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Fascicolo 3/2021

Per scaricare i provvedimenti in commento, clicca sui link seguenti:

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Sul dolore non si sono mai sbagliati,
gli Antichi Maestri: quanto ne capivano bene la posizione umana;
come avviene mentre qualcun altro mangia o apre una finestra o se ne va a zonzo spensierato[1]

 

 

Il titolo e l’epigrafe di questo scritto sono tratti da un volume di vent’anni fa[2], pubblicato poco più tardi in Italia. Analizzando il tema grande del dolore e del diniego, l’Autore descrive i tanti diversi modi di chiudere gli occhi, abbassare lo sguardo, far finta di niente, voltarsi dall’altra parte, alzare le spalle, mettere la testa sotto la sabbia, rifiutandosi di guardare in faccia la realtà della sofferenza nostra e altrui.

Partendo da questa premessa, analizziamo qui due provvedimenti[3], diversi e distanti tra loro, ma accomunati da una (così ci pare) incapacità di tener conto dell’altro da sé, dei suoi diritti e bisogni, facendo prevalere regole (errate) sui principi.

Analizziamo qui due provvedimenti, diversi e distanti tra loro, ma accomunati da una (così ci pare) incapacità di tener conto dell’altro da sé, dei suoi diritti e bisogni, facendo prevalere regole (errate) sui principi

Nell’ordine.

 

1. Con la sentenza n. 3780/2021 le Sezioni Unite hanno respinto il ricorso del ricorrente, all’epoca dei fatti magistrato di sorveglianza di Brescia, confermando il provvedimento disciplinare della censura emesso nei suoi confronti dalla Sezione disciplinare del CSM con sentenza n. 88/2020, depositata il 22 luglio 2020.

Stante quanto disposto nella sentenza citata, ai sensi dell’art. 52 del codice in materia di protezione dei dati personali, è omessa l’indicazione della generalità e degli altri dati identificativi dei soggetti coinvolti.

Il magistrato di sorveglianza, avendo ricevuto in data 4 maggio 2012 da una detenuta domiciliare istanza di autorizzazione ad allontanarsi dall’abitazione per sottoporsi ad un intervento di interruzione volontaria di gravidanza, programmato per il successivo 9 maggio, respingeva la richiesta con provvedimento, adottato il giorno prima, del seguente tenore: «non ravvisandosi i presupposti di cui all’art. 284, comma 3, c.p.p., richiamato dall’art.47 ter dell’Ordinamento penitenziario».

Come si legge in sentenza, «secondo il capo di incolpazione, tale motivazione sarebbe stata fondata su una interpretazione dell’art. 284, comma 3, c.p.p. intenzionalmente e palesemente in violazione di legge, strumentalizzata al fine di impedire all’istante di eseguire il programmato intervento che lo stesso riteneva non praticabile perché contrario ai suoi principi religiosi, così come reso palese dal successivo provvedimento del 22 maggio, adottato su nuova istanza della detenuta, con il quale il dott… rimetteva il fascicolo alla Presidente della Sezione con la seguente motivazione: […] ritenendo questo magistrato di astenersi dall’emissione del richiesto provvedimento per ragioni di coscienza e ritenendo che il diritto all’obiezione di coscienza debba essere riconosciuto anche agli appartenenti all’ordine giudiziario (stante la particolare ristrettezza dei tempi non è possibile sollevare questione di legittimità costituzionale)»[4].

Per questi fatti il magistrato è stato incolpato dell’illecito disciplinare di cui agli artt.1, comma 1, e 2, comma 1, lettere a) e g) del d.lgs. n. 109 del 2006.

A seguito dei fatti e delle decisioni assunte dal magistrato la parte interessata si vedeva costretta a rivolgersi a un difensore, a spostare la prenotazione dell’operazione al successivo 23 maggio (dunque in data assai prossima alla scadenza, indicata nel 2 giugno 2012, dei novanta giorni entro i quali poter praticare l’intervento), così determinandosi una violazione del suo diritto alla salute, costituzionalmente presidiato dall’art. 32 Cost.

Riqualificato l’illecito disciplinare per ciò che concerne l’addebito di cui al citato art. 2) ai sensi della lett. l (id est l’emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla legge), la Sezione disciplinare riteneva che il provvedimento dell’8 maggio non facesse in effetti alcun riferimento a deficit probatori rispetto alla richiesta avanzata, a differenza di quanto poi dedotto dall’incolpato, che con esso si era limitato ad escludere apoditticamente che le documentate esigenze rientrassero tra quelle «indispensabili esigenze di vita» che la norma processuale evocata contempla a tal fine. Sul punto, le stesse SSUU evidenziano come in effetti esse concernano l’esercizio e la tutela dei diritti fondamentali della persona, «tra cui è compresa la libertà di scelta e di autodeterminazione della donna di interrompere volontariamente la gravidanza al ricorrere delle condizioni previste dalla legge n. 194 del 1978 a tutela della sua salute anche psichica», trattandosi «di un diritto personalissimo, che non tollera limitazioni a causa dello stato di detenzione».

«Quanto all’adozione del secondo provvedimento (del 22 maggio), la Sezione disciplinare del CSM ha ritenuto che esso, pur se fondato su una impropria evocazione dell’obiezione di coscienza, valesse almeno [corsivo nostro] come richiesta di astensione implicitamente accolta dal capo dell’Ufficio; pertanto ne ha escluso la specifica rilevanza disciplinare»[5].

Nei plurimi motivi dedotti a sua difesa, l’incolpato aveva tra l’altro sostenuto che a seguito del primo provvedimento adottato la parte avrebbe «perfettamente compreso le ragioni e il motivo di rigetto della sua richiesta», adeguandosi di conseguenza, avendo «poi provveduto ad assestare il tiro, documentando i presupposti della richiesta»[6].

Al di là dell’impropria terminologia utilizzata (quasi si trattasse di una strategia processuale – anch’essa peraltro non riducibile a metodologia venatoria – piuttosto che della richiesta di esercizio di un diritto personalissimo), non si comprende la ragione per la quale, colmato il (riferito, ma inesistente) deficit probatorio il magistrato non abbia poi provveduto nei termini richiesti il 22 maggio, rimettendo il fascicolo alla Presidente della Sezione.

Prima di passare a questo secondo aspetto, che ci pare essere il più grave e significativo, occorre convenire con le Sezioni Unite, laddove evidenziano che la motivazione (sic!) del primo provvedimento, in ordine alla non ricorrenza dei presupposti di legge per l’allontanamento da casa, avrebbe potuto indurre l’istante a desistere dal suo sofferto proposito, e che comunque una cosa è ritenere in astratto l’assenza dei presupposti di legge (così come indicava il primo provvedimento reiettivo), altro è ritenere un’assenza in concreto della prova a sostegno dell’istanza presentata dalla detenuta.

Ancora, il massimo organo nomofilattico evidenzia come «la mancanza della motivazione assurge a illecito disciplinare non per le sue conseguenze processuali, ma in quanto lesiva di un valore fondamentale della giurisdizione, la cui legittimazione è strettamente connessa alla trasparenza delle decisioni e alla conoscibilità delle ragioni che hanno condotto il giudice ad assumere una determinata decisione. Attraverso la motivazione è possibile verificare se il giudice abbia applicato la legge in conformità all’obbligo esclusivo di soggezione ad essa, posto dall’art. 101, secondo comma, Cost.»[7].

Il massimo organo nomofilattico evidenzia come «la mancanza della motivazione assurge a illecito disciplinare non per le sue conseguenze processuali, ma in quanto lesiva di un valore fondamentale della giurisdizione, la cui legittimazione è strettamente connessa alla trasparenza delle decisioni e alla conoscibilità delle ragioni che hanno condotto il giudice ad assumere una determinata decisione»

Si parva licet, l’assunto de quo assume ancor più valore nella temperie che la magistratura sta attraversando in questo momento.

Appare dunque opportuno il passaggio motivazionale con il quale, respingendo il motivo che contestava la qualifica di illegittimità del provvedimento emesso, la Sezioni Unite confermano la censura per «un provvedimento assolutamente privo di motivazione, laddove la motivazione era richiesta dalla legge, così allontanandosi dal modello costituzionale di giudice e di giustizia»[8].

In modo davvero convincente la Corte supera poi un articolato motivo di censura proposto in ordine all’asserita mancata indicazione dello specifico dovere violato dal magistrato, affermando che nel caso di specie il rinvio del ritenuto illecito di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) all’art. 1 del citato decreto legislativo debba intendersi al «rispetto della dignità della persona nell’esercizio delle sue funzioni». Succinta, ma impeccabile, la motivazione addotta[9] sulla necessaria compresenza dell’ingiusto danno provocato, in uno alla violazione del dovere, per la sussistenza dell’illecito. Più dettagliata, e nuovamente condivisibile, la motivazione addotta[10] in ordine all’impossibilità di applicare ai fatti l’esimente di cui all’art. 3 bis del decreto legislativo, concernente i fatti di scarsa rilevanza, ostativi all’applicazione di sanzioni disciplinari quando l’offesa non sia apprezzabile in termini di gravità e non abbia comportato un’effettiva lesione dell’immagine pubblica del magistrato.

Molto meno convincente, «data la complessità delle questioni trattate e la particolarità del caso»[11], la compensazione delle spese.

Infine; pur non conoscendo la motivazione assunta nel dettaglio sul punto (il che impedisce una diffusa articolazione della critica), non possiamo però esimerci dal prender le distanze dalla decisione adottata dalla Sezione disciplinare del CSM, laddove ha escluso specifica rilevanza a riguardo del secondo provvedimento del magistrato il 22 maggio 2012, ritenendo che esso, «pur se fondato su una impropria evocazione dell’obiezione di coscienza, valga almeno come richiesta di astensione implicitamente accolta dal capo dell’Ufficio».

Non è davvero difficile comprendere come in realtà la seconda decisione assumesse carattere ben più grave della prima, e ciò per una serie di ragioni qui di seguito indicate.

In primo luogo, il provvedimento del 22 maggio rende assolutamente evidente quanto fosse pretestuoso il precedente rigetto, asseritamente appoggiato su un deficit probatorio, atteso che la documentazione (come detto, già soddisfatta con l’istanza primigenia) dell’intervento prenotato non ha affatto consentito l’accoglimento dell’istanza, a dimostrazione, appunto, di quanto fosse preconcetta la posizione ideologica del magistrato e quanto lesiva e incurante delle prerogative e dei diritti dell’interessata, ancor più meritevoli di apprezzamento, tenuto conto della limitazione della sua libertà personale.

In secondo luogo, risulta singolare adottare la censura disciplinare per un provvedimento definito grave ed abnorme (quello del 9 maggio), per l’apodittica esclusione dei presupposti di legge per la richiesta autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio, per poi decidere diversamente in presenza di un provvedimento come quello del 22 maggio, anch’esso totalmente inconferente rispetto ai presupposti di legge che potessero legittimarlo, tanto da doverne ricercare la ratio in un’implicita «richiesta di astensione».

Ed infatti, come si dirà meglio in questa rivista con altro contributo, così facendo la Sezione disciplinare del CSM ha impropriamente ritenuto sussistere l’ipotesi di cui all’art. 36, comma 1, lett. h), c.p.p., che prevede «l’obbligo di astenersi» per il giudice «se esistono altre gravi ragioni di convenienza», che ovviamente devono essere esplicitate espressamente e non riguardare solo l’interesse personale del magistrato.

La decisione sul punto, insomma, ci pare in aperto contrasto con la premessa, laddove si è affermato il dovere del magistrato di motivare oltre la mera sussistenza dei presupposti di legge (che in questo caso mancano del tutto) e di rispettare la dignità della persona.

La decisione […] ci pare in aperto contrasto con la premessa, laddove si è affermato il dovere del magistrato di motivare oltre la mera sussistenza dei presupposti di legge (che in questo caso mancano del tutto) e di rispettare la dignità della persona

Di più; la Sezione disciplinare ha del tutto trascurato di considerare come la prospettata evocazione di una possibile questione di legittimità costituzionale – che ovviamente abbisogna di un giudice che la sollevi – non consenta affatto di astenersi dal decidere. Così facendo, in aperto dispregio dell’art. 9 della l. n. 194/1978, che disciplina l’obiezione di coscienza, sollevata con preventiva dichiarazione, per il solo personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, si è consentito il mancato esercizio di un diritto e si è permesso ad un giudice di violare la legge, siccome in disaccordo con essa.

Sul punto, sia consentita un’ultima annotazione: trattandosi di ricorso proposto dall’interessato, è ovvio che la risposta delle SSUU sia stata presa nel perimetro del devoluto, e non potesse dunque spingersi anche a rivalutare disciplinarmente il provvedimento del 22 maggio; e tuttavia, è noto come la Corte non manchi di prendere posizione (a volte con obiter dicta, altre con vere e proprie argomentazioni motivazionali) quando ritiene di particolare interesse la questione sollevata, sebbene non necessaria la specifica statuizione sul punto[12].

 

2. Altra storia.

Con l’ordinanza n. 2382/2021 il magistrato di sorveglianza di Roma ha disposto nei confronti di un detenuto, «ritenuto elemento di spicco dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra», sottoposto al regime differenziato (da 24 anni), il trattenimento, ex art. 18 ter o.p., di un modulo per il testamento biologico inviatogli dalla famiglia per le sue disposizioni anticipate di trattamento, ex l. n. 219/2017.

Com’è noto, nei confronti dei detenuti al 41 bis o.p. vige la sottoposizione al visto di censura della corrispondenza, come previsto dal comma 2 quater, lett. e) della disposizione citata.

Al dunque, in disparte ogni altra valutazione sull’opportunità investigativa di ricorso allo strumento adottato rispetto a quello appena richiamato, non è dato comprendere come possa giustificarsi il trattenimento in entrata di un modulo dell’Associazione Luca Coscioni, in ragione del fatto che «a fronte dello spessore criminale» dell’interessato questi «potrebbe veicolare messaggi illeciti […] attraverso eventuali interpolazioni del testo»[13].

Di più; non si comprende come possa definirsi «efficienza dell’attività amministrativa» (comunque dichiarandola soccombente con le asserite «esigenze poste alla base della sicurezza interna ed esterna») la tutela (a tacer d’altro) della salute, della dignità e dell’autodeterminazione delle persone detenute, posto che «la dignità non si acquista per meriti, e non si perde per demeriti»[14].

Con l’ordinanza n. 2382/2021 il magistrato di sorveglianza di Roma ha disposto nei confronti di un detenuto, «ritenuto elemento di spicco dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra», […] il trattenimento, ex art. 18 ter o.p., di un modulo per il testamento biologico inviatogli dalla famiglia per le sue disposizioni anticipate di trattamento

«Ogni persona», afferma più volte la legge n. 219, ha infatti diritto al rispetto a che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato dell’interessato, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. Tra questi, non vi è il caso della detenzione. «Ogni struttura sanitaria pubblica o privata» (per il carcere, valgono sul punto le disposizioni di cui al DPCM del 2008)[15] deve infatti garantire l’attuazione della legge.

Si tratta dunque di un provvedimento davvero incomprensibile, laddove adotta una sorta di censura preventiva, il trattenimento di un modulo in bianco per timore che venisse interpolato, senza peraltro tener conto che eventuali indicazioni criminose sarebbero sempre, ed appunto, sottoposte a censura prima dell’invio all’esterno.

 

3. Si è scelto di leggere insieme questi due diversi provvedimenti aderendo all’opinione di chi ha ritenuto che «il mondo dell’esperienza quotidiana sia un mondo morale, e faremmo meglio a studiarne le regole interne, le massime, le convenzioni e gli ideali, invece di distaccarcene alla ricerca di un punto d’osservazione universale e trascendente»[16].

Il mondo dell’esperienza quotidiana [è] un mondo morale, e faremmo meglio a studiarne le regole interne, le massime, le convenzioni e gli ideali, invece di distaccarcene alla ricerca di un punto d’osservazione universale e trascendente

Con le parole del filosofo statunitense, «il critico deve emergere dalla Società, ma restandone lontano all’interno, moralmente coinvolto, e tuttavia in grado di delimitare il confine, di dire no», giacché «la protesta comune si limita spesso a un brontolio […] il critico, invece, parla a voce alta, a dispetto dei poteri costituiti». Solo che, per evitare il rischio di fare l’eroe, che contesta i potenti e gli indifferenti, o quello speculare e sotteso alla cultura liberale, che assorbe la critica sbattendola contro una parete di gomma, appare necessario e più efficace chiarire i valori che sono alla base del pensiero critico, ponendo attenzione agli interessi delle persone cui si rivolge.

Solo che, per evitare il rischio di fare l’eroe, che contesta i potenti e gli indifferenti, o quello speculare e sotteso alla cultura liberale, che assorbe la critica sbattendola contro una parete di gomma, appare necessario e più efficace chiarire i valori che sono alla base del pensiero critico, ponendo attenzione agli interessi delle persone cui si rivolge

Senza alcuna ambizione intellettuale, si è qui richiamato il pensiero di uno studioso che anni dopo è rientrato nella “caverna” sostenendo la tesi della “supreme emergency” che consent(irebbe) la tortura in condizione di necessità, pur essendosi sempre prefisso il compito di esercitare la pratica della critica più che lo svolgimento del suo messaggio teorico[17].

Qui sta a cuore l’Uomo detenuto, in quanto Uomo; con tutti i suoi diritti, a prescindere dal reato commesso.

 

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[1] W.H. Auden, Musée des Beaux Arts.

[2] S. Cohen, Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea, Carocci, 2002.

[3] Cass. Civ., SSUU, 9-15 febbraio 2021, n. 3780; Magistrato Sorveglianza Roma, ord. 8 febbraio 2021, n. 2382.

[4] P. 2 della sentenza citata.

[5] Idem, p. 5.

[6] Idem, p. 7.

[7] Idem, p. 11.

[8] Idem, p. 15.

[9] Idem, p. 17.

[10] Idem, pp. 18-20.

[11] Idem, p. 20.

[12] Ex multis, cfr. Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187, con nota di C. Cupelli, La legge Gelli-Bianco e il primo vaglio della Cassazione: linee guida si ma con giudizio, in Diritto penale contemporaneo, n. 6/2017, pp. 280 ss. Come si evince dalla lettura della sentenza, nel caso di specie il giudice di legittimità aveva ritenuto «di ordine dirimente» le considerazioni svolte in ordine al primo motivo di ricorso, «che conducono all’annullamento della sentenza impugnata», salvo poi ritenere di non poter fare a meno (per le successive quindici pagine) «in vista delle rinnovate valutazioni demandate al Tribunale, di prendere in esame alcune ulteriori questioni problematiche agitate nel ricorso, alle quali il giudice dovrà prestare nuovamente attenzione» (p. 7).

[13] Cfr. le note di M. Brucale, Al 41 bis è vietato anche scegliere come morire, in Il Riformista, 23 febbraio 2021.

[14] G. Silvestri, La dignità umana dentro le mura del carcere (Intervento del Presidente Silvestri al Convegno “Il senso della pena. Ad un anno dalla sentenza Torregiani della CEDU”. Roma, Carcere di Rebibbia, 28 maggio 2014).

[15] Recante Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, 1 aprile 2008.

[16] M. Walzer, L’intellettuale militante. Critica sociale e impegno politico nel Novecento, Il Mulino, 1991, pp. 9-10.

[17] Sono molto grato a Stefania Amato, compagna di tante riflessioni sul tema della tortura, per avermi ricordato la tematica della ticking bomb, presa in considerazione, tra gli altri, anche da Michael Walzer. Si è scelto di richiamare il pensiero del filosofo americano per evidenziare il rischio costante di perdersi nella massa indistinta dei filosofi sdegnati o di diventare apologeti del main stream. Sul tema, per un rigoroso esame filosofico dell’argomento, cfr. D. Di Cesare, Tortura, Bollati Boringhieri, 2016.

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