23.10.2019
Gabriele Minì

La Corte di Cassazione si pronuncia sulla natura giuridica dei «diritti all’aiuto UE» e sulla nozione di «attività economiche o finanziarie» rilevante ai sensi dell’art. 648 ter c.p.

Nota a Cass. pen., Sez. II, sent. 12 febbraio 2019 (dep. 17 maggio 2019), n. 21712, Pres. Gallo, Rel. Di Paola.

Fascicolo 10/2019

I.

Il caso oggetto della pronuncia in commento, relativo ad una truffa ai danni dell’UE per il conseguimento di erogazioni destinate allo sviluppo del settore agricolo, offre alla Corte di Cassazione l’occasione sia per individuare la natura giuridica dei diritti all’aiuto (i c.d. titoli AGEA)[1], sia per chiarire la nozione di «attività economiche o finanziarie» all’interno della descrizione legislativa del delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita di cui all’art. 648 ter c.p[2].

 

II.

Al fine di inquadrare la questione giuridica sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione è preliminarmente opportuno soffermarsi sui requisiti richiesti per poter accedere alle misure di sostegno all’agricoltura erogate dall’UE. La vigente normativa eurounitaria dispone che la domanda unica di pagamento (Dup) per l’ottenimento dei contributi europei destinati all’agricoltura possa essere presentata annualmente da soggetti che siano in possesso della qualifica di agricoltore in attività[3], che siano proprietari o detengano in affitto i diritti all’aiuto oltre che una superficie di terreno ammissibile da abbinarvi e che rispettino gli obblighi di condizionalità[4]. La riforma Fischler del 2003, infatti, ha profondamente innovato il sistema introducendo il regime di pagamento unico: da una parte ha disaccoppiato l’erogazione dei contributi sia dal quantum che, salvo particolari eccezioni, dal tipo di produzione; dall’altra ha subordinato la concessione delle erogazioni alla detenzione dei diritti all’aiuto[5] ognuno dei quali, per dare diritto al pagamento dell’importo fissato, deve essere abbinato ad un ettaro di superficie ammissibile[6]. L’aspetto più innovativo della riforma, dunque, è dato dalla suddivisione del sussidio spettante a ciascun agricoltore in quote (i c.d. diritti all’aiuto) che possono essere oggetto di atti di trasferimento.

 

III.

La decisione in esame trae origine da un’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Enna con la quale da un lato veniva parzialmente accolta la richiesta di sequestro per equivalente formulata dal P.M. nei confronti del sig. C., titolare di una società agricola, per il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.) per aver conseguito, attraverso la falsificazione di documenti ed artifici, i diritti all’aiuto; dall’altro veniva rigettata l’analoga richiesta formulata nei confronti della sig.ra  M., anch’essa titolare di una società agricola, per il delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648 ter c.p.) per aver inserito all’interno della domanda volta al conseguimento dei contributi erogati dall’UE nell’ambito della politica agricola comune (PAC) i diritti all’aiuto artificiosamente creati dal sig. C. che, a seguito di una serie di atti di trasferimento ripetuti e ravvicinati, erano stati acquistati dall’indagata.

Il P.M. impugnava l’ordinanza del G.i.p. dinanzi al Tribunale di Enna il quale, evidenziando che per la configurazione del delitto di cui all’art. 648 ter c.p. è richiesta la dissimulazione della provenienza delittuosa dei beni attraverso il ricorso ad «attività economiche o finanziarie», rigettava l’appello. A parere del Tribunale, infatti, la mera qualità di imprenditore agricolo della sig.ra M. e l’utilizzo dei diritti all’aiuto artificiosamente creati dal sig. C.P. non sarebbero stati elementi sufficienti, in assenza di evidenze relative alla destinazione dei contributi conseguiti all’attività agricola svolta o ad attività connesse ex art. 2195 c.c., a ritenere integrata la nozione di impiego in «attività economiche o finanziarie» richiesta dall’art. 648 ter c.p.

 

IV.

Avverso tale decisione il P.M. presso il Tribunale di Enna proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra i motivi del ricorso, la violazione della normativa eurounitaria e della legge penale.

Con il primo motivo di gravame il P.M. lamentava la violazione del diritto eurounitario con riferimento alla natura giuridica dei diritti all’aiuto ed alla loro destinazione nelle domande volte al conseguimento dei contributi europei. A detta del ricorrente i titoli, tenuto conto dell’esistenza di un mercato di quotazione e contrattazione, della possibilità di trasferirli nonché della loro riconducibilità al patrimonio dell’azienda agricola, dovrebbero essere qualificati come beni mobili immateriali registrati[7]. Pertanto l’attività di gestione dei titoli, beni ai quali è attribuito un valore economico autonomo, integrerebbe la nozione di «attività economica o finanziaria» richiesta dall’art. 648 ter c.p.

Con il secondo motivo deduceva la violazione della legge penale in riferimento all’art. 648 ter c.p. per aver escluso che l’inserimento dei diritti all’aiuto di provenienza delittuosa all’interno della domanda unica di pagamento, oltre che a poter essere qualificato quale fraudolento conseguimento di risorse erogate dall’UE, potesse integrare la fattispecie di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, essendo la condotta dell’indagata idonea a falsare il libero gioco della concorrenza ed a creare irragionevoli differenziazioni di trattamento con gli operatori economici che devono far ricorso al credito nel libero mercato per finanziare la propria attività.

Con il terzo motivo lamentava la violazione della legge penale con riferimento all’art. 648 ter c.p. per aver erroneamente individuato le nozioni di imprenditore agricolo, di «attività economiche o finanziarie» e di attività connesse. Per il ricorrente, infatti, l’inserimento dei diritti all’aiuto nelle domande di pagamento, tenuto conto delle caratteristiche delle misure di sostegno previste dalla normativa europea sarebbe una condotta idonea ad integrare la nozione di attività connessa allo svolgimento dell’attività di imprenditore agricolo.

 

V.

I giudici di legittimità, con la sentenza qui annotata, ritengono fondati i motivi del ricorso proposto dal P.M. ed annullano il provvedimento impugnato rinviando al Tribunale di Enna l’accertamento, alla luce dei principi enunciati, della ricorrenza degli elementi della fattispecie di cui all’art. 648 ter c.p. (la nozione di reimpiego, di «beni o altre utilità» e di «attività economiche o finanziarie»).

Preliminarmente i giudici della Corte di Cassazione individuano l’esatta natura giuridica dei diritti all’aiuto e la loro riconducibilità alla nozione di «beni o altre utilità», utilizzata dall’art. 648 ter c.p. Dopo aver dato atto della funzione che i titoli svolgono nell’esercizio dell’attività agricola, delle modalità con cui sono attribuiti, della trasferibilità e dell’esistenza di un mercato in cui sono oggetto di quotazione e contrattazione, li qualificano come beni mobili sottoposti ad un regime di pubblicità interna che danno diritto ad accedere alle misure di sostegno per la conduzione di attività agricole. Ai diritti all’aiuto, tenuto conto delle predette caratteristiche, viene attribuito un valore economico autonomo e, pertanto, entrano a far parte del patrimonio aziendale. A sostegno di tale conclusione si ricorda che i titoli possono essere costituiti in pegno per garantire le obbligazioni contratte nell’esercizio dell’attività dell’impresa agricola[8].

I giudici di legittimità, alla luce della natura giuridica e della funzione svolta dai diritti all’aiuto, giungono alla conclusione che la condotta consistente nel loro inserimento all’interno della domanda unica di pagamento, necessaria per consentire agli imprenditori l’accesso ai contributi per lo svolgimento di attività agricola erogati dall’UE, costituisce un “impiego in attività economiche o finanziarie”, rilevante ai sensi dell’art. 648 ter c.p.

La sentenza in esame, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale[9], afferma che il significato da attribuire alla locuzione «attività economiche o finanziarie», presente nel testo dell’art. 648 ter  c.p., «è desumibile dagli artt. 2082, 2135 e 2195 c.c. e fa riferimento non solo all’attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato di consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del codice civile»[10]. Tra le attività ricomprese vi sono anche quelle di finanziamento a titolo oneroso quali la concessione di mutui[11].

La Corte, inoltre, osserva che anche il semplice inserimento dei diritti all’aiuto di provenienza illecita nel compendio patrimoniale aziendale, incrementandone la consistenza e, conseguentemente, accrescendo l’affidabilità dell’impresa, costituisce attività economica, rilevante ai sensi dell’art. 648 ter c.p.

Da ultimo la Corte di Cassazione, pur non entrando nel merito della questione, dà atto del dibattito esistente in giurisprudenza in merito alla nozione di “reimpiego”.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, la condotta descritta nella fattispecie di reimpiego si caratterizza per l’effetto dissimulatorio della provenienza illecita del bene che, a differenza di quanto previsto dal delitto di riciclaggio, non deve avvenire tramite operazioni materiali o giuridiche ma attraverso l’investimento dello stesso bene in attività economiche o finanziarie[12].

Secondo un diverso orientamento, la fattispecie di cui all’art. 648 ter c.p., essendo principalmente diretta a tutelare l’ordine economico ed il corretto funzionamento del mercato, non richiedere l’occultamento della provenienza illecita del bene[13].

I giudici di legittimità, invero, ritengono che il contrasto giurisprudenziale sia irrilevante ai fini della soluzione del caso concreto. La stipula di ripetuti e ravvicinati negozi di trasferimento dei titoli a favore di soggetti fittiziamente operanti come imprenditori agricoli, così come risulta dagli atti di indagine del procedimento, costituisce un’operazione idonea «a dotare di apparente legittimità le caratteristiche dei beni stessi».

 

VI.

In conclusione, secondo i giudici della Corte di Cassazione, l’acquisto di diritti di aiuto di provenienza illecita ed il loro successivo utilizzo sono condotte astrattamente idonee ad integrare il delitto di cui all’art. 648 ter c.p. Da una parte, infatti, i ripetuti trasferimenti dei titoli ne dissimulano la provenienza delittuosa, dall’altra la condotta consistente nel loro successivo inserimento nel patrimonio aziendale o nella domanda unica di pagamento è riconducibile all’elemento normativo «in attività economiche o finanziarie»  e, alterando il sistema economico dell’imprenditoria agricola  ed assicurando agli autori un illecito vantaggio competitivo, è in grado di arrecare pregiudizio all’ordine pubblico economico, bene giuridico tutelato dalla disposizione incriminatrice in esame.

 

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[1] I diritti all’aiuto sono stati introdotti dall’art. 43 del regolamento (CE) 1782/2003 ed il loro valore iniziale era stato determinato sulla base del c.d. “metodo storico”, ai sensi dell’art. 38 del citato regolamento.

[2] Ai sensi del primo comma dell’art. 648 ter c. 1 c.p., infatti, «chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da cinquemila euro a venticinquemila euro».

[3] Art. 9 regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.

[4] Art. 19 regolamento (CE) n. 73/2009 del Consiglio.

[5] Introdotti dall’art. 43 regolamento (CE) 1782/2003 del Consiglio.

[6] Art. 44 regolamento (CE) 1782/2003 del Consiglio.

[7] Il Registro Nazionale Titoli (RNT) è istituito da AGEA, presso il SIAN, ai sensi dell’art. 3 del d.l. 182 del 9 settembre 2005 convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, l. 11 novembre 2005, n. 231.

[8] Art. 18 del d.lgs. 102 del 29 marzo 2004, come modificato dal d.l. 2 del 10 gennaio 2006.

[9] Cass. pen., Sez. II, 14 luglio 2016, n. 33076, che richiama la precedente sentenza Cass. pen., Sez. II, 11 dicembre 2013, n. 5546 sul reato di impiego, 648 ter c.p.

[10] Cass. pen., Sez. II, 14 luglio 2016, cit.

[11] Cass. pen., Sez. II, 11 dicembre 2013, n. 5546.

[12] Cass. pen., Sez. II, 14 luglio 2016, cit.; Cass. pen., Sez. VI, 3 ottobre 2013, n. 13085; Cass. pen., Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756.

[13] Cass. pen., Sez. II, 17 giugno 2015, n. 37678; Cass. pen., Sez. II, 5 novembre 2013, n. 9026.

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