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Con questo lavoro inauguriamo i lavori del cantiere dove si studia il diritto penale della società del rischio. Cercheremo di capire se e come il diritto penale si sia rivelato all’altezza delle sfide della post-modernità.

Caratterizziamo questa nostra era con due rilevanti e connessi grandi mutamenti.

Da un lato è improvvisamente caduta in disgrazia l’immagine ottimistica dell’uomo e del mondo tipica della modernità, che si fondava su una fiducia quasi illimitata verso la scienza e sulle magnifiche sorti e progressive della ragione, e, dall’altro lato, sono affiorate profonde paure collettive che, come in un circolo vizioso, a causa (anche, ma non solo) del discredito o del minor credito della scienza, sono difficili da capire e quindi da trattare.

Si constata che la percezione culturale del rischio nella società è ormai molto distante dall’oggettività e dalla neutralità di prima, quando la scienza (spesso sopravvalutando se stessa) riusciva ad apparire la voce oggettiva della verità e pareva infallibile.

Non è agevole capire che cosa ci sia sotto questo mutamento quasi improvviso – avvenuto negli USA negli anni ’60 e da noi un paio di decenni dopo – che ha messo sotto accusa la scienze e la tecnica.

Uno dei temi che approfondiremo è che la ragione scientifica, se e quando sia onesta, deve ammettere il paradosso che più cresce la conoscenza più grave è l’incertezza che la conoscenza stessa produce come effetto collaterale, e che questa incertezza, resa visibile dalla nuova conoscenza, è sempre più pervasiva nel mondo.

L’incertezza genera paura, e la paura – almeno da noi – alimenta il processo sociale (prima che giuridico) perverso in cui fatti mai davvero chiari nella loro realtà, proprio perché non sono chiari, premono sul diritto penale per essere trattati nei processi.

Accade allora che l’incertezza della ragione scientifica incontri la debolezza della ragione penale cosiddetta liberale che, se e quando sia onesta, dovrebbe ammettere di essere del tutto inadatta a capire – prima – e decidere – poi – fatti di tanta nuova e inusitata complessità, ma, invece, ben di rado lo ammette.

Nuovi conflitti allora trovano molti territori in cui espandere la loro carica eversiva, e – almeno in Italia – fin troppo spesso prendono la strada del processo penale, dove non si placano affatto, tutt’altro, diventano anzi sempre più gravi, come se l’incendio, invece che essere domato, si propagasse sempre più.

Discuteremo molti campi sociali in cui la sovversione del rischio mette a dura prova la tenuta dei concetti del vecchio diritto penale.

L’incertezza, infatti, è uno spettro pericoloso nel diritto e nel processo penale che, non a caso, lo rimuove appena può ma, in questi dintorni, rimuovere l’incertezza non si può proprio.

I Giudici, che già faticano a dire che cosa sia la causalità, cioè quali siano le ragioni dell’imputazione oggettiva dell’evento, e vagano da un concetto all’altro con spregiudicata inconsapevolezza, confondendo serenamente causalità e pericolo, tendono anche a trasformare in oggettiva la responsabilità per colpa, invocando, esplicitamente o implicitamente, istanze di rischio zero come contenuto del dovere di tutela della sicurezza e della salute del lavoratore e della collettività.

Dire o pensare “rischio zero” è tranquillizzante – perché così si può punire sempre –, e certamente facile da dire – produce la soddisfazione della condanna apparentemente giustama il concetto è semplicemente falso (nessun evento logicamente possibile ha un “rischio zero” di accadere nel mondo). Spesso non si dice “rischio zero”, ma lo si pensa (lo chiamano allora principio di precauzione – ma, poiché la precauzione non è mai abbastanza, il concetto finisce con l’essere equivalente nell’uso a “rischio zero”–).

Quando invece si abbandoni la tranquillizzante torre eburnea del rischio zero, e si entri nella diversa logica – intrinsecamente politica – del rischio accettabile, allora ci si perde, perché le regole su dove sia la soglia dell’accettabilità del rischio non preesistono al processo penale, ma sono costruite nel processo penale, con buona pace dei penalisti liberali che credono invece ancora che le parole causalità, pericolo e colpa (e tant’altre) abbiano il significato che avevano un tempo e non vedono che il mondo non è più come prima.

Lo Stato, cui competerebbe di stabilire dove stia la soglia del rischio accettabile, non mostra la capacità di mediare e trovare equilibri accettabili tra queste opposte istanze, e anch’esso finisce – spesso giustamente – sotto accusa.

I Giudici – anche di Cassazione – decidono, allora, che l’imprenditore non scampa all’accusa di colpa – per emissioni inquinanti in atmosfera o anche sul luogo di lavoro – per il solo fatto di aver rispettato i limiti soglia previsti dalla Legge, perché il diritto gli chiede di più, ma quanto di più sia abbastanza, non lo sa nessuno.

Che cosa significa?

Quando il Giudice decide che la soglia del rischio accettabile non è quella fissata da altri poteri dello Stato, esecutivo o legislativo, vuol dire che per il Giudice può essere colposo quel che per un altro potere dello Stato è lecito, e quindi, che lo si voglia o no, si innescano veri e propri conflitti dentro lo Stato, tra Giudici e Politica, che mettono a rischio il principio fondante della divisione dei Poteri del beneamato Stato Liberale, anche stavolta con buona pace della dottrina penalistica, che vorrebbe che la colpa avesse un contenuto unitario e oggettivo che nella società post-industriale, con le sue irriducibili complessità, non può avere.

Il programma dei nostri lavori intende quindi provare a verificare se e come il diritto penale sia attrezzato per risolvere questi nuovi conflitti e riesca, o meglio non riesca, cioè fallisca, in questo compito.

Analizzeremo l’evidenza che la nostra ragione penale non può chiamarsi fuori da questo fallimento, perché essa ha peccato e ancora pecca per carente razionalità – ed è responsabile dell’attuale caos – perché non si è evoluta come avrebbe dovuto.  Questa debole ragione mostra infatti, ad esempio, di non saper maneggiare con cognizione di causa gli strumenti del pensiero dell’incertezza, le leggi della probabilità, che sono il cuore del rischio, senza il quale le scienze – soprattutto (ma certo non solo) l’epidemiologia, da cui si ricava una pur precaria e incerta concettualizzazione del rischio stesso – non sono intelligibili.

Il rischio, nel diritto penale, è molto di più che tecnica statistica, ma se non si sappia come superare questo primo scoglio, si affonda subito nella chiacchiera.

La ragione penale, purtroppo, letteralmente affonda sempre quando, in generale, si tratti di definire in modo sostanziale quale sia e quale debba essere il rapporto tra Giudice e Scienza e le basi possibili del necessario dialogo interdisciplinare, e non riesco a capire come ancora la dottrina diagnostichi la decadenza del diritto penale e l’avvento del populismo invocando i mala tempora currunt, senza il coraggio e l’onestà di mettere in discussione se stessa.

Tratteremo quindi vari campi.

Nel campo della tutela dell’ambiente si vedono maldestri tentativi di forzare le norme penali con esiti processuali rocamboleschi (la storia giudiziaria della parola “disastro” ne è l’esempio più evidente e ne diremo tra un momento), ma si osservano anche le scandalose inerzie dello Stato nell’ordinare le misure di bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati e nell’azione civile per il risarcimento del danno ambientale.

Ogni giorno appaiono vere tragedie della morte o della malattia nella fabbrica che, talvolta, si presentano con dimensioni apocalittiche – decine o centinaia di morti per esposizione a sostanze tossiche, cioè vere e proprie stragi – che durerebbero da decenni ma di cui nessuno si era reso conto fino poco tempo fa. In altri casi, molto meno appariscenti e quindi di minor rendita in termini di pubblicità garantita dai media, la morte e la malattia sul lavoro sono il lato più infame del potere economico che vede la salute e la sicurezza del lavoro come costo da minimizzare per non perdere profitto, ma la tutela preventiva di questi fatti è drammaticamente impotente.

C’è il campo degli incidenti tecnologici che forse spesso sono “normali”, cioè non evitabili, perché la causalità di questi incidenti è talmente complessa che spesso non è controllabile dall’uomo, ma tante altre volte invece lo è, e comunque gli incidenti sollevano paure che debbono essere anch’esse comprese, se si vuole che non si canalizzino solo nell’irrazionalità del bisogno di pena che tutto nasconde e nulla risolve.

Vediamo la costante codificazione sociale di eventi di natura – terremoti, inondazioni, valanghe, che un tempo sarebbero apparsi come destino – come eventi che debbono essere imputati a qualcuno, ma di rado si trova il responsabile (anche perché spesso non c’è) e non si comprende che questa necessità di un capro espiatorio purchessia è il sintomo di un male profondo che affligge la società, ed è prima di tutto un male della cultura della società che rivela tutta la sua debolezza.

Nel campo della colpa medica si vede crescere la paranoia del bisogno di punizione del medico perché non si accetta più che per un evento doloroso non possa non esserci alcun responsabile. La paranoia che colpisce come un virus anche i medici, però produce cattiva medicina, o medicina preventiva, in cui il medico protegge se stesso più che il paziente, e il paradosso della totale disfunzionalità tra pena e tutela della salute si mostra nel suo lato più manifesto e imbarazzante (le terapie di questo male, somministrate sotto forma di “leggine” e di pronunce inconcludenti della giurisprudenza, sono del tutto inutili).

E tanto altro ancora, come ad esempio la risibile neonata categoria dell’omicidio stradale.

DPU comincia a trattare questa materia, con un’indagine su venti anni di giurisprudenza e dottrina penalistica intorno alla causalità da esposizione ad amianto. Il bilancio, come si vedrà, è fallimentare e cercheremo di capire le ragioni di questo fallimento, raramente indagate dalla dottrina penale.

Il nostro programma prevede la pubblicazione:

di due documenti, l’uno di un epidemiologo e l’altro di un biologo molecolare che analizzeranno lo stesso campione di sentenze, per individuare i più frequenti errori o i più frequenti fraintendimenti in cui cade la giurisprudenza.

Scopriremo che un processo sulla causalità da amianto ha un grado di imprevedibilità che è più basso di quello che esisterebbe se l’esito processuale fosse deciso dal lancio di una monetina (la probabilità dell’esito del lancio – non truccato – è calcolabile, ed è il 50%, ma nessuno è invece in grado di conoscere, e quindi di prevedere, l’esito di un processo per amianto, poiché esso varia ogni volta). Questo materiale sarà ovviamente sottoposto all’attenzione di tutti coloro che, giuristi o scienziati, vorranno intervenire.

A seguire, intraprenderemo lo stesso percorso per l’analisi su come la giurisprudenza se l’è cavata nella decisione di casi in cui il fatto lesivo o no (vedremo che la linea di confine è labile) è il pericolo contro la salute o l’incolumità pubblica. Troveremo gli stessi problemi che avremo incontrato per la causalità e, per di più, problemi linguistici che svelano l’ingenuità – vera o falsa – dell’ermeneutica penale, che pare credere ancora all’esistenza di un significato che sia l’essenza della parola: analizzeremo la storia – la brutta storia – del (non) significato (ovvero dei molti significati) della parola “disastro” e della loro costruzione e decostruzione nei processi fino all’esaurimento di ogni plausibile contenuto.

Morale? (Im)morale. Che fare allora?

La criminalità d’impresa è fenomeno enormemente dannoso per la società, ma il diritto penale fallisce sistematicamente nella prevenzione e, alla fine, anche nella retribuzione di colpe che è difficile motivare per l’inettitudine del linguaggio penale, e spesso sono distribuite all’interno dell’organizzazione aziendale secondo criteri e regole che i Giudici non conoscono né comprendono adeguatamente (la responsabilità oscilla allora per fatti analoghi come un pendolo, ora colpendo il vertice ora piccoli anelli della piramide) .

Spesso l’istanza per la tutela dell’ambiente e della salute collettiva cela risentimenti profondi per le disuguaglianze crescenti nella società e per la diffusa incertezza del futuro. Al fondo ci sono quindi anche reali istanze di giustizia sociale nella distribuzione dei vantaggi e degli svantaggi della scienza e della tecnologia, che sono considerati iniqui da chi subisce quasi solo gli svantaggi e, invece, perfettamente giustificati da chi si prende quasi solo i vantaggi e soprattutto ha il potere di decidere nel proprio interesse.

Capiremo forse allora quanta ragione avesse Beck quando scriveva che, nella post-modernità, le parti sociali contrapposte lottano per far prevalere la loro nozione del significato della parola “rischio”, mettendo in scena nei processi penali, quelli che il grande sociologo chiamava conflitti sui rapporti di definizione, che sono la versione contemporanea delle antiche lotte per i conflitti sui rapporti di produzione.

Il caso ILVA è paradigmatico (o lo sarà, prima o dopo, perché è ingenuo credere che quel processo penale porti davvero all’esito che sembra si vorrebbe), come lo è, su un piano diverso, il caso Eternit.

Istanze reali che, però, col diritto e il processo penale dovrebbero avere poco a che fare, e invece non è così e, quindi, pur essendo quelle istanze di giustizia il cuore di molti processi, è certo che mai esse troveranno ascolto in quei processi ed anzi saranno sempre frustrate, proprio perché, nel braccio di ferro, il potente vince sempre.

Vien da pensare un pensiero cattivo.

Pare quasi che il fallimento del diritto penale sia stato pensato e voluto, proprio perché quelle istanze di giustizia, mal indirizzate, di cui abbiamo parlato, siano frustrate e muoiano nel processo penale, senza che altre branche del diritto se ne debbano far carico.

Apriamo da subito la porta a chi non la pensasse come noi, e di certo sarebbe interessante avere l’opinione anche dei penalisti di maggior valore, per avviare un dialogo che non potrà non essere utile a tutti.

La domanda, infatti è «che fare»? e interessa o dovrebbe interessare tutti.

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A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

ISSN 2612-677X (website)
ISSN 2704-6516 (journal)

 

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