Abstract. Talmente vasta e ricca di implicazioni e deduzioni scientifiche basate sulla osservazione dei dati e dei comportamenti è stata l’attività di ricerca e di studio del Prof. Edward Osborne Wilson che risulta riduttiva ogni attribuzione di pertinenza ad una sola categoria descrittiva del suo essere scienziato. Come scritto – e come oggi viene evocato – fu biologo, entomologo, sociobiologo, mirmecologo, evoluzionista, genetista ed altre categorie potremmo aggiungere ove riuscissero a spiegare l’ampiezza del suo campo di indagine e riflessione. Ciò che oggi viene denominata «riconversione ecologica» non può prescindere dal costrutto teorico che lo indusse a sintetizzare le sue deduzioni dentro il concetto di “biodiversità”, intesa come compresenza sostenibile di tutte le forme di vita sul pianeta: sarebbe riduttivo – se non spiegato – il solo riferimento ai lunghi anni spesi per studiare i comportamenti delle formiche, poiché applicò i risultati di queste ricerche al mondo umano e, quindi, al comportamento sociale degli individui.
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Edward Osborne Wilson se n’è andato nel sonno a 92 anni: ci lascia uno dei più grandi scienziati del nostro tempo, una mente metodica ma intuitiva e innovativa tanto da essere considerato l’erede di Darwin per i suoi studi sulle evoluzioni delle specie e perché intuì come il comportamento degli animali (quindi anche dell’uomo) fosse il prodotto dell’interazione tra l’ereditarietà genetica e gli stimoli ambientali. Noto soprattutto per gli studi in mirmecologia (la branca dell’entomologia che studia le formiche e nella quale non aveva eguali tra gli scienziati), si interessò a lungo di biodiversità, ed è considerato il padre della formulazione della teoria della sociobiologia e dei programmi di ricerca ad essa correlati.
Dalla formica al pianeta, la sua curiosità non aveva confini e la sua visione del mondo esprimeva un approccio olistico dentro il quale stava l’interesse per la vita in tutte le sue mutevoli cangianze.
«L’uomo che sussurrava alle formiche» così – simpaticamente – lo ha definito Telmo Pievani nel suo ricordo pubblicato il 28 dicembre 2021 dal Corriere della Sera. È una metafora che spiega una incredibile attitudine all’osservazione, sembrerebbe inverosimile immaginare che lo abbia accompagnato per tutta la vita, radicata fin da ragazzino: aveva 13 anni e cominciò a coltivare questa grande passione che gli avrebbe aperto orizzonti di esplorazione infiniti, la biologia e lo studio delle correlazioni tra vita e ambiente. Non sembri riduttivo che un biologo possa dedicare la sua attività di ricerca per approfondire la vita delle formiche: dopo aver letto “In un volo di storni” del Premio Nobel Giorgio Parisi[1] potremmo infatti affermare che egli cercava nella biologia quella “complessità” che il Prof. Parisi ha cercato per lunghi anni nella fisica. Menti geniali che vanno oltre le apparenze e cercano una spiegazione ad ogni fenomeno, anche il più apparentemente casuale o banale, persino insignificante.
Di lui – grazie alla citazione del Prof. Arnaldo Benini, Emerito all’Università di Zurigo – mi aveva colpito un ammonimento che si è rivelato tanto fondato quanto lungimirante fino a diventare di drammatica attualità, poiché legato all’eziopatogenesi pandemica e che riguardava il tema della sostenibilità ambientale e della presenza dell’uomo sulla Terra: «una volta superati i 6 miliardi di persone, affermò Edward 0sborne Wilson, l’umanità è prossima all’incompatibilità con l’ambiente. La popolazione è di 7 miliardi e mezzo e cresce di 70 e più milioni l’anno. Si è estesa e dilaga in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e asfaltando boschi e foreste, usando a profusione e senza criterio concimi tossici e antibiotici, inquinando aria, laghi, mari, fiumi e torrenti, trivellando in terra e in mare. L’alterazione violenta degli ambienti è una delle cause delle mutazioni degli agenti patogeni e quindi delle epidemie e pandemie. Andando avanti con questi ritmi di crescita demografica arriveremo ad 11 miliardi di esseri umani a fine secolo»[2].
Osservando e riflettendo ciò che ad altri pare sviluppo ed espansione, positività e dominio del mondo, il suo punto di vista ha dato un contributo determinante per comprendere il concetto di tolleranza ecosistemica, per certi aspetti assimilabile alle intuizioni di David Quammen – l’autore di “Spillover”[3]– per significare come le alterazioni ambientali favoriscano le mutazioni genetiche, il passaggio virale per zoogenesi al genoma umano, proprio studiando in parallelo il nostro contesto di vita e quello degli animali.
Uno degli obiettivi primari del grande studioso è stato per tutta la vita quello di fondare un campo di indagine a metà strada tra le scienze della natura e le discipline sociali: ad esso diede il nome sociobiologia.
Dentro questa intuizione di sintesi tra comportamenti e biologia fu interessato dagli aspetti sociali del comportamento umano concludendo che essi si possono spiegare attraverso la biologia, e in particolare quella evolutiva.
Definì la natura umana come un insieme di regole epigenetiche, un modello genetico dello sviluppo mentale, profetizzando che l’etica sarebbe stata presto rifondata su basi neurobiologiche, auspicando la convergenza di idee in discipline diverse quali filosofia, biologia e evoluzione che chiamò «consilienza»: un termine che è peraltro usato per denotare la concordanza o convergenza di prove prodotte da discipline scientifiche da un lato, e discipline umanistiche dall’altro
La sua produzione di opere scientifiche è sterminata, vinse due volte il premio Pulitzer per i suoi libri di saggistica “The Ants” (1990, con Bert Hölldobler)[4] e “On Human Nature” (1978)[5].
Il Prof. Benini mi ha cortesemente inviato una sua recensione del 13 dicembre u.s. – pubblicata sul Corriere del Ticino[6] – dell’ultimo libro scritto da Wilson per Cortina editore, uscito in Italia nell’ottobre del 2021: “Storie dal mondo delle formiche”[7].
Da questa recensione emerge tutta l’ammirazione per questo grande scienziato che il Prof. Benini esprime con naturalezza e con altrettanta efficacia. Il sottotitolo spiega perché: «Uno dei più autorevoli entomologi del mondo ci guida tra insospettabili meccanismi».
Ciò che distingue uno scienziato è infatti la capacità di conoscere e penetrare i misteri della vita, invisibili ai più. Riuscendo a farlo anche con argomentazioni inoppugnabili nella loro apparente semplicità, transitando persino dalla materia alla trascendenza: la rivista Greenreport[8] ricorda questo grande pioniere della scienza con un passo di un suo libro:
«Ogni specie è un piccolo universo in se stesso, diverso da tutti gli altri a causa dei suoi geni, anatomia, comportamento, ciclo vitale, ruolo nell’ecosistema; un sistema indipendente, creato nel corso di una storia evolutiva, complesso oltre la nostra immaginazione. Ogni specie merita che i ricercatori le dedichino la loro carriere e che poeti e storici la celebrino. Nulla di minimamente simile può essere detto su un protone o un atomo di idrogeno. In poche parole, reverendo, questo è il più forte e il più trascendente argomento morale, fornito dalla scienza per sostenere il bisogno urgente di salvare la Creazione»[9].
Talmente vasta e ricca di implicazioni e deduzioni scientifiche basate sulla osservazione dei dati e dei comportamenti è stata l’attività di ricerca e di studio del Prof. Edward Osborne Wilson che risulta riduttiva ogni attribuzione di pertinenza ad una sola categoria descrittiva del suo essere scienziato. Come scritto – e come oggi viene evocato – fu biologo, entomologo, sociobiologo, mirmecologo, evoluzionista, genetista ed altre categorie potremmo aggiungere ove riuscissero a illustrare l’ampiezza del suo campo di indagine e riflessione. Ciò che oggi viene denominata «riconversione ecologica» non può prescindere dal costrutto teorico che lo indusse a sintetizzare le sue deduzioni dentro il concetto di “biodiversità”, intesa come compresenza sostenibile di tutte le forme di vita sul pianeta: sarebbe riduttivo – se non spiegato – il solo riferimento ai lunghi anni spesi per studiare i comportamenti delle formiche, poiché applicò i risultati di queste ricerche al mondo umano.
Un aspetto forse non adeguatamente conosciuto e valorizzato del suo immenso lavoro vene ripreso nel Compendio di Criminologia[10] che gli dedica un paragrafo.
Anche questo versante disciplinare si avvale del suo contributo e delle sue deduzioni: in particolare quella che concerne «lo studio sistematico delle basi biologiche di ogni forma di comportamento sociale», come argomenta nella sua opera principale e forse più controversa, “Sociobiologia. La nuova sintesi”[11].
Alla base del concetto di “sociobiologia” sta il principio secondo cui il comportamento sociale degli animali è regolato da meccanismi genetici innati. Tale assunto può essere traslato alle società umane, sia quelle meno complesse che quelle più ricche di costrutti culturali e normativi. L’uomo stesso, in quanto risultato di un’evoluzione biologica porta dentro di sé una congerie di predisposizioni, di vincoli emotivi, di circuiti cerebrali che condizionano il suo comportamento. Wilson considera che le società umane esprimono un’esigenza adattiva, che spiega il principio darwiniano dell’idoneità biologica per l’evoluzione e la sopravvivenza della specie: il gene (o patrimonio genetico) trasmette schemi di comportamenti che chiamiamo istinti e gli sono estranee considerazioni di ordine etico o culturale, anch’esse subordinate al fattore genetico dell’evoluzione e della selezione naturale. In tal senso la sociobiologia spiega i comportamenti sociali quale risultato di processi selettivi naturali volti alla sopravvivenza e all’evoluzione, applicando alle scienze sociali il principio biologico darwiniano.
La stessa società – vista in una dimensione diacronica – è il risultato dell’evoluzione di fattori genetici, piuttosto che un costrutto culturale, ideale o valoriale: ne consegue che prevale una prospettiva meccanicistica e persino predeterminata del concetto stesso di progresso, rigidamente vincolato ad una evoluzione genetica piuttosto che ad atti di volontà, scelta, discriminazione valoriale. Perché dunque questo passaggio – secondo cui nella natura umana sono insiti geni specifici dell’aggressività, della violenza, del rancore, la xenofobia, il conformismo, le differenze comportamentali di genere (maschile, femminile) possono interessare l’ambito tematico della criminologia? Perché sulla base dell’assunto deterministico enunciato i comportamenti di violenza, aggressività, criminalità, tendenza a compiere reati non si spiegherebbe secondo Wilson con scelte più o meno consapevoli di tipo morale ma perché “geneticamente” prevalgono quelle tendenze in quanto risultato di un adattamento selettivo che le rende più forti e dominanti rispetto a quelle più deboli.
Un aspetto forse non adeguatamente conosciuto e valorizzato del suo immenso lavoro vene ripreso nel Compendio di Criminologia che gli dedica un paragrafo […]. Alla base del concetto di “sociobiologia” sta il principio secondo cui il comportamento sociale degli animali è regolato da meccanismi genetici innati […]. La stessa società – vista in una dimensione diacronica – è il risultato dell’evoluzione di fattori genetici, piuttosto che un costrutto culturale, ideale o valoriale: ne consegue che prevale una prospettiva meccanicistica e persino predeterminata del concetto stesso di progresso, rigidamente vincolato ad una evoluzione genetica piuttosto che ad atti di volontà, scelta, discriminazione valoriale
Assumendo questa spiegazione si nega di fatto il principio del libero arbitrio, la dimensione etica della scelta tra il bene e il male mentre persino l’idea di coscienza ne esce ridimensionata in quanto inglobata in una dinamica evoluzionistica su base genetica predeterminata. In tal modo la sociobiologia diventa antitetica al concetto in base al quale è la cultura il motore che determina evoluzione e cambiamento ‘in progress’: la teoria evoluzionistica diventa dunque un paradigma biologico ma investe anche la sfera delle scienze umane. Applicando questo assioma all’antropologia e alla criminologia si deduce che i tratti personologici e i comportamenti umani non derivano da un atto di volontà o di libera determinazione restando imprigionati in una prospettiva – come detto – puramente meccanicistica, predeterminata da una struttura genetica selettiva.
Edward O. Wilson rese note queste teorie nel 1975, con la pubblicazione del volume ‘‘Sociobiologia. La nuova sintesi’’ introducendo un’analisi del comportamento umano basata su una struttura sociobiologica. In replica a questa pubblicazione Stephen Jay Gould e Richard Lewontin scrissero una lettera, molto citata in seguito, alla The New York Review of Books intitolata “Against ‘Sociobiology” (“Contro Sociobiologia”). Questa lettera aperta criticava la nozione di Wilson di «un punto di vista deterministico della società umana e delle azioni umane»[12].
Entrambi gli scienziati, di ispirazione marxista, presero una posizione critica e antagonista alle teorie evoluzioniste di Edward O. Wilson, che sostennero attraverso pubblicazioni in acceso dissenso[13].
Nel capitolo 31 di quest’ultima opera di Gould si legge questa affermazione che può essere considerata emblematicamente riassuntiva delle critiche avanzate nei cfr. delle teorie propugnate da Edward Osborne Wilson. Così si esprimeva Stephen Jay Gould: «Io […] sono un sostenitore del fatto che la scienza non è una macchina obbiettiva guidata dalla verità, ma è una quintessenza dell’attività umana, influenzata da passioni, speranze e pregiudizi culturali. Le tradizioni culturali influenzano fortemente le teorie scientifiche…».
Tuttavia, nonostante le polemiche che la sociobiologia di Edward O. Wilson ha sollevato, non possiamo conclusivamente dimenticare la sua lunga militanza scientifica di studio e di ricerca intorno ai grandi temi della vita, dell’ecologia, della biosostenibilità e della biodiversità, della cui attualità ci rendiamo conto in questa fase di sconvolgimento ambientale e pandemico planetario provocato dall’azione e dall’impreparazione umana.
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[1] G. Parisi, In un volo di storni, Rizzoli, 2021.
[2] F. Provinciali, Intervista al Prof Arnaldo Benini. “Pandemia Covid19 – L’umanità impreparata”, in Il Domani d’Italia, 30 marzo 2020.
[3] D. Quammen, Spillover, trad. it. a cura di L. Civalleri, Adelphi, 2014.
[4] E.O. Wilson, B. Holldobler, The Ants (Formiche), Belknap Pr.,1990.
[5] E.O. Wilson, On Human Nature (Sulla natura umana), Harvard University Press, 1978.
[6] A. Benini, Nell’universo alieno delle formiche alla scoperta della sociobiologia, in Il Corriere del Ticino, 13 dicembre 2021, p. 21.
[7] E.O. Wilson, Storie dal mondo delle formiche, Raffaello Cortina editore, 2021.
[8] La scomparsa di Edward O. Wilson, in Greenreport.it, 27 dicembre 2021.
[9] E.O. Wilson, L’armonia meravigliosa. Dalla biologia alla religione, la nuova unità della conoscenza, Mondadori, 1999.
[10] G. Ponti, Compendio di Criminologia, Raffaello Cortina Editore, 1999.
[11] E.O. Wilson, Sociobiologia. La nuova sintesi, trad. it. di A. Suvero, Zanichelli, 1979.
[12] E. Allen et al., Against ‘Sociobiology’, in New York Review of Books, 22, 182, 1975, pp. 184-186.
[13] R.C. Lewontin, Biologia, ideologia e natura umana: il gene e la sua mente, edizione italiana a cura di G. Bignami e L. Terrenato, Mondadori, 1983; Id., Biologia come ideologia: la dottrina del DNA, trad. it. a cura di B. Continenza, Bollati Boringhieri, 1993; Id., Il sogno del genoma umano e altre illusioni della scienza, trad. it a cura di M. Sampaolo, Laterza, 2002; S.J. Gould, Un riccio nella tempesta, Feltrinelli, 1991; Id., Intelligenza e pregiudizio, Il Saggiatore, 2016; Id., Il Pollice del Panda (riflessioni sulla storia naturale), trad. it. a cura di D. Mazzonis, Editori Riuniti, 1983.