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«È inaccettabile che persone condannate per lo stesso reato ricevano sentenze drasticamente diverse, come per esempio cinque anni di reclusione per una e libertà vigilata per l’altra; eppure, in molte situazioni, è proprio quello che accade […]».

Dove c’è giudizio, c’è rumore, e più di quanto non si pensi

«[…] Per molto tempo, in ogni parte del mondo, i giudici hanno goduto di un ampio margine discrezionale quando si è trattato di decidere quale fosse la sentenza appropriata. In molti paesi, diversi esperti hanno tessuto le lodi di questa discrezionalità, considerandola tanto giusta quanto umana […]. Se i giudizi fossero stati vincolati da determinate regole, i criminali avrebbero subito un trattamento disumano, perché non sarebbero stati visti come individui unici con il diritto a portare l’attenzione sulla propria situazione particolare […]. Negli anni settanta questo entusiasmo generale per la discrezionalità giudiziale iniziò a scemare per un semplice motivo: l’allarmante evidenza del rumore […]».

Se sono in pochi a obiettare al principio della discrezionalità giudiziale, quasi tutti disapprovano le enormi disparità che ne derivano.  Il rumore sistemico, ovvero una variabilità indesiderata in giudizi che in teoria dovrebbero essere identici, può generare ingiustizie incontrollate, alti costi economici ed errori di vario tipo […]

«Spesso gli sforzi per ridurre il rumore sollevano obiezioni e incorrono in serie difficoltà. Anche di questo occorre tenere conto, o la lotta al rumore sarà destinata a fallire».

 

– D. Kahneman, O. Sibony, C.R. Sunstein, Rumore. Un difetto del ragionamento umano, UTET, 2021, pp. 17 ss.

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