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23.03.2021
Ermanno Franchetto

For intelligence you need a large cage

Issue 3/2021

We publish here, courtesy of the Publisher, the present article by Ermanno Franchetto, originally published on the Review G.O. Informazioni, 3, 10, October 1975, p. 8.

The document, considered of interest to DPU readers by reasons of the extreme topicality of its contents, was selected within the archival heritage concerning the history of the Olivetti Company (Archivio Storico Olivetti), collected, edited and enhanced by Associazione Archivio Storico Olivetti, which we thank for the precious collaboration.

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Algernon era un povero topo cavia come tanti altri, fino al giorno in cui i medici del laboratorio dove lavorava suo malgrado, con l’iniezione di sostanze chimiche, lo fecero diventare di una intelligenza sbalorditiva, di gran lunga superiore alla media degli altri suoi congeneri. La storia di Algernon appartiene alla fantascienza, ma nei laboratori reali dove si indaga sui fenomeni della vita e del comportamento si è scoperto come effettivamente sia possibile potenziare l’intelligenza. Il professor Rosenzweig neuropsicologo dell’università di Berkeley (California) lo ha sperimentato su topi fratelli, aventi all’incirca la stessa intelligenza genetica. Durante lo svezzamento gli animali sono stati sistemati in tre tipi di ambienti diversi: normale, arricchito, impoverito. Nell’ambiente normale i topi vivevano insieme in una gabbia di media grandezza, con acqua e nutrimento in permanenza. Nell’ambiente arricchito la gabbia era più grande, ed i topi avevano a disposizione ogni sorta di oggetti con i quali giocare. Nell’ambiente impoverito infine un topo viveva da solo in una piccola gabbia dalle pareti schermate perché non potesse vedere cosa accadeva nelle gabbie vicine.

Dopo un mese i topi sono stati sottoposti a prove di percorso nel labirinto e a prove di «discriminazione» visiva. I topi allevati nell’ambiente arricchito sono stati più svelti, e hanno appreso più rapidamente, a dimostrazione dell’influenza ambientale sullo sviluppo dell’intelligenza. Alla fine della prova tutti gli animali sono stati uccisi per esaminare anatomicamente il loro cervello. Nei topi «arricchiti», la corteccia cerebrale, sede delle attività intellettive superiori, era del 6 per cento superiore a quella del topi impoveriti, ed il sistema dei neuroni era divenuto molto più complesso (i neuroni sono le unità fondamentali del sistema nervoso, collegati gli uni agli altri con prolungamenti lungo i quali viaggiano le comunicazioni, con una velocità variabile tra i 60 e i 130 metri al secondo).

I topi allevati nell’ambiente arricchito sono stati più svelti, e hanno appreso più rapidamente, a dimostrazione dell’influenza ambientale sullo sviluppo dell’intelligenza

La rete nervosa nei topi arricchiti aveva quindi acquistato una maggiore complessità: gli animali, in una parola, erano diventati più «intelligenti». La grande scoperta fatta nel laboratorio è stata la capacità di riproduzione dei neuroni, mentre fino a qualche tempo fa si riteneva che il cervello fosse praticamente immutabile.

La conclusione – dopo una complessa serie di esperimenti – è che l’intelligenza è frutto di due influenze: genetica la prima, e ambientale la seconda. Ma non bastano una buona eredità ed un ambiente culturale ricco per lo sviluppo intellettuale. Occorre anche la partecipazione degli individui. Un altro esperimento dl Berkeley lo dimostra chiaramente. In una gabbia «arricchita» contenente una dozzina di topi sono state sistemate tre piccole gabbie contenenti un topo ciascuna. Questi topi solitari, chiamati topi osservatori, potevano così vedere, capire, sentire i topi della grande gabbia e partecipare da spettatori ai loro giochi. Dopo trenta giorni trascorsi in queste condizioni i topi della grande gabbia sono stati messi a confronto con quelli delle gabbie piccole, e si sono mostrati molto più svelti e «logici» nella prova del labirinto.

L’intelligenza è frutto di due influenze: genetica la prima, e ambientale la seconda. Ma non bastano una buona eredità ed un ambiente culturale ricco per lo sviluppo intellettuale. Occorre anche la partecipazione degli individui

Anche l’esame della corteccia cervicale ha rivelalo un consistente sviluppo – come era da prevedere – mentre la corteccia del topi osservatori non aveva registrato alcun mutamento. Si è così scoperto che il contatto diretto con gli oggetti è necessario per stimolare lo sviluppo dellintelligenza (e così i metodi educativi che propongono di imparare senza sforzo sono un’illusione: non si diventa pianisti assistendo a concerti, come non si diventa chirurghi guardando le trasmissioni mediche alla televisione).

L’idea che l’intelligenza sia, come la meteorologia, variabile di giorno in giorno non è nuova. Già nel 1780 l’anatomista italiano Michele Gaetano Malacarne aveva asserito che le modificazioni del cervello erano il risultato dell’acquisizione di una esperienza. A queste conclusioni era giunto dopo aver esaminato due cani, due pappagalli, due cardellini e due merli, ciascuna coppia proveniente dalla stessa covata. Malacarne addestrò un animale di ciascuna coppia, in seguito sezionò gli animali ed esaminò il loro cervello constatando che negli animali addestrati il cervelletto aveva sviluppato molte più circonvoluzioni. È il rapporto scientifico più antico che si conosca e, curiosamente, rassomiglia in più di un punto alle ricerche condotte nell’università di Berkeley.

Il topo però non è il soggetto ideale per le ricerche sullo sviluppo intellettivo. Infatti è l’unico animale il cui cervello sia in continua evoluzione. Anche da vecchio il topo non conosce il periodo senile, e muore in piena forma intellettiva.

L’uomo invece sarebbe un eccellente soggetto da esperimenti, perché il suo cervello raggiunge la maturazione verso i 15 anni, e dopo corre verso il naufragio. A 25 anni perde 10 mila neuroni al giorno, e a 40 anni più di 100 mila. Ma siccome possiede alla nascita più di 10 miliardi di neuroni, al momento della morte non è che il cranio sia svuotato come una noce di cocco.

Poche prove sono state compiute sull’uomo per verificare la capacità e la «plasticità» dei neuroni – e quindi la vitalità intellettiva. Alcune persone sono state munite di lenti prismatiche, che invertivano la destra con la sinistra. I primi otto giorni sono stati penosi, con vomiti frequenti per il senso di squilibrio provocato dal capovolto senso dell’orientamento.  Ma a partire dal 21 giorno i soggetti si erano abituati, grazie appunto al «recupero» dei neuroni. Infine una osservazione è venuta a sostenere i dati sperimentali. Si è constatato che gli indiani canadesi Cree percepivano le linee oblique meglio degli abitanti di Chicago. La ragione era perché i Cree, nati in un universo di tende coniche, erano da lunghi anni abituati a percepire le linee oblique, scarse invece tra gli abitanti di Chicago, immersi nelle verticali e orizzontali dei grattacieli.

L’uomo […] sarebbe un eccellente soggetto da esperimenti, perché il suo cervello raggiunge la maturazione verso i 15 anni, e dopo corre verso il naufragio. A 25 anni perde 10 mila neuroni al giorno, e a 40 anni più di 100 mila

Tutte le osservazioni e gli esperimenti hanno condotto a due considerazioni: il cervello non è costituito, come si è creduto finora, di zone con funzioni rigide (area visuale, olfattiva, ecc.) ma comprende invece un insieme di rette nervose che si compenetrano e possono all’occasione collaborare l’una con l’altra. Determinante può essere l’influenza dell’ambiente, che può esaltare o annullare addirittura il patrimonio genetico intellettuale. Questo, per l’uomo, costituisce evidentemente un pericolo, poiché il «lavaggio del cervello» non ha altro scopo che quello di sostituire al pensiero personale il contenuto di una ideologia.

Altro

A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

ISSN 2612-677X (website)
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