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Issue 4/2019

1. Nella seconda metà dell’ottocento, il Giudice della Corte Suprema USA Oliver Wendell Holmes scrisse che «ciò di cui vive il diritto non è la logica, ma l’esperienza»[1].

Secondo i sostenitori della teoria del cd. realismo giuridico, il processo attraverso il quale si formano le decisioni giudiziarie è influenzato da una serie di fattori, interni ed esterni alla mente del giudice, molti dei quali nulla c’entrano col pensiero razionale e con l’esercizio della logica.

«La giustizia è ciò che il giudice ha mangiato a colazione»[2]. La frase, attribuita a Jerome Frank, giudice federale della Corte d’appello statunitense, rappresenta la sintesi essenziale di questa corrente di pensiero.

Ciò di cui vive il diritto non è la logica, ma l’esperienza

Oliver Wendell Holmes

Nel 2011, lo studioso israeliano Shai Danziger, insieme ai colleghi Jonathan Levav e Liora Avnaim-Pesso, ha deciso di sottoporre a verifica empirica l’affermazione del Giudice Frank attraverso uno studio sperimentale i cui risultati sono confluiti in un articolo pubblicato quello stesso anno sulla rivista scientifica PNAS della National Academy of Sciences statunitense.

Si legge infatti nell’abstract dell’articolo:

«Le sentenze si basano esclusivamente sulla legge e sui fatti? Il formalismo giuridico afferma che i giudici applicano argomenti giuridici ai fatti del caso concreto in modo razionale, meccanico e deliberativo. Al contrario, i sostenitori del realismo giuridico ritengono che il processo decisionale del giudice non si riduca all’applicazione razionale delle regole di diritto e che anche i fattori psicologici, politici e sociali influenzino il contenuto delle sentenze. Abbiamo deciso di verificare la correttezza dell’espressione, tipica del realismo giuridico, secondo cui la giustizia è “ciò che il giudice ha mangiato a colazione” analizzando una serie di pronunce rese da giudici esperti. Abbiamo tenuto conto delle due pause giornaliere che i giudici si concedevano nel corso della sessione deliberativa. Abbiamo così rilevato che la percentuale di decisioni favorevoli al reo scendeva gradualmente dal 65% a quasi zero all’interno di ciascun segmento della giornata; subito dopo una pausa, la percentuale risaliva bruscamente a 65%. I nostri risultati suggeriscono che il processo decisionale dei giudici subisce l’influenza di variabili estranee, che non dovrebbero avere produrre effetto sul contenuto delle sentenze»[3].

 

2. Danziger ha preso in esame 1.112 udienze, aventi a oggetto la valutazione in ordine alla concessione della libertà condizionale, celebrate nell’arco di dieci mesi da otto giudici israeliani, tutti con oltre vent’anni di esperienza. I detenuti erano accusati di delitti di vario genere, dall’appropriazione indebita, al furto, alle lesioni, fino alle più gravi fattispecie di violenza sessuale e di omicidio.

1.112 udienze oggetto dell’osservazione sperimentale

Analizzando l’esito delle udienze – positivo, in caso di concessione del beneficio, o negativo, in caso contrario – gli studiosi hanno riscontrato l’esistenza di un legame tra il contenuto della decisione e il momento della giornata in cui questa veniva assunta: all’inizio di ogni giorno, e subito dopo i momenti di pausa, i giudici erano decisamente più propensi a concedere il beneficio di quanto non lo fossero negli altri momenti della giornata.

Il risultato dell’osservazione è rappresentato dagli Autori nel grafico sottostante, che riporta la percentuale di decisioni favorevoli su scala ordinale:

Rielaborazione della fig. 1, a p. 6890, dello studio in esame

Come si vede, la percentuale di decisioni favorevoli si assesta attorno al 65% (in corrispondenza dei cerchi sul grafico) all’inizio dell’udienza e subito dopo le pause (rappresentate dalle linee tratteggiate), per poi calare progressivamente, fino al successivo momento di break.

65% - la probabilità di ottenere una decisione favorevole subito dopo una pausa dall’udienza

Naturalmente, la maggiore o minore prossimità ai momenti di pausa della trattazione dell’udienza non è risultato essere l’unico elemento in grado di influenzare il verdetto dei giudici: l’osservazione empirica ha infatti consentito ai ricercatori di isolare una serie di ulteriori fattori – razionali, questa volta – che pare abbiano giocato un ruolo parimenti importante sull’esito dei giudizi: Danziger ha osservato, ad esempio, che ai soggetti recidivi, o a coloro che non avevano preso parte a programmi riabilitativi, veniva concessa di rado la libertà condizionale.

Resta però il fatto che, a parità di altre condizioni, i primi tre detenuti giudicati all’inizio di ciascuna sessione avevano probabilità molto superiori – fino a cinque volte! – di ottenere il beneficio rispetto alle tre posizioni trattate per ultime.

Tanto emerge dal grafico seguente[4]:

Rielaborazione della fig. 2.B, a p. 6890, dello studio in esame

3. Come si spiega questo fenomeno?

Secondo i ricercatori, «quella di rigettare la richiesta del detenuto è una decisione più facile» che, proprio per questo, i giudici sono più inclini ad assumere «quando sono esauriti mentalmente»[5].

In generale, infatti, la trattazione dell’udienza per la concessione del beneficio richiede tempi maggiori se il giudice decide di accogliere la richiesta del detenuto; lo stesso vale per il tempo necessario a redigere della sentenza, che nei casi di accoglimento impone uno sforzo argomentativo superiore rispetto ai casi di diniego del beneficio.

Quando sono chiamati a trattare un gran numero di casi, tutti sostanzialmente identici, uno dopo altro, i giudici «mostrano una maggiore tendenza a decidere in modo da preservare lo status quo»[6], che in questo caso di traduce nella decisione di rigettare la richiesta. Si tratta della decisione più semplice, mentalmente meno impegnativa.

Quella di rigettare la richiesta è la decisione più facile per i giudici, quando sono esauriti mentalmente

«Questa tendenza può essere vinta se il giudice si concede una pausa per consumare un pasto, il che è coerente con studi precedenti che un riposo breve […] influisce positivamente sulla ricostituzione delle risorse mentali. […] I nostri risultati indicano l’esistenza di variabili estranee che possono influenzare le decisioni giudiziarie [e che] l’applicazione della legge diviene indeterminata nel momento in cui si accerta che fattori giuridicamente irrilevanti – come il semplice concedersi un momento di break per mangiare qualcosa – possono portare un giudice a decidere in modo diverso casi che presentano caratteristiche analoghe»[7].

Peraltro, concludono i ricercatori, non c’è ragione di ritenere che il fenomeno in esame – l’esistenza, cioè, di fattori estranei in grado di incidere sull’assunzione delle decisioni – riguardi esclusivamente il ragionamento giudiziale: «in realtà, l’immagine caricaturale che fa coincidere la giustizia con «ciò che il giudice ha mangiato a colazione» potrebbe essere un’immagine appropriata per rappresentare il processo decisionale dell’umanità in generale»[8].

 

4. L’osservazione di Danziger e colleghi e la relativa spiegazione offerta dai ricercatori nell’articolo del 2011 non hanno tuttavia convinto tutti all’interno ella comunità scientifica.

Già all’indomani della pubblicazione dello studio di Danziger, infatti, sulla medesima rivista PNAS è comparsa una risposta di replica a firma di altri due studiosi, Keren Weinshall-Margel e John Shapard, i quali hanno rilevato che l’indagine condotta sui giudici israeliani non ha tenuto in considerazione una serie di circostanze che ben avrebbero potuto concorrere a determinare il risultato che Danziger ha attributo in via esclusiva alla fame e alla stanchezza dei giudici[9].

Riesaminando i dati dell’esperimento originale e integrandoli con l’osservazione di altri 227 casi successivi e con l’intervista a svariati procuratori, giudici e operatori giudiziari, Weinshall-Margel e Shapard hanno infatti isolato alcune «variabili cruciali»[10] del tutto trascurate da Danziger e colleghi, come la circostanza che il detenuto fosse assistito o meno da un difensore, che ciascun avvocato potesse scegliere, tra i propri assistiti, quale posizione dovesse essere trattata prima e quale dopo o, ancora, che i giudici cercassero di organizzare i tempi d’udienza prevedendo di decidere un certo numero di casi prima di ogni pausa.

Il non aver tenuto conto di questi elementi avrebbe minato la validità dei risultati ottenuti da Danziger: secondo i critici, infatti, «l’analisi […] non supporta la conclusione secondo cui le decisioni sulla libertà condizionale sarebbero influenzate da fattori giuridicamente irrilevanti»[11].

Danziger e colleghi, da parte loro, si sono fatti carico delle suddette critiche e hanno fornito una puntuale risposta con una lettera di risposta pubblicata, qualche mese dopo, ancora sulla rivista PNAS[12]. Dopo aver verificato nuovamente i dati, per tenere conto (questa volta) anche degli ulteriori fattori menzionati da Weinshall-Margel e Shapard, Danziger ha ottenuto gli stessi risultati dell’esperimento originale. Scrive infatti nella propria risposta che «la nuova analisi continua a indicare che le decisioni giudiziarie sono dovute, oltre che a considerazione di carattere legale, anche a fattori giuridicamente irrilevanti»[13].

 

5. Qualche anno dopo, lo studio di Danziger e colleghi è stato oggetto di nuove critiche: in una pubblicazione del 2016, lo studioso tedesco Andreas Glöckner, professore di psicologia cognitiva all’Università di Hagen, ha affermato che l’ipotesi formulata da Danziger per spiegare il fenomeno osservato – secondo cui il comportamento dei giudici israeliani sarebbe dovuto al loro maggiore o minore livello di stanchezza mentale – non trova conferma nei dati a disposizione, posto che anche un agente-modello perfettamente razionale, posto nelle stesse condizioni oggetto dell’analisi di Danziger, si sarebbe comportato esattamente come i giudici dell’esperimento[14].

Per giungere a questa conclusione, Glöckner ha rielaborato i medesimi dati utilizzati nello studio di Danziger partendo però da alcune assunzioni logiche, ossia che:

  • le decisioni favorevoli – la concessione del beneficio – richiedono mediamente più tempo di quelle sfavorevoli;
  • i giudici tendono a organizzare il proprio lavoro in modo da riuscire a trattare un certo numero di casi in ciascuna delle sessioni di cui si compone la giornata di udienza (e che sono scandite dalle singole pause).

Tenendo conto di queste assunzioni di partenza, Glöckner ha ottenuto un grafico del tutto simile a quello rappresentato da Danziger e colleghi.

 

6. Ancora, a distanza di un altro anno, lo studio di Danziger ha nuovamente attratto l’attenzione di un gruppo di ricercatori, questa volta americani, della Booth School of Business dell’Università di Chicago. Nel loro paper del dicembre 2017[15], Øystein Daljord, Oleg Urminsky e Jose-Manuel Ureta hanno sottolineato un ulteriore limite dell’indagine del 2011, tale da rendere le conclusioni degli autori incoerenti con i dati di partenza. Secondo i ricercatori, infatti, Danziger e colleghi non avrebbero tenuto conto di un dato fondamentale, ossia il fatto che i livelli di stanchezza, così come la maggiore o minore capacità di “reggere” i carichi di lavoro prima di arrivare a esaurire le energie mentali, sono estremamente variabili da persona a persona e, dunque, anche tra ciascuno degli otto giudici oggetto dell’esperimento.

Ecco allora che, replicando lo studio a partire da una serie di nuove assunzioni, i ricercatori hanno osservato risultati diversi da quelli ottenuti da Danziger: «solamente un giudice su otto ha mostrato un comportamento coerente con la teoria dello status quo, mentre per altri due giudici i risultati non sono apparsi affatto coerenti. Con riguardo ai restanti giudici, le evidenze non sembrano conclusive»[16].

 

7. Occorrerà probabilmente attendere nuovi studi, in grado di fare luce in via definitiva sulla reale portata dell’esperimento israeliano.

Nondimeno, la scoperta non può che destare perplessità e sorge spontaneo, a questo punto, porsi alcune domande. Del resto, la stessa Bank of America Merrill Lynch, nota banca d’investimento internazionale americana, ha ricordato lo studio di Danziger nel proprio rapporto in materia di intelligenza artificiale osservando, in particolare, che «uno dei principali vantaggi dell’intelligenza artificiale è l’eliminazione dei pregiudizi umani. Il ricercatore Shai Danziger ha mostrato che la percentuale di sentenze favorevoli dei giudici israeliani salta a ~ 65% dopo la pausa pranzo, e diminuisce gradualmente fino a 0 mano a mano che si avvicina la pausa successiva. Numerose attività, tra cui la medicina diagnostica e gli accertamenti antifrode, presuppongono un processo decisionale imparziale, nonché la capacità di rilevare andamenti tendenziali a partire da una gran mole di dati. I vantaggi derivanti dall’impiego di soluzioni algoritmiche imparziali sono attualmente oggetti di analisi nell’ambito di svariate discipline»[17].

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[1] O.W. Holmes, «The life of the law has not been logic; it has been experience», O.W. Holmes, The Common Law, Little, Brown, 1881, p. 1.

[2] «The law is what the judge ate for breakfast»; J.L. Hill, The Political Centrist, Vanderbilt University Press, 2009, p. 113.

[3] «Are judicial rulings based solely on laws and facts? Legal formalism holds that judges apply legal reasons to the facts of a case in a rational, mechanical, and deliberative manner. In contrast, legal realists argue that the rational application of legal reasons does not sufficiently explain the decisions of judges and that psychological, political, and social factors influence judicial rulings. We test the common caricature of realism that justice is “what the judge ate for breakfast” in sequential parole decisions made by experienced judges. We record the judges’ two daily food breaks, which result in segmenting the deliberations of the day into three distinct “decision sessions.” We find that the percentage of favorable rulings drops gradually from ≈65% to nearly zero within each decision session and returns abruptly to ≈65% after a break. Our findings suggest that judicial rulings can be swayed by extraneous variables that should have no bearing on legal decisions»; S. Danziger, J. Levav, L. Avnaim-Pesso, Extraneous factors in judicial decisions, in PNAS,  vol. 108, n. 17, 2011, p. 6889.

[4] Nel grafico sono riportati i casi dei detenuti con precedenti condanne penali.

[5] «Rejecting requests is an easier decision […] when judges are mentally depleted»;S. Danziger, J. Levav, L. Avnaim-Pesso, Extraneous factors, cit. p. 6890.

[6] «Judges make repeated rulings, they show an increased tendency to rule in favor of the status quo»; idem, p. 6892.

[7] «This tendency can be overcome by taking a break to eat a meal, consistent with previous research demonstrating the effects of a short rest […] on mental resource replenishment […] Our results do indicate that extraneous variables can influence judicial decisions […] Our findings support the view that the law is indeterminate by showing that legally irrelevant situational determinants – in this case, merely taking a food break – may lead a judge to rule differently in cases with similar legal characteristics»; ibidem.

[8] «The caricature that justice is what the judge ate for breakfast might be an appropriate caricature for human decision making in general»; ibidem.

[9] K. Weinshall-Margel, J. Shapard, Overlooked factors in the analysis of parole decisions, in PNAS, 108(42), 2011, E833.

[10] «Crucial variables»; ibidem.

[11] «The […] analysis does not support their conclusion that parole decisions are influenced by legally irrelevant factors»; ibidem.

[12] S. Danziger, J. Levav, L. Avnim-Pesso, Reply to Weinshall-Margel and Shapard. Extraneous factors in judicial decisions persist, in PNAS, 108 (42), 2011, E834.

[13] «Our new analyses continue to indicate that, in addition to legally relevant variables, parole decisions are influenced by legally irrelevant factors»; ibidem.

[14] A. Glöckner, The irrational hungry judge effect revisited: Simulations reveal that the magnitude of the effect is overestimated, in Judgment and Decision Making, 11 (6), 2016, pp. 601 ss.

[15] Ø. Daljord, O. Urminsky, J.Ureta, The  Status Quo Theory of Depletion Does not Explain the Israeli Parole Decisions, December 23, 2017, pp. 1 ss.

[16] «Only one judge out of eight may be said to display a pattern that is consistent with the status quo theory, whereas two judges display patterns that are strongly inconsistent with the theory. For the remaining judges, we find the evidence is inconclusive»; idem, p. 12.

[17] «One major advantage of robots is the elimination of human biases. Researcher Shai Danziger showed that Israeli judges’ percentage of favourable rulings jumps to ~65% after meal breaks, and declines gradually to 0 leaning into the next break. Many occupations, including medical diagnostics and fraud detection would all require impartial decision making, as well as the ability to detect trends in large data sets. The comparable advantage of an unbiased algorithmic solutions is currently tested in several fields today»; la citazione  è riportata da M. Udland, Want a favourable ruling in court? Catch a judge right after lunch, in Business Insider Australia, 6 novembre 2015.

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A meeting of knowledge on individual and society
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ISSN 2612-677X (website)
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