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Fascicolo 3/2021

Pubblichiamo, per gentile concessione editoriale, la Prefazione al volume di Elena Mariani, Prevenire è meglio che punire. Le misure di prevenzione personali tra accertamento della pericolosità e bilanciamenti di interessi, Giuffrè, 2021.

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Il titolo della ponderosa e documentatissima monografia di Elena Mariani – prevenire è meglio che punire – costituisce indubbiamente un’affermazione, da Beccaria in poi[1], ampiamente condivisa, la quale, tuttavia, cela e presuppone una serie di quesiti, non sempre adeguatamente tematizzati nel dibattito scientifico e la cui risposta risulta, comunque, estremamente controversa: quali condotte antisociali prevenire? nei confronti di quali soggetti intraprendere l’attività di prevenzione? con quali modalità realizzare questa attività di prevenzione?

Non basta, d’altra parte, concordare sul fatto che prevenire è meglio che punire per attribuire automaticamente, e acriticamente, un riconoscimento di legittimità, costituzionale e convenzionale, oltre che una patente di efficacia ad un qualsivoglia sistema di prevenzione dei reati, a prescindere dalla specifica conformazione legislativa e, ancor più, dalla concreta applicazione giurisprudenziale di tale sistema.

Non basta, d’altra parte, concordare sul fatto che prevenire è meglio che punire per attribuire automaticamente, e acriticamente, un riconoscimento di legittimità […] ad un qualsivoglia sistema di prevenzione dei reati, a prescindere dalla specifica conformazione legislativa e, ancor più, dalla concreta applicazione giurisprudenziale di tale sistema

Elena Mariani cerca di rispondere ai predetti quesiti intraprendendo un impegnativo e serrato confronto tra «ciò che è» e «ciò che potrebbe essere» la prevenzione del reato. Nel suo percorso di ricerca l’Autrice guarda, allora, al passato delle misure di prevenzione personali, per evidenziarne errori e storture, ma guarda soprattutto al presente e al futuro di tali misure, spostando la ricerca fino alle frontiere del diritto penale: frontiere segnate, in quest’ambito, dall’intelligenza artificiale, dagli algoritmi predittivi, dalle tecniche di risk assessment, dalle acquisizioni della psichiatria e delle neuroscienze – categorie concettuali con le quali l’Autrice coraggiosamente, e con grande competenza, si cimenta per verificare in che misura dalle medesime possa essere tratta conferma alla validità dell’attuale sistema della prevenzione personale, o indicazioni per una oculata riforma dello stesso.

Fil rouge di tutta l’opera, sapientemente individuato e inseguito dall’Autrice, dipanandolo da una intricata matassa di equivoci, semplificazioni e precomprensioni, risulta poi essere la nozione di pericolosità sociale, della quale, nel libro, emerge quanto essa sia in realtà complessa, articolata, controversa. Perché è la pericolosità sociale – della quale il legislatore fa spesso un uso disinvolto e poco consapevole, così di fatto consentendole di scalzare surrettiziamente da territori a lungo parsi inespugnabili la responsabilità penale – a segnare la cifra dell’intero sistema della prevenzione personale. È, pertanto, dalla definizione della pericolosità sociale, come pure dalle modalità del relativo accertamento, che dipende in concreto la possibilità di assicurare un accettabile equilibrio tra due istanze, entrambe ineludibili: la protezione “preventiva” della società da futuri reati; la protezione “garantistica” dei diritti dei destinatari della prevenzione.

Fil rouge di tutta l’opera […] risulta poi essere la nozione di pericolosità sociale […]. Perché è la pericolosità sociale – della quale il legislatore fa spesso un uso disinvolto e poco consapevole, così di fatto consentendole di scalzare surrettiziamente da territori a lungo parsi inespugnabili la responsabilità penale – a segnare la cifra dell’intero sistema della prevenzione personale

Alla ricerca di conferme e smentite delle acquisizioni teoriche e delle elaborazioni dottrinali, Elena Mariani – proseguendo nel solco di un’autentica scienza penale integrata[2] – intraprende anche un’accuratissima indagine empirica sulla prassi del Tribunale di Milano su un arco temporale di sette anni, recuperando, analizzando, “schedando” centinaia di provvedimenti applicativi di misure personali: invero, se l’indagine empirica è importante in tutti i settori del diritto, in considerazione del ruolo che la prassi ormai svolge nell’influenzare l’evoluzione e la stabilizzazione dei concetti giuridici all’interno delle dinamiche della normogenesi, lo è in particolar modo proprio nel diritto della prevenzione, nel quale risulta decisiva l’attività di rielaborazione giurisprudenziale di alcuni concetti dai parametri elastici e dal contenuto indeterminato, primo fra tutti – ancora una volta – quello di “pericolosità sociale”.

Ecco, quindi, che grazie a questo appassionato lavoro di recupero e rielaborazione critica di dati, informazioni, prassi, teorie dottrinarie, elaborazioni scientifiche, indagini empiriche, l’Autrice, lavorando con spatola e raschietto, rimuovendo incrostazioni, malaccorte rifiniture, imbellettamenti posticci, riesce a far emergere, nella sua complessità, il vero volto della prevenzione personale in Italia.

E nel momento in cui l’Autrice, e con lei il lettore, può finalmente guardare in faccia il sistema vigente della prevenzione personale, riesce anche a evidenziarne le criticità e a formulare meditate e argomentate proposte di riforma che consentano il passaggio da un’asfittica prevenzione cripto-penalistica[3] dai contenuti stigmatizzanti, afflittivi e vessatori, a vocazione criminogena[4], ad una illuminata prevenzione risocializzante, imperniata su interventi positivi e effettivamente riduttivi dei comportamenti delinquenziali, fondata su basi scientifiche e capace di dialogare con le scienze umane.

Quando gireremo l’ultima pagina di questo libro potremo, allora, ritornare – con rinnovata consapevolezza e un accresciuto patrimonio di conoscenze  – al suo titolo dal quale siamo partiti, giacché, come ricordava il Maestro della Scuola milanese, «quel che si insegna dai tempi di Beccaria (meglio prevenire che punire) deve tradursi in mutamenti normativi e organizzativi – in una efficace rete di controlli preventivi – la cui presenza può neutralizzare all’origine (almeno in parte) la commissione dei fatti delittuosi, relegando così il diritto penale al suo ruolo naturale di estremo rimedio»[5]: il lavoro di Elena Mariani contiene, infatti, plurime, meditate indicazioni per intraprendere quei «mutamenti normativi e organizzativi» che vadano davvero nell’auspicata direzione del “meglio prevenire”!

 

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[1] C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, ed. a cura di G.D. Pisapia, Giuffrè, 1964, p. 127.

[2] F. Von Liszt, Der Zweckgedanke im Strafrecht, 1883, tr. it. a cura di A.A. Calvi, La teoria dello scopo nel diritto penale, Giuffrè, 1962, p. 67, secondo cui «solo nel procedere parallelo dell’antropologia criminale, della psicologia criminale, della statistica criminale con la scienza del diritto penale risiede la possibilità di una fruttuosa lotta contro la criminalità».

[3] F.C. Palazzo, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum, in disCrimen, 12 settembre 2018, p. 5.

[4] F. Bricola, Forme di tutela “ante delictum” e profili costituzionali della prevenzione, in Scritti di diritto penale, vol. I, tomo II, Giuffrè, 1997, p. 913.

[5] G. Marinucci, Il sistema sanzionatorio tra collasso e prospettive di riforma, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2000, p. 176.

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Un incontro di saperi sull’uomo e sulla società
per far emergere l’inatteso e il non detto nel diritto penale

 

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