalla scelta, e quindi dallo scopo, di mantenere i livelli occupazionali o di preferire il pagamento dei creditori che possano immet­tere in azienda liquidità utile al superamento della crisi, o di pagare le forniture essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa).

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In tali ipotesi si segnala un sostanziale scollamento tra parte della giurisprudenza di merito che, attraverso differenti percorsi giuridici (inesigibilità della condotta; assenza del dolo; stato di necessità; forza maggiore), ha a più riprese ravvisato la non punibilità di tali condotte; e la giurisprudenza di legittimità, che è invece rimasta spesso ferma su una posizione di chiusura nel senso della mancanza di efficacia esimente per le omissioni dovute a crisi di liquidità di impresa[9].

Nell’ottica del convegno, dette ipotesi rivestono particolare interesse in quanto paiono ben richiamare gli scenari utilizzati dai neuroscienziati come «dilemmi morali» per studiare la neuropsicologia morale. Casi in cui saremmo curiosi di sapere cosa emergerebbe ove il neuroscienziato sottoponesse il dilemma morale della scelta tra «pagare l’iva non incassata dallo stato insolvente» rispetto al «licenziare il dipendente onesto per crisi di liquidità». Si avrebbe forse l’evidenza di una totale dissociazione tra l’etica naturalizzata e il ragionare di certe pronunce.

Un richiamo finale merita il caso Unites States vs. Semrau[10]. In tale vicenda giudiziaria ritroviamo: a) tratto a giudizio uno psicologo; b) imputato per un reato economico (una sorta di falsa fatturazione all’ente di assistenza sanitaria nazio­nale – Medicare); c) un giudizio centrato sulla valutazione dell’elemento soggettivo (ossia l’intenzionalità fraudolenta nelle fatturazioni contrapposta ad un mero errore di interpretazione delle modalità tecniche di codificazione contabile); d) il problema processuale dell’applicabilità o meno delle tecniche neuroscientifiche (l’imputato aveva infatti proposto alla corte una fRMI sulla sincerità delle proprie dichiarazioni).

Un caso, quello «Semrau», che pare curiosamente sintetizzare tutti i temi che vorrebbero affacciarsi nei nostri lavori: il tema generale (l’approfondimento della componente psicologica del reato economico versus una più netta «amministra­tivizzazione» della disciplina in materia); il tema specifico (la possibilità astratta di sottoporre a valutazione tecnico-scientifica l’elemento soggettivo del reato) nonché gli strumenti offerti dalle più moderne scienze del comportamento (le tecniche neuroscientifiche).

Saremmo curiosi di sapere cosa emergerebbe ove il neuroscienziato sottoponesse il dilemma morale della scelta tra «pagare l’iva non incassata dallo stato insolvente» rispetto al «li­cenziare il dipendente onesto per crisi di liquidità». Si avrebbe forse l’evidenza di una totale dissociazione tra l’etica naturalizzata e il ragionare di certe pronunce.

4. Le difficoltà di metodo.

Linea di ricerca, si indicava nel titolo a questa breve introduzione. Si ritiene infatti che, al momento, occorra partire da una semplice ipotesi di studio, anche e soprattutto per le difficoltà di tipo metodologico. Se infatti l’interesse e l’attualità dei temi sono in linea di principio condivisi da molti, assolutamente non trascu­rabile è l’attuabilità di tale, appunto, linea di ricerca.

Le difficoltà sono quelle proprie delle scienze e degli approcci interdiscipli­nari, che scontano tutta una serie di ostacoli, di cui alcuni reali e concreti, altri forse più riconducibili alla sociologia della ricerca.

In primo luogo occorrerebbe definire con chiarezza quale «livello di indagi­ne» si intende focalizzare in una possibile analisi neurocognitiva del crimine economico. Il tema, del resto, è lo stesso della tradizionale psicologia criminologica o giuridica: in essa, infatti, tendono a confondersi livelli di studio differenti. Una psicologia giuridica che si sostanzia nello studio delle dinamiche psicologiche delle persone coinvolte in contesti giuridici (senza alcun diretto aggancio al dato normativo) differisce chiaramente da una psicologia giuridica che invece si de­dica alla psicologia che produce effetti giuridici (come ad esempio nel suggerire una possibile interpretazione di una specifica norma). La prima, evidentemente, è più vicina al modo di ragionare e «fare ricerca» del mondo della scienza del comportamento, la seconda invece pare accostarsi più da vicino alla metodologia delle scienze giuridiche.

E dunque anche in relazione al nostro tema sarebbe necessario chiarire, nella linea di ricerca, qual è il focus metodologico: è una psicologia della devianza economica o è l’uso delle scienze del comportamento nella formulazione (iure condendo) e nella interpretazione e applicazione (iure condito) delle norme di diritto che disciplinano la componente soggettiva del delitto economico? Eviden­temente, pur con alcune zone di sovrapposizione, si tratta di differenti modi di approfondimento scientifico.

Ecco dunque da una parte la forza centrifuga della ricchezza delle prospettive di analisi (giuridica, psicologico-cognitivo, sociale, filosofica, da cui il presente volume) e dall’altra la necessaria controforza centripeta che richiede uno specifi­co metodo di ricerca e studio.

La consapevolezza di questa tensione cognitiva dovrebbe fare da guida nella prosecuzione della linea abbozzata.

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[*] P. Bourdieu, Le strutture sociali dell’economia, Asterios, 2004, p. 21 (nota redazionale).

[1] Nella letteratura italiana, si veda, senza alcuna pretesa di completezza, O. Di Giovine (a cura di), Diritto penale e neuroetica, Atti del Convegno 21-22 maggio 2012, Università degli Studi di Foggia, Padova 2013; L. Palazzani, R. Zanotti (a cura di), Il diritto nelle neuroscienze, Torino 2013. Si veda altresì O. Di Giovine, Un diritto penale empatico? Diritto penale, bioetica e neuroetica, Torino 2009.

[2] Law and the Brain, Papers of a Theme Issue compiled and edited by S. Zeki, O.R. Goodenough, “Phil. Trans. R. Soc. Lond. B”, 359, 2004, 1787-1796. In seguito pubblicato anche in volume come: Law and the Brain, a cura di S. Zeki, O.R. Goodenough, Oxford 2004. La letteratura è an­data crescendo nell’ultimo decennio; una summa molto recente in A Primer on Criminal Law and Neuroscience: A Contribution of the Law and Neuroscience Project, a cura di A.L. Roskies, S.J. Morse, Oxford 2013.

[3] M.S. Pardo and D. Patterson, Minds, Brains, and Law: The Conceptual Foundations of Law and Neuroscience, Oxford 2013.

[4] Si richiama il celebre volume di Legrenzi e Umiltà: P. Legrenzi, C.A. Umiltà, Neuromania. Il cervello non spiega chi siamo, Bologna 2009.

[5] In chiave decisamente critica, A. Crespi, Manipolazione del mercato e manipolazione di norme incriminatrici, in Banca, borsa e titoli di credito, ii, 2009, p. 113.

[6] Crespi, Manipolazione del mercato e manipolazione di norme incriminatrici, cit., p. 113.

[7] R. Alagna, Crisi di liquidità dell’impresa ed evasione da riscossione: itinerari di non punibilità per i reati di omesso versamento, in Profili critici del diritto penale tributario, a cura di R. Borsari, Padova 2013, p. 215.

[8] Alagna, Crisi di liquidità dell’impresa ed evasione da riscossione: itinerari di non punibilità per i reati di omesso versamento, cit.

[9] Tra queste, si segnalano poi casi limite etichettati efficacemente come di «barbarie giuridica» nei quali lo stato di insolvenza (anche tributaria) è determinata dallo stesso soggetto che pretende la riscossione del tributo, ossia lo Stato. Ossia casi in cui: a) la causa del cui dissesto è rinvenibile nell’inadempienza della stessa pubblica amministrazione, che in qualità di creditore ne pretende la punizione per inadempimento dei debiti tributari; b) che deve essere punito per mancato versamen­to dell’Iva mai incassata, a causa dell’inadempimento del debitore; c) che ha utilizzato la liquidità superstite da una crisi economica per tutelare i livelli occupazionali pur potendo accedere, per esempio, a forme di mobilità.

[10] United States vs Semrau, 2010 WL 6845092 (W.D. Tenn, June 1, 2010).

Altro

A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

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