14 Luglio 2021
Redazione

Comunicato sui fatti verificatisi nel carcere di S. Maria Capua Vetere

Comunicato

Pubblichiamo qui, per gentile concessione da parte dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (AIPDP), il testo del Comunicato redatto dal Consiglio direttivo dell’AIPDP con il contributo del prof. Luciano Eusebi, in merito a quanto recentemente emerso in ordine ai fatti avvenuti nel carcere di S. Maria Capua Vetere ad aprile 2020.

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Comunicato sui fatti verificatisi nel carcere di S. Maria Capua Vetere

Il Direttivo dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, con il contributo del prof. Luciano Eusebi, si pronuncia sui fatti di violenza avvenuti e documentati nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ribadendo il necessario orientamento rieducativo della pena e, quindi, l’urgenza di ripensare la centralità della pena carceraria, la governance degli istituti detentivi e la formazione e valorizzazione professionale degli operatori ad essi adibiti.

Le violenze, delle quali abbiamo avuto nei giorni scorsi prova drammatica e inconfutabile, poste in essere in carcere nei confronti di detenuti ad opera di personale delle pubbliche istituzioni rappresentano la più radicale contraddizione dei principi di civiltà del diritto penale dei quali i docenti di tale materia si sentono garanti.

Dinnanzi a tale constatazione e a molte altre notizie di atteggiamenti simili, in alcuni casi accertati nell’ambito di procedimenti penali, ma sovente tali da sfuggire a possibili riscontri probatori inequivoci, è necessario riconoscere con coraggio sul piano istituzionale che ciò rimanda a un problema generale di governance e di carattere organizzativo rispetto alla vita penitenziaria, nonché di cultura e di formazione per quanto concerne tutti i soggetti coinvolti nell’esecuzione penale.

Ciò richiede un impegno specifico per valorizzare la professionalità e la motivazione degli operatori, in uno dei ruoli emblematici, come ha rilevato il Garante per i diritti dei detenuti, quanto all’immagine democratica del nostro Paese. Il motto, di enorme significato etico-sociale, della Polizia penitenziaria – despondere spem munus nostrum (è nostro compito garantire la speranza) – deve poter costituire, in proposito, un punto di riferimento ineludibile e qualificante.

Non saranno certo i sentimenti o le riflessioni di studiosi del diritto a poter aggiungere nulla a quell’impegno così profondamente umano e condiviso, anche se tradito.

Tuttavia, ancora una volta anche i professori di diritto penale intendono rimarcare, in questa occasione, che l’orientamento rieducativo delle pene voluto dalla Costituzione, insieme al carattere di umanità dei relativi contenuti, costituisce parte essenziale di una strategia preventiva efficace la quale – attraverso la responsabilizzazione del condannato e l’orientamento al suo reinserimento sociale – rafforza l’autorevolezza dei precetti penali nei contesti di provenienza di chi abbia trasgredito la legge e contribuisce alla destabilizzazione delle organizzazioni criminose. Laddove, invece, atti posti in essere verso la persona reclusa non conformi alla salvaguardia degli stessi beni giuridici penalmente tutelati delegittimano il rispetto di quei beni nel contesto sociale e, con ciò, la credibilità dell’ordinamento giuridico che ne afferma il valore.

Nel contempo, l’Associazione dei professori di diritto penale torna a sostenere l’esigenza indifferibile – segnalata anche attraverso un ampio lavoro propositivo in atto sulla riforma del sistema sanzionatorio penale e l’impegno che ha visto nei mesi passati tanti docenti proporre iniziative per un carcere più umano – di una diversificazione delle pene applicabili attraverso la sentenza di condanna: superando il modello che prende le distanze dalla centralità del ricorso al carcere solo attraverso le misure alternative o altri provvedimenti successivi alla condanna. Pene diverse dalla condanna detentiva consentono infatti di apprestare, in molti casi, strumenti maggiormente efficaci di contrasto rispetto a determinate forme della criminalità e tali da assicurare un migliore contenimento della recidiva. Il che consentirebbe, inoltre, di riservare la reclusione in carcere a situazioni le quali effettivamente ne necessitino, riducendo in maniera stabile la popolazione penitenziaria e consentendo un più valido perseguimento, rispetto ai reclusi, della finalità rieducativa richiesta dalla Costituzione e perseguita attraverso le norme dell’Ordinamento penitenziario.

 

Il Direttivo della Associazione

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