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Fascicolo 1/2021

1. Si è discusso se certi comportamenti di professionisti e di uomini d’affari siano da considerarsi comportamenti delinquenziali[1].

Per dimostrare l’alta incidenza dei delitti dei “colletti bianchi” furono studiate le decisioni adottate dai tribunali e dalle commissioni incaricate nei confronti delle 70 più importanti società degli Stati Uniti d’America operanti nel campo industriale e commerciale, relativamente alle violazioni delle leggi antitrust, alla concorrenza sleale in campo pubblicitario, alle violazioni in materia di diritto del lavoro, alle violazioni delle discipline inerenti ai brevetti, ai copyright e ai marchi di fabbrica. Risultò che le decisioni prese nei confronti delle suddette 70 società furono 547, con una media di 7,8 decisioni per ognuna, e che nessuna società ne era stata completamente indenne. Sebbene fossero tutte decisioni che qualificavano il comportamento preso in esame come illecito, solo 49 di esse, cioè il 9% del totale, furono prese da giudici penali e possono considerarsi quindi, ipso facto, delle decisioni sulla rilevanza penale del comportamento.

Non ogni comportamento contrario alla legge è reato; se però riuscissimo a dimostrare che anche nei rimanenti 498 casi si fosse trattato di comportamenti penalmente rilevanti, allora potremmo dare una maggiore misura alla dimensione del comportamento delinquenziale in questo ambito[2].

Per dimostrare l’alta incidenza dei delitti dei “colletti bianchi” furono studiate le decisioni adottate […] nei confronti delle 70 più importanti società degli Stati Uniti d’America operanti nel campo industriale e commerciale […]. Risultò che le decisioni prese nei confronti delle suddette 70 società furono 547 […] e che nessuna società ne era stata completamente indenne

2. Questo, allora, è un problema di definizione giuridica di reato, e questo produce due ordini di quesiti:

1) il termine “reato” può essere riferito ai comportamenti che furono oggetto di quelle decisioni?

2) Se così fosse, perché non lo si usa solitamente in questo ambito e perché i criminologi non hanno considerato il delitto del “colletto bianco” un reato simile agli altri reati?

Il primo quesito, evidentemente, è una mera questione semantica; il secondo, invece, implica problemi di interpretazione e richiede una spiegazione.

 

3. Perché si possa parlare di reato, i giuristi considerano necessario il ricorrere di due criteri astratti, vale a dire, a) la definizione da parte della legge di un atto come socialmente dannoso e b) la previsione, per esso, di una pena[3].

Se applichiamo il criterio della definizione legale di danno sociale alle 547 decisioni, possiamo concludere che tutte qualificano i comportamenti esaminati come socialmente dannosi dal punto di vista giuridico. Ciò appare evidente quando la legge usa termini come “delitto” o “contravvenzione”[4], contrapponendoli a “scorrettezza”, “parzialità” e “trasgressione”.

Relativamente al danno subìto, si possono poi distinguere due gruppi di persone:

– il primo, non molto vasto, è composto da coloro che svolgono la stessa professione del reo o una professione a quella correlata;

– il secondo, è composto dal cittadino qualunque, sia in quanto consumatore sia in quanto appartenente al corpo sociale.

Il termine “reato” può essere riferito ai comportamenti che furono oggetto di quelle decisioni?  […] Se così fosse, perché non lo si usa solitamente in questo ambito e perché i criminologi non hanno considerato il delitto del “colletto bianco” un reato simile agli altri reati?

Le leggi antitrust hanno lo scopo di proteggere i concorrenti ed anche quello di difendere il principio della libera concorrenza che regola il sistema economico; tutto ciò significa tutelare i consumatori da prezzi arbitrari e proteggere il sistema democratico dai pericoli di grandi concentrazioni di ricchezza da parte di monopoli. Le leggi contro la pubblicità menzognera servono a salvaguardare da una concorrenza scorretta e tutelano i consumatori dalle frodi. La National Labor Relation Law è designata a proteggere i lavoratori dipendenti, ma anche a tutelare tutti i cittadini dai danni economici causati da scioperi e serrate. Le leggi contro la contraffazione di brevetti sono utilizzate per la difesa di chi ha ottenuto un brevetto o ha registrato un marchio, ma anche per proteggere l’istituto dei brevetti, ideato al fine di promuovere il progresso delle scienze e delle tecniche.

Le violazioni di queste norme sono giuridicamente definite dannose per coloro che sono stati direttamente danneggiati. Ciascuna di queste leggi si iscrive nella logica della common law e costituisce un adattamento di questa alla moderna organizzazione sociale. La pubblicità menzognera si correla alla frode, come è prevista e contemplata dalla common law, così come la contraffazione si correla al furto. Le norme a protezione dei lavoratori, che si oppongono ad ogni forma di coercizione, sono da porsi in relazione alla proibizione di restrizioni alla libertà personale attuate con metodi violenti […].

 

4. Ebbene, ciascuno dei quattro gruppi di leggi prima esaminati – le leggi antitrust, quelle a difesa dei lavoratori, quelle contro la pubblicità menzognera e quelle sulla violazione di marchi e brevetti – prevede una sanzione penale, soddisfacendo pertanto il secondo requisito per il quale un fatto può essere definito reato; i provvedimenti di condanna in base a questi gruppi di leggi, eccettuati alcuni sui brevetti […], sono pronunce sulla rilevanza penale del comportamento […].

 

4.1. Di conseguenza, le sanzioni che provano che siamo in presenza di un reato sono […] la multa, l’arresto e il risarcimento addizionale di carattere punitivo (punitive damages). Oltre a queste, vanno considerate punizioni anche la stipulation, il cease-and­desist order e l’injunction, che infatti risultano afflittive per le imprese e che sono state dal legislatore appositamente studiate per essere tali […].

La stipulation implica la minima pubblicità e la minima afflittività ed è usata, infatti, per violazioni meno gravi e di carattere meramente tecnico.

Si ricorre al cease­and-desist order quando la stipulation è disattesa o quando la violazione della legge è valutata dolosa e più grave […]. Questa sanzione implica una maggiore pubblicità negativa […].

Ancora più infamante, per un’impresa, è l’injunction disposta dal giudice. La pubblicità negativa che ne deriva è talvolta mitigata, a tutela del buon nome dell’impresa, per mezzo di un provvedimento giudiziario emesso sul consenso delle parti (consent decree)[5] che permette altresì all’impresa di sostenere che il provvedimento non implica l’ammissione di aver violato la legge[6] […].

Ad ogni modo, la sequenza di stipulation, cease-and-desist order e injunction non ha solo la funzione di procurare una crescente pubblicità negativa, ma anche quella di porre rimedi a certe situazioni e di chiarire il dettato della legge in casi particolarmente complessi.

In definitiva, con questa mia esposizione […] si è dimostrato che 473 dei 547 provvedimenti presi contro le imprese americane hanno riguardato fatti di rilevanza penale.

Questa conclusione potrebbe essere messa in discussione sulla base del fatto che per questi provvedimenti non vennero usate quelle cautele, relativamente alle prove e ai mezzi di prova, che debbono essere usate nel processo penale in rapporto ad altri tipi di reati e, in particolare, che gli organi che adottarono i provvedimenti non verificarono l’esistenza del dolo e non rispettarono la presunzione d’innocenza.

Tuttavia, bisogna ricordare che la necessità di provare il dolo e la presunzione di innocenza non si applicano a tutta la procedura penale e che, anzi, le eccezioni vanno via via aumentando […].

473 dei 547 provvedimenti presi contro le imprese americane hanno riguardato fatti di rilevanza penale

4.2. Pertanto, i criteri usati per definire i reati dei “colletti bianchi” non sono diversi da quelli usati nel definire altri reati, poiché le norme procedurali sopra citate non sempre sono applicate, sia che si tratti dei delitti dei “colletti bianchi”, sia che si tratti di altri tipi di delitti che, a volte, sono anche più gravi.

Il numero di provvedimenti adottati nei confronti delle imprese senza le cautele procedurali di cui si è detto è probabilmente più rilevante di quello dei giudizi emessi in altri ambiti, ma una differenza nella quantità non colloca le violazioni di legge delle imprese in una categoria diversa rispetto a quella dei reati commessi da altri autori.

Inoltre, per il modo di operare dell’attuale sistema procedurale, questa differenza quantitativa non è grande. Se da un lato molti imputati di reati “convenzionali” non sono in grado, per le loro condizioni economiche, di avvalersi di una valida difesa, e quindi non ottengono un grande beneficio dalle norme poste a loro tutela, d’altro lato, nei giudizi riguardanti le imprese, queste norme procedurali sulla prova e sul mezzo di prova sono applicate persino quando esse non sono richieste […].

Per tutti questi motivi è evidente che queste 70 imprese hanno commesso reati, come si evince dalle 473 pronunce esaminate, e che la rilevanza criminale del loro comportamento non era stata evidenziata dalle procedure penali ordinarie, ma piuttosto era stata celata ed occultata dall’impiego di procedure speciali.

Di conseguenza, questa differenziata applicazione della legge sui reati societari elimina o quantomeno minimizza lo stigma del crimine […].

Infatti, come si è dimostrato, le violazioni di queste leggi costituiscono dei veri e propri reati, ma tali violazioni vengono trattate come se non lo fossero, con l’effetto e probabilmente con l’intento di evitare lo stigma del crimine.

Le violazioni di queste leggi costituiscono dei veri e propri reati, ma tali violazioni vengono trattate come se non lo fossero, con l’effetto e probabilmente con l’intento di evitare lo stigma del crimine

Questa situazione è ben rappresentata dall’affermazione di Wendell Berge, al tempo vice­direttore della Divisione antitrust del Dipartimento della Giustizia […]:

«Le sanzioni civili riescono ad essere severe, con i loro effetti economici, quanto quelle penali, ma esse non comportano lo stigma che accompagna il rinvio a giudizio e la condanna. Molti di coloro che sono accusati della violazione di una legge antitrust non sono delinquenti nel senso che comunemente si dà a questo termine. Non c’è quindi un motivo intrinseco per stigmatizzarli in tal modo attraverso la legge antitrust»[7].

Di fatto, anche se si sostituisse alla sanzione pecuniaria penale una sanzione pecuniaria civile, il reato rimarrebbe; quel che viene eliminato, invece, è lo stigma del crimine. Per cui, lo stigma del crimine è diventato una sanzione a sé stante, che può essere in connessione con altri tipi di sanzioni o che può essere del tutto evitato, proprio come si possono applicare insieme la reclusione e la pena pecuniaria, oppure come si può applicare l’una senza l’altra. Perciò, lo stigma del crimine imposto come sanzione pone l’imputato nella categoria dei “delinquenti”, rendendolo un criminale secondo il diffuso stereotipo del “delinquente” […].

Di fatto, anche se si sostituisse alla sanzione pecuniaria penale una sanzione pecuniaria civile, il reato rimarrebbe; quel che viene eliminato, invece, è lo stigma del crimine. Per cui, lo stigma del crimine è diventato una sanzione a sé stante

5. Tuttavia, il punto in questione è e resta questo: il diverso modo di applicare la legge nei confronti dei colletti bianchi.

Tre fattori concorrono a spiegare l’applicazione differenziata della legge:

1) lo status dell’uomo d’affari;

2) l’orientamento non punitivo nei suoi confronti;

3) la mancanza di un’organizzata reazione di sdegno da parte dei cittadini.

Passerò ora ad analizzare nel dettaglio ciascuno di questi fattori.

Tre fattori concorrono a spiegare l’applicazione differenziata della legge: 1) lo status dell’uomo d’affari; 2) l’orientamento non punitivo nei suoi confronti; 3) la mancanza di un’organizzata reazione di sdegno da parte dei cittadini

5.1. Primo fattore (lo status dell’uomo d’affari).

I metodi usati nell’applicazione di ogni legge dipendono dalle caratteristiche degli eventuali violatori, o almeno dalla visione che il legislatore e chi opera nella giustizia hanno di tali caratteristiche.

Gli uomini d’affari, che sono gli eventuali violatori delle leggi in esame, sono visti con una combinazione di timore riverenziale e di ammirazione. Chi opera all’interno del sistema della giustizia penale è intimorito dal confronto, o magari dall’antagonismo, con gli uomini d’affari. Tra le conseguenze di tale antagonismo ci può essere la riduzione dei contributi per le campagne elettorali.

Probabilmente ciò che più ha influenza è l’omogeneità culturale tra legislatori, giudici e amministratori con gli uomini d’affari. I legislatori ammirano e rispettano gli uomini d’affari e non riescono a concepirli come delinquenti: ciò significa che gli uomini d’affari non rientrano nello stereotipo del criminale. I legislatori confidano nel fatto che una lieve pressione sarà sufficiente perché questi soggetti si conformino alla legge.

Questa interpretazione non è accettata da parte di chi ritiene che siamo in una società in cui tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge […].

Probabilmente ciò che più ha influenza è l’omogeneità culturale tra legislatori, giudici e amministratori con gli uomini d’affari. I legislatori ammirano e rispettano gli uomini d’affari e non riescono a concepirli come delinquenti […]; confidano nel fatto che una lieve pressione sarà sufficiente perché questi soggetti si conformino alla legge

5.2. Secondo fattore (l’orientamento non punitivo nei loro confronti).

Un secondo fattore nella spiegazione dell’applicazione differenziata della legge ai “colletti bianchi” riguarda la tendenza a tenerli lontani dall’ambito penale. Questa tendenza è particolarmente evidente per i reati compiuti dai “colletti bianchi”, che, essendo regolati da leggi di più recente introduzione, sono meno vincolati ai precedenti giudiziari.

La tendenza in questione si concreta nel completo abbandono delle pene più severe, ad esempio la pena di morte o le torture, e nel fatto che:

1) al posto dei metodi penali convenzionali vi sono quelli non convenzionali, come il probation e il case work[8] che accompagna il probation;

2) i metodi penali si integrano con quelli non penali, come – ancora –l’applicazione del case work e delle politiche rieducative alla pena detentiva.

Questi mutamenti di politica penale sono motivati da una serie di cambiamenti sociali, quali: a) il crescente potere della classe socio-economica “inferiore”, su cui precedentemente gravava la maggior parte delle pene; b) l’attenzione rivolta, dalle leggi penali, anche ai componenti della classe “superiore”, ad esempio con le norme che regolamentano il commercio; c) l’aumentata permeabilità tra le classi sociali, che è sfociata anche in maggiore comprensione tra i loro membri; d) il fallimento dei metodi penali tradizionali nel ridurre la criminalità; e) il cambiamento apportato, anche tra gli operatori della giustizia, da un atteggiamento psicologico individualistico ed edonista, che sottolinea l’afflittività dei metodi di controllo del comportamento.

Inoltre, a questi fattori si aggiunge il fatto che la punizione, che costituiva nel passato il cardine del controllo sociale nella famiglia, nella scuola e nella chiesa, sta scomparendo, lasciando lo Stato privo del supporto culturale necessario per applicare i suoi metodi penali[9].

Per certi versi, il delitto del “colletto bianco” è assimilabile alla delinquenza giovanile, almeno relativamente all’applicazione differenziata della legge. In entrambi i casi le procedure del diritto penale sono modificate, in modo da non stigmatizzare gli autori del reato. Tuttavia, lo stigma del crimine sopravvive ancora in misura maggiore nei confronti dei giovani delinquenti, perché nel loro caso le procedure penali si sono meno scostate da quelle tradizionali, perché la maggior parte dei giovani delinquenti proviene da una classe socio-economica “inferiore” e perché questi giovani non si sono preoccupati di tutelare il loro buon nome. Dato che lo stigma del crimine sopravvive nei confronti dei giovani, le teorie criminologiche sono state in larga parte costruite su dati forniti dalla delinquenza giovanile; mentre i delinquenti dal “colletto bianco”, liberati da questo stigma, sono rimasti esclusi dagli interessi dei criminologi.

 

5.3. Terzo fattore (la mancanza di un’organizzata reazione di sdegno da parte dei cittadini).

Un terzo fattore che spiega l’applicazione differenziata della legge consiste nella particolare relazione che lega il diritto e i costumi, per quanto concerne i delitti dei “colletti bianchi”. Le leggi che li riguardano sono di recente introduzione e non hanno una solida base nell’etica comune o nell’etica degli affari; addirittura, alcuni principi che regolano il mondo degli affari sono in conflitto con la legge.

I reati dei “colletti bianchi” non sono di immediata percezione, come l’aggressione violenta o le percosse, e possono essere identificati solo da chi è esperto nel campo. Capita spesso che un’impresa violi una legge per una decina d’anni, o anche più a lungo, prima che si venga a conoscenza di tale violazione, che nel frattempo può diventare prassi comune anche per altre imprese.

Gli effetti dei reati dei “colletti bianchi” si fanno sentire per periodi molto lunghi e su moltissime persone, senza però colpire un soggetto specifico in un momento preciso.

I reati dei “colletti bianchi” non sono di immediata percezione, come l’aggressione violenta o le percosse, e possono essere identificati solo da chi è esperto nel campo. Capita spesso che un’impresa violi una legge per una decina d’anni, o anche più a lungo, prima che si venga a conoscenza di tale violazione

I mezzi di comunicazione di massa non si fanno portavoce del biasimo della collettività nei confronti dei delinquenti dal “colletto bianco”, sia perché i loro reati sono difficili da individuare e comprendere, e quindi da riferire come notizia, ma soprattutto perché questi mezzi di comunicazione di massa sono di proprietà o sono controllati proprio dagli uomini d’affari che hanno violato le leggi, quando addirittura non le hanno violate direttamente gli organi di stampa […].

A volte, si afferma che i delitti dei “colletti bianchi” sono delle mere violazioni tecniche, e non sono trasgressioni di norme morali. Infatti, questi reati, e non solo questi, sono distribuiti lungo un continuum in cui i mala in se si collocano ad un estremo e i mala quia prohibita ad un altro estremo.

Nessuna delle norme che puniscono i delitti dei colletti bianchi è puramente arbitraria, come lo è la regola che bisogna tenere la destra guidando, che potrebbe benissimo essere sostituita dall’obbligo di tenere la sinistra […].

La reazione emotiva di fronte ad un delitto del “colletto bianco” è certamente diversa da quella suscitata da altri reati, ma questa differenza è spesso esagerata, specialmente per quanto concerne le grandi città. La reazione caratteristica del cittadino medio in una moderna metropoli davanti ad un furto è di apatia, a meno che la vittima sia lui od un suo amico, o a meno che il caso sia particolarmente eclatante. Il cittadino medio, leggendo sul giornale che la casa di uno sconosciuto è stata svaligiata da un altro sconosciuto, non ne rimane sconvolto […].

Infine, anche se sono state emanate molte leggi per regolamentare professioni diverse da quella dell’imprenditore […], le procedure previste da queste leggi non si discostano molto da quelle convenzionali e proteggono meno dallo stigma del crimine di quanto non facciano le leggi che si occupano degli uomini d’affari.

La relazione tra la legge e i costumi tende ad essere circolare: i costumi sono cristallizzati nella legge, ed ogni concreta applicazione della legge tende a rafforzare i costumi.

Le leggi riguardanti i delitti dei “colletti bianchi”, nascondendo la rilevanza criminale del comportamento, sono state meno efficaci di altre nel rafforzare i costumi.

La relazione tra la legge e i costumi tende ad essere circolare: i costumi sono cristallizzati nella legge, ed ogni concreta applicazione della legge tende a rafforzare i costumi

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[*] Il presente saggio di E.H. Sutherland, rielaborato e con l’omissione di alcuni passaggi, viene qui riproposto al pubblico italiano nell’ambito del Programma DPU in quanto ritenuto utile e significativo, anche nel momento attuale, per porsi domande, sollecitare riflessioni e stimolare nuove indagini sull’argomento che auspichiamo possano essere condotte nell’ambito del Cantiere di DPU “Criminalità, economia e potere”. Il testo originale, pubblicato in American Sociological Review, X, 2, 1945, pp. 132-139, può essere consultato qui. Ad Adolfo Ceretti e a Isabella Merzagora si deve il grande merito di averlo per la prima volta reso disponibile ai lettori italiani: v. A. Ceretti, I. Merzagora (a cura di), La criminalità dei colletti bianchi e altri scritti, Edizioni Unicopli, 1986, pp. 75-89; in particolare, la traduzione in italiano del saggio effettuata da Adolfo Ceretti è risultata essere assai preziosa per procedere alla rielaborazione della versione dello scritto di Sutherland qui proposta.

[1] Sutherland fa riferimento alla discussione aperta e da lui trattata all’interno di altri scritti: E.H. Sutherland, White-Collar Criminality, in American Sociological Review, V, 1, 1940, pp. 1-12; Id., Crime and Business, in The Annals of the American Academy of Political and Social Science, 217, 1941, pp. 112-118.

[2] In questo scritto, Sutherland sviluppa alcuni concetti introdotti con il suo saggio intitolato White-Collar Criminality (in American Sociological Review, V, 1, 1940, pp. 1-12) che in questa rivista è stato, di recente, riproposto.

[3] Per un’analisi molto accurata di questi aspetti Sutherland rinvia a J. Hall, Prolegomena to a Science of Criminal Law, in University of Pennsylvania Law Review, LXXXIX, 1941, pp. 549-580; Id., lnterrelations of Criminal Law and Torts, in Columbia Law Review, XLIII, 1943, pp. 735-739, 967-1001; Id., Criminal Attempts. A Study of the Foundations of Criminal Liability, in Yale Law Review, XLIX, 1940, pp. 789-840.

[4] In realtà Sutherland distingue tra “crime” e “misdemeanor”, che sono reati meno gravi.

[5] Si tratta, in estrema sintesi, di un accordo tra le parti stipulato davanti al giudice che vincola solo le parti fra di loro (n.d.C.).

[6] Il consent decree viene preferito anche per altri motivi, soprattutto perché non può essere usato come prova in altri procedimenti.

[7] W. Berge, Remedies Available to the Government under the Sherman Act, in Law and Contemporary Problems, VII, 1, 1940, p. 111.

[8] Vale a dire, al lavoro svolto dagli assistenti sociali sul singolo caso (n.d.C.).

[9] L’indirizzo verso l’abbandono dei metodi penali suggerisce che la sanzione penale possa non essere più un criterio completamente adeguato per definire il crimine.

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per far emergere l’inatteso e il non detto nel diritto penale

 

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