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10.07.2019
Paolo Oddi

Soccorrere è un dovere. Commento e riflessioni sull’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Agrigento sul caso Sea Watch 3 (Carola Rackete)

Fascicolo 7-8/2019

Abstract. Nell’ordinanza del giudice di Agrigento che non convalida l’arresto di Carola Rackete si riafferma il primato delle fonti sovranazionali a tutela del diritto a essere soccorsi e condotti nel porto sicuro più vicino. Adempiere al dovere di soccorrere è causa di giustificazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale. 

 

SOMMARIO: 1. L’ordinanza e il quadro normativo di riferimento. – 2. L’art. 51 del codice penale. – 3. Una “giusta” disubbidienza. – 4. La netta pronuncia in sede penale e le “maglie strette” del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio e della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle condizioni dei naufraghi in sede di richiesta di misure provvisorie. – 5. Il Garante, gli avvocati penalisti e i professori di diritto internazionale. – 6. Sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. – 7. Sull’allontanamento di Carola Rackete. – 8. Conclusioni.

1. L’ordinanza e il quadro normativo di riferimento.

L’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Agrigento[1] che non convalida l’arresto di Carola Rackete, comandante della nave dell’O.n.g. “Sea Watch 3”, e respinge la richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Agrigento, contiene alcuni passaggi di grande rilevanza per chi ha a cuore la tutela dei diritti umani e contribuisce a fare chiarezza su questioni, solo apparentemente, controverse e molto dibattute sulla scena pubblica.

Va premesso che questa importante decisione si muove sulla scia della giurisprudenza dei tribunali siciliani che, con rigore e nettezza, ha chiarito, in diverse occasioni, la supremazia delle norme di rango costituzionale e sovranazionale poste a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo – diritti questi messi di frequente in pericolo sulla frontiera marittima e in occasione delle attività di salvataggio –[2].

Di recente tale prevalenza è stata sancita persino a fronte di condotte di ribellione poste in essere dagli stessi naufraghi per non essere respinti verso la Libia; condotte ritenute appunto lecite per la sussistenza della causa di giustificazione della legittima difesa (art. 52 c.p.), come nel caso del Vos Thalassa del luglio 2018[3].

L’ordinanza del Gip di Agrigento ribalta completamente la narrazione securitaria messa in scena dall’esecutivo sulla vicenda “Sea Watch 3” e sfociata nell’arresto della sua comandante, dopo un’odissea di 17 giorni che ha visto l’intero equipaggio e il suo carico di naufraghi soccorsi essere impediti, prima, nell’ingresso nelle acque territoriali italiane e, poi, nell’attracco nel porto di Lampedusa; impedimenti tuttavia superati dalla decisione della Rackete di forzare i ripetuti “alt” da parte delle autorità di pubblica sicurezza; circostanze queste che hanno determinato la Guardia di Finanza a procedere appunto con l’arresto in flagranza della comandante.

Tra l’altro va ricordato che è nel mezzo del concitato svilupparsi degli eventi riguardanti la “Sea Watch 3” – che nella mattina del 12 giugno scorso aveva soccorso 53 persone nella c.d. zona SAR libica – che entra in vigore il c.d. decreto sicurezza bis[4], in base al quale viene adottata la direttiva interministeriale a firma dei ministri dell’Interno, dei Trasporti e della Difesa con la quale si dispone il divieto di ingresso, transito e sosta proprio della nave “Sea Watch 3” nel mare territoriale nazionale[5].

Il Giudice per le indagini preliminari di Agrigento mette bene a fuoco il quadro normativo di riferimento, richiamando in primo luogo la Convenzione UNICLOS[6] che, all’art. 98 co.1, fa sorgere l’obbligo per il comandante della nave di prestare soccorso alle persone rintracciate in mare in condizione di pericolo[7].

Sul punto, è la stessa Rackete, in sede di interrogatorio, a chiarire di avere effettuato il salvataggio di persone che si trovavano su un gommone alla deriva e di avere quindi richiesto al Centro di coordinamento dei soccorsi in mare l’indicazione di un porto sicuro. Quando la guardia costiera libica le ha rappresentato di indirizzarsi verso Tripoli la comandante ha rifiutato «perché lì vi erano stati, per altri casi, diverse violazioni dei diritti umani. La Commissione europea ci dice che il porto di Tripoli non è sicuro»[8].

Per il tribunale «la decisione in tal senso assunta […] risultava conforme alle raccomandazioni del Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa e a recenti pronunce giurisprudenziali (v. sentenza del GUP di Trapani del 23 maggio 2019)»[9]. L’ordinanza continua soffermandosi sulla Convenzione di Amburgo del 1979[10] la quale «prevede che gli sbarchi dei naufraghi soccorsi in mare debbano avvenire nel “porto sicuro” più vicino al luogo di soccorso» e che porti sicuri, in questo caso, non potevano essere ritenuti né quelli di Malta, perché più distanti, né quelli tunisini perché, come dichiarato dalla stessa indagata, non sicuri sulla base di rapporti di organizzazioni indipendenti come Amnesty International, oltre che in ragione del fatto che la Tunisia non prevede una normativa a tutela dei rifugiati.

L’aggravarsi delle condizioni delle persone soccorse, in un crescendo preoccupante, ha visto la Rackete reiterare richieste di sbarco ed esperire ricorsi al T.a.r. e alla Corte europea dei diritti dell’uomo (tuttavia senza successo, v. infra)[11]. È a questo punto ed in considerazione del fatto che la situazione a bordo stava precipitando che la predetta, nella giornata del 26 giugno scorso, ha deciso di entrare nelle acque territoriali e, successivamente, di sollevare l’ancora ed iniziare la manovra di ingresso nel porto di Lampedusa, «dandone comunicazione alle autorità portuali e alla Guardia di Finanza e portando avanti le manovre di attracco, nonostante l’espresso diniego verbale proveniente dalle Autorità italiane»[12].

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Di nuovo, per il Giudice, tale decisione è «supportata dalla previsione dell’art. 18 della Convenzione del mare»[13] che autorizza il passaggio, la fermata e l’ancoraggio, di una nave straniera in acque territoriali quando ciò sia necessario per prestare soccorso a persone (nonché a navi o aeromobili) in pericolo[14]. Inoltre è la stessa legislazione nazionale, ed in particolare l’art. 10 ter del testo unico sull’immigrazione, a consentire l’attracco da parte della “Sea Watch 3” alla banchina del porto di Lampedusa, laddove prevede l’obbligo per il Capitano o per le Autorità nazionali di prestare soccorso e prima assistenza allo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna «ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare»[15].

Se ne ricava che, per il diritto del mare, la nave battente bandiera straniera che ha operato un soccorso non possa essere considerata alla stregua di una “nave pirata” e che, dunque, il suo passaggio nelle acque territoriali italiane vada ritenuto “inoffensivo”.

Logicamente il Tribunale non può che concludere che a fronte della natura sovraordinata delle fonti convenzionali e delle normative richiamate «nessuna idoneità a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della Sea Watch 3, oltre che delle autorità nazionali, potevano rivestire le direttive ministeriali in materia di “porti chiusi“ o il provvedimento (del 15 giugno 2019) del Ministro degli Interni di concerto con il Ministro della Difesa e delle Infrastrutture (ex art. 11, c. 1-ter T.U. Imm.) che faceva divieto di ingresso, transito e sosta della nave Sea Watch 3, nel mare nazionale»[16]. Qui viene anche rimarcato che il divieto ministeriale in questione ha come conseguenza, in caso di trasgressione, una sanzione di natura meramente amministrativa, ai sensi dell’art. 11 ter del testo unico immigrazione, introdotto proprio dal c.d. decreto sicurezza bis[17].

Se ne ricava che, per il diritto del mare, la nave battente bandiera straniera che ha operato un soccorso non possa essere considerata alla stregua di una “nave pirata” e che, dunque, il suo passaggio nelle acque territoriali italiane vada ritenuto “inoffensivo”.

2. L’art. 51 del codice penale.

Se la direttiva ministeriale va perciò disapplicata in quanto prevalgono gli obblighi normativi sovranazionali e interni anzidetti, resta il tema della legittimità o meno dell’arresto circa i capi di imputazione contestati alla Rackete dalla Procura di Agrigento.

Per il Giudice va, in primo luogo, esclusa la ricorrenza dell’art. 1100 del codice della navigazione («resistenza o violenza contro nave da guerra»), poiché – come chiarisce l’ordinanza – le unità navali della Guardia di Finanza possono essere considerate navi da guerra solo quando operano fuori dalle acque territoriali (ovvero in porti esteri ove non vi sia una un’autorità consolare), come chiarito da una richiamata sentenza della Corte Costituzionale (n. 35/2000)[18]; mentre qui la Guardia di Finanza si trovava chiaramente nelle acque nazionali.

Per quanto riguarda la sola ipotesi di reato rimasta in piedi, e cioè la resistenza ai pubblici ufficiali presenti a bordo della vedetta della Guardia di Finanza (art. 337 c.p.), il Giudice reputa che il fatto vada «molto ridimensionato nella sua portata offensiva»[19]. A tale conclusione si perviene «sulla scorta delle dichiarazioni rese dall’indagata (a tenore delle quali ella avrebbe operato un cauto avvicinamento alla banchina portuale) e da quanto emergente dalla visione del video in atti»[20].

Alla luce di questi elementi il reato, sia pure sussistente anche sotto il profilo soggettivo – l’avere posto in essere una manovra pericolosa senz’altro «costituente il portato di una scelta volontaria seppure calcolata» –, «deve ritenersi scriminato ai sensi dell’art. 51 del codice penale per avere l’indagata agito nell’adempimento di un dovere»[21].

Dovere che, viene ribadito, consiste nell’attività di salvataggio in mare intesa come adempimento degli obblighi derivanti dal complesso quadro normativo di cui sopra. E ancora: l’eventuale violazione dell’art. 11, c. 1 ter, testo unico immigrazione (come introdotto dal c.d. decreto sicurezza bis) non fa venire meno «l’inderogabile disposto di cui all’art. 10 ter del d.lgs. 286/98 avente ad oggetto l’obbligo di assicurare il soccorso prima, e la conduzione presso gli appositi centri di assistenza, poi»[22].

Il “segmento finale” della condotta dell’indagata – integrativo del reato di resistenza – «costituisce il prescritto esito dell’adempimento del dovere di soccorso, il quale, – si badi bene – non si esaurisce nella mera presa a bordo dei naufraghi, ma nella loro conduzione fino al più volte citato porto sicuro»[23].

In conclusione: «il parametro normativo quale riferirsi, sia per individuare il contenuto del dovere, sia per verificare la legittimità dell’ordine impartito, deve essere ricercato nell’ordinamento giuridico italiano (v. Cassazione Penale, sez. V, sent. 11/3/2014, n. 39788) e quindi anche nelle norme internazionali che l’ordinamento giuridico incorpora»[24].

3. Una “giusta” disubbidienza.

Carola Rackete ha, perciò, agito legalmente, in ossequio a doveri inderogabili per il comandante di una nave che ha soccorso dei naufraghi.

Non si ravvisa qui un conflitto tra Legalità versus Giustizia[25]. O meglio: Carola Rackete ha disubbidito a degli “alt” perché essi erano in contrasto con i principi e gli obblighi assunti dallo Stato a livello internazionale. Si potrebbe affermare quindi, con un apparente ossimoro, che la sua disubbidienza è giusta.

Ed anche qui non è paradossale chiedersi – come ben ha spiegato Luca Masera con riferimento alla sentenza del G.U.P. di Trapani che ha assolto i c.d. “facinorosi”[26] – se possano ravvisarsi delle condotte penalmente rilevanti in capo ai soggetti che hanno posto i ripetuti “alt” all’ingresso e all’ancoraggio della “Sea Watch 3” risalendo nella catena di comando; ordini questi derivanti tuttavia dalla menzionata direttiva interministeriale che ha costituito la base di tutta l’azione di contrasto alla nave[27] e che per il Giudice per le indagini preliminari di Agrigento va disapplicata, perché – aggiunge chi scrive – illegittima.

Carola Rackete ha disubbidito a degli “alt” perché essi erano in contrasto con i principi e gli obblighi assunti dallo Stato a livello internazionale. Si potrebbe affermare quindi, con un apparente ossimoro, che la sua disubbidienza è giusta.

Se tali profili andrebbero meglio esplorati, sicuramente può affermarsi che la lettura di tutta la vicenda fatta propria dal Tribunale di Agrigento (che fa prevalere le fonti sovranazionali sul decreto sicurezza bis) è “costituzionalmente orientata”, perché – a volere ragionare diversamente – le norme introdotte da detto decreto avrebbero potuto integrare questioni di legittimità costituzionale all’apparenza rilevanti e non manifestamente infondate.

4. La netta pronuncia in sede penale e le “maglie strette” del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio e della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle condizioni dei naufraghi in sede di richiesta di misure provvisorie.

Va detto che nel caso in esame è il giudice penale a fare chiarezza perché le istanze in via cautelare rivolte dalla O.n.g. al T.a.r. Lazio e alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sia pure su differenti (ma assai rilevanti) profili, non hanno trovato accoglimento. Sostanzialmente per una interpretazione molto restrittiva che sia il Tribunale Amministrativo sia la Corte Edu danno delle misure provvisorie e cautelari di loro competenza. Per il T.a.r., al quale veniva richiesta una c.d. misura cautelare presidenziale ante causam, non si ravvisano ragioni di eccezionale gravità tali da giustificare la sospensiva dopo che i soggetti vulnerabili erano già stati sbarcati[28]. La Corte Edu, come nel caso dello scorso gennaio e sempre su ricorso di Sea Watch[29], a fronte della lamentata violazione degli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della convenzione, non ordina al Governo di autorizzare l’ingresso attestandosi sulla richiesta alle autorità italiane di continuare a fornire assistenza di carattere umanitario, «nel quadro di un consolidato orientamento restrittivo in materia di misure provvisorie, le quali vengono concesse soltanto a fronte di un imminente rischio di danno irreparabile […]»[30]; rischio nella specie non ravvisato – erroneamente, a parere di chi scrive –.

5. Il Garante, gli avvocati penalisti e i professori di diritto internazionale.

Nel vorticoso svilupparsi degli eventi vanno segnalate delle autorevoli prese di posizione – alcune di esse a vicenda in corso –, che a differenti livelli hanno evidenziato le forti torsioni a cui è stato sottoposto lo stato di diritto nel caso in questione.

Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma un esposto al fine di verificare «se lo Stato italiano, attraverso le sue Autorità competenti, stia integrando una violazione dei diritti delle persone trattenute a bordo della nave e se essa configuri fattispecie penalmente rilevanti»[31].

La Camera Penale di Milano “Giandomenico Pisapia”, il 27 giugno scorso, si è rivolta al Presidente della Repubblica con un appello che stigmatizza molto duramente i toni e le affermazioni di membri di Governo e di Istituzioni che sono giunti «a sollecitare persino un’incursione di tipo militare per il respingimento dei migranti della nave olandese che dovrebbe, poi, essere affondata ed il suo comandante imprigionato e condannato ad una lunga detenzione per i suoi presunti crimini. Ma non c’è nessun crimine da perseguire, anzi vi sono crimini contro i diritti degli ultimi ed il buon senso da scongiurare»[32].

Non c’è nessun crimine da perseguire, anzi vi sono crimini contro i diritti degli ultimi ed il buon senso da scongiurare

Missiva del Consiglio Direttivo della Camera Penale di Milano del 27 giugno 2019 al Presidente della Repubblica Mattarella

Da ultimo si segnala una lettera di 21 autorevoli professori di diritto internazionale sul Corriere della Sera on line sul caso “Sea Watch 3” in risposta a un’intervista a un consulente legale del Ministero dell’Interno, nella quale si ribadisce che nei porti ciascuno Stato esercita la propria sovranità ma nel rispetto del diritto internazionale. Per gli studiosi, l’art. 3.1.9. della Convenzione SAR, emendata nel 2004, «obbliga gli Stati a cooperare per consentire lo sbarco delle persone in pericolo in un porto sicuro […]»; nonché non si può affermare (come fa il consulente ministeriale) «che le convenzioni SOLAS del 1974 e SAR del 1979 non riguardino i migranti, visto che esse non prevedono alcuna forma di discriminazione tra le persone in pericolo. Tutti coloro che sono soccorsi in mare vanno qualificati come naufraghi ed hanno il diritto di essere sbarcati in un luogo sicuro, a prescindere dal fatto che abbiano o meno l’intenzione di migrare, com’è attestato, inequivocabilmente, anche dalla risoluzione A.920(22) dell’Assemblea dell’IMO […]»[33].

6. Sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

In ordine all’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per la quale la Procura di Agrigento procede separatamente nei confronti dell’indagata, bisognerà attendere il prosieguo delle indagini.

Tuttavia va rimarcato come lo stesso Procuratore Capo di Agrigento Luigi Patronaggio – sentito lo scorso 2 luglio alla Camera in Commissione Antimafia – abbia escluso, più in generale, contatti preventivi tra trafficanti libici e membri delle varie O.n.g.[34].

La contro-prova è che nessuna delle indagini avviate dalle procure siciliane nei confronti di membri delle O.n.g. si è conclusa con una sentenza di condanna. Da ultimo è lo stesso Procuratore capo di Catania Zuccaro ad avere richiesto l’archiviazione sull’organizzazione spagnola “Open Arms”[35].

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7. Sull’allontanamento di Carola Rackete.

Dell’annunciato provvedimento di allontanamento della cittadina europea (di nazionalità tedesca) Carola Rackete – “preteso” dal Ministro dell’Interno (che può disporlo solo per motivi di sicurezza nazionale) e che sarebbe stato adottato dal Prefetto – al momento non si ha notizia.

Basti qui ricordare che l’allontanamento del cittadino europeo è previsto dalla normativa euro-unitaria solo in casi eccezionali dovuti a ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza (come deroga al principio della libera circolazione delle persone) e che in Italia è disciplinato dal d.lgs. 30/2007[36]. Secondo detta normativa un tale provvedimento (nelle sue varie declinazioni possibili) si deve fondare su una minaccia attuale e sufficientemente grave posta in essere dal cittadino europeo all’ordine o alla sicurezza pubblici del nostro Paese. Nel caso della Rackete è evidente che una motivazione in tal senso sarebbe antitetica con la pregnante valutazione della sua condotta già operata dalla magistratura penale e che comunque dovrebbe superare il vaglio delle autorità giudiziarie (T.a.r. o Giudice ordinario – Sezione specializzata immigrazione) preposte al controllo di un tale delicato atto incidente sul diritto soggettivo alla libera circolazione del cittadino europeo.

8. Conclusioni.

Dalla complessa vicenda in commento si possono ricavare alcune considerazioni.

L’ordinamento offre all’interprete una varietà di strumenti di natura internazionale, costituzionale e interna per tutelare i diritti dei naufraghi e di coloro che procedono al loro soccorso. Il diritto internazionale consuetudinario e le norme contenute nei trattati hanno fatto ingresso nel nostro ordinamento attraverso la Costituzione e, oggi, sono sempre di più il faro che guida la magistratura alle prese con i processi di immigrazione; processi nei quali è sempre in gioco il tema del rispetto dei diritti umani di naufraghi, profughi, migranti.

Come ben spiega Stefano Rodotà con le parole di Norberto Bobbio. «oggi il concetto stesso di democrazia è inscindibile da quello dei diritti dell’uomo». E ancora: «[…] quando i giudici contribuiscono ad assicurare l’effettività di questi diritti, non siamo di fronte a forme di neutralizzazione della politica, ma al mantenimento delle condizioni di base della democrazia»[37].

La politica ha però un grande compito, che sia all’altezza dei tempi, ovvero quello di individuare soluzioni condivise sul piano europeo che siano rispettose del diritto internazionale e che tutelino i diritti fondamentali delle persone intrappolate in Libia.

Si discute, in varie sedi, di “corridoi umanitari” per evacuare i migranti ristretti nei campi di detenzione libici[38].

Da tempo, si evidenzia la necessità di superare la Convenzione di Dublino – la cui riforma è stata approvata nella scorsa legislatura dal Parlamento europeo –[39] per quanto riguarda i richiedenti protezione internazionale e di aprire canali di ingresso legali per i cittadini extra-europei che hanno necessità di migrare per ragioni lavorative o di altro genere[40].

La scelta dei porti chiusi, che non offre soluzioni a queste urgenze, è sconfessata dal diritto.

Oggi il concetto stesso di democrazia è inscindibile da quello dei diritti dell’uomo […]. Quando i giudici contribuiscono ad assicurare l’effettività di questi diritti, non siamo di fronte a forme di neutralizzazione della politica, ma al mantenimento delle condizioni di base della democrazia

S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2012, p. 63. La citazione di S. Rodotà è in N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, 1990

Bibliografia.

L. Masera, La legittima difesa dei migranti e l’illegittimità dei respingimenti verso la Libia (caso Vos Tahalassa), in Diritto penale contemporaneo, 24 giugno 2019;

M. Patarnello, Dissequestrata la nave Open Arms: soccorrere i migranti non è reato, in Questione Giustizia, 19 aprile 2018Redazione, I “facinorosi” assolti, in questa rivista, 6 giugno 2019;

A. Proto Pisani, G. Civinini, Per la chiarezza di idee sul problema flussi migratori, in Questione Giustizia, 26 luglio 2018;

Redazione, Obblighi e doveri, ruoli e persone, in questa rivista, 3 luglio 2019,G. Zagrebelsky, Diritto allo specchio, Einaudi, 2018;

S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2012, p. 63. La citazione di S. Rodotà è in N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, 1990;

N. Scavo, Migranti. Nessuna connessione tra Ong e scafisti. Archiviata l’indagine su Open Arms, in Avvenire.it, 15 maggio 2019

S. Zirulia, L’ordinanza del GIP di Agrigento sul caso Sea Watch (Carola Rackete), in Diritto penale contemporaneo, 3 luglio 2019;

S. Zirulia, F. Cancellaro, Caso Sea Watch: cosa ha detto e cosa non ha detto la Corte di Strasburgo nella decisione sulle misure provvisorie, in Diritto penale contemporaneo, 26 giugno 2019.

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[1] Trib. Agrigento, Uff. GIP, ord. 2 luglio 2019, giud. Vella; cfr. Redazione, Obblighi e doveri, ruoli e persone, in questa rivista, 3 luglio 2019, e S. Zirulia, L’ordinanza del GIP di Agrigento sul caso Sea Watch (Carola Rackete), in Diritto penale contemporaneo, 3 luglio 2019, entrambi con testo dell’ordinanza.

[2] Decreto di rigetto di sequestro preventivo, Trib. Ragusa, Uff. GIP, 16 aprile 2018; cfr. M. Patarnello, Dissequestrata la nave Open Arms: soccorrere i migranti non è reato, in Questione Giustizia, 19 aprile 2018, con testo del decreto.

[3] Trib. Trapani, sent. 23 maggio 2019, giud. Grillo; cfr. Redazione, I “facinorosi” assolti, in questa rivista, 6 giugno 2019; L. Masera, La legittima difesa dei migranti e l’illegittimità dei respingimenti verso la Libia (caso Vos Tahalassa), in Diritto penale contemporaneo, 24 giugno 2019.

[4] D.l. 14 giugno 2019, n. 53, recante Disposizioni urgenti in materia di ordine pubblico e sicurezza pubblica, in GU n. 138 del 14 giugno 2019.

[5] Cfr. il provvedimento del Ministero dell’Interno avente ad oggetto “Intervento di Sea Watch 3 del 15 maggio 2019 in area SAR libica. Direttiva ex art. 11 del d.lgs. n. 286/98 recante il Testo unico in materia di immigrazione.

[6] UNCLOS, Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, Montego Bay, 1982, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689.

[7] Art. 98 co. 1 – Obbligo di prestare soccorso –: «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:

a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;

b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;

c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo».

[8] Trib. Agrigento, Uff. GIP, cit., p. 9, che richiama integralmente il verbale di interrogatorio dell’arrestata.

[9] Ibidem.

[10] Convenzione Internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, firmata ad Amburgo il 27 aprile 1979, resa esecutiva in Italia con legge 3 aprile 1989, n. 147.

[11] Decreto cautelare ante causam T.A.R. Lazio, n. 04038/2019 Reg.prov.caut..; Corte europea dei diritti dell’uomo, Rackete et autres c. Italia (requete n. 32969/19).

[12] Trib. Agrigento, Uff. GIP, cit., p. 10.

[13] Ibidem.

[14] Art. 18 – Significato del termine “passaggio”: «1. Per “passaggio” si intende la navigazione nel mare territoriale allo scopo di: a) attraversarlo senza entrare nelle acque interne né fare scalo in una rada o installazione portuale situata al di fuori delle acque interne; b) dirigersi verso le acque interne o uscirne, oppure fare scalo in una rada o installazione portuale. 2. Il passaggio deve essere continuo e rapido. Il passaggio consente tuttavia la fermata e l’ancoraggio, ma soltanto se questi costituiscono eventi ordinari di navigazione o sono resi necessari da forza maggiore o da condizioni di difficoltà, oppure sono finalizzati a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo o in difficoltà».

[15] Art. 10 ter – Disposizioni per l’identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare –, articolo inserito nel d.lgs. 286/98, recante il Testo unico in materia di immigrazione, dall’art. 17 del d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, (c.d. Minniti-Orlando) convertito, con modificazioni, nella l.13 aprile 2017, n. 46.

[16] Trib. Agrigento, Uff. GIP, cit., p.   11.

[17] Ai sensi dell’art. 1 del decreto sicurezza bis, infatti, «1. All’articolo 11 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente: “1-ter. Il Ministro dell’interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento di cui al comma 1-bis e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, lettera g), limitatamente  alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Il provvedimento è adottato di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente del Consiglio dei ministri”».

[18] Corte cost., sent. n. 35/2000 (cfr. il punto 4 del considerato in diritto).

[19]  Trib. Agrigento, Uff. GIP, cit., p. 11.

[20] Ibidem.

[21] Ibidem.

[22] Idem, p. 12.

[23] Ibidem.

[24] Ibidem.

[25] Tra i tanti, v. G. Zagrebelsky, Diritto allo specchio, Einaudi, 2018, pp. 409 ss.

[26] Cfr. nota 3.

[27] Cfr. nota 5.

[28] Cfr. nota 11.

[29] Cfr. l’articolo di stampa Corte Strasburgo: “Assistenza a Sea Watch ma non sbarco”, in Adnkronos, 29 gennaio 2019.

[30] Cfr. S. Zirulia, F. Cancellaro, Caso Sea Watch: cosa ha detto e cosa non ha detto la Corte di Strasburgo nella decisione sulle misure provvisorie, in Diritto penale contemporaneo, 26 giugno 2019.

[31] Cfr. il comunicato stampa Il Garante nazionale presenta esposto alla Procura di Roma su Sea Watch 3, pubblicato sul sito del Garante il 25 giugno 2019.

[32] Cfr. il testo della missiva del Consiglio Direttivo della Camera Penale di Milano del 27 giugno 2019 al Presidente della Repubblica Mattarella pubblicato sul sito della Camera Penale di Milano “Giandomenico Pisapia”.

[33] Cfr. Ventuno giuristi: «I naufraghi hanno diritto all’approdo», in Corriere della Sera on line, 4 luglio 2019.

[34] Cfr. Antimafia, audizione procuratore Patronaggio – Martedì alle 20.15 diretta webtv, pubblicato sul sito della Camera il 2 luglio 2019.

[35] N. Scavo, Migranti. Nessuna connessione tra Ong e scafisti. Archiviata l’indagine su Open Arms, in Avvenire.it, 15 maggio 2019.

[36] D.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa la diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[37] S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2012, p. 63. La citazione di S. Rodotà è in N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, 1990.

[38] Si veda in particolare L’iniziativa dei Corridoi Umanitari (CU), promossa dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), insieme alla Tavola Valdese e alla Comunità di Sant’Egidio, di cui è data notizia sul sito del progetto Mediterranean Hope.

[39] Cfr. Con la riforma del Regolamento Dublino approvato dalla Commissione LIBE del Parlamento UE profondo cambio di paradigma, in Asgi.it, 24 ottobre 2017.

[40] Tra i vari contributi, cfr. A. Proto Pisani, G. Civinini, Per la chiarezza di idee sul problema flussi migratori, in Questione Giustizia, 26 luglio 2018.

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