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24.02.2021
Raffaele Bianchetti - Vincenzo Ruggiero

The criminality of the powerful

A conversation with Francesco Ruggiero

Issue 2/2021

Professore, Lei è docente di sociologia ed è, attualmente, Direttore del Centre for Social and Criminological Research della Middlesex University di Londra. Tra le Sue innumerevoli pubblicazioni ve ne sono alcune che ci hanno interessato in modo particolare (come, ad esempio, Perché i potenti delinquono[1], Dirty Money. On Financial Delinquency[2], Los crimenes de la economia[3]) perché trattano temi centrali del nostro programma di ricerca, quali, appunto, la criminalità, l’economia e il potere.

Di conseguenza, vorremmo porLe alcune domande in proposito, poiché Lei è uno dei massimi esperti e conoscitori di questi aspetti della società contemporanea.

***

Gli studi e le ricerche sulla criminalità economica (la c.d. criminalità dei “colletti bianchi”), a che punto sono? Come stanno procedendo? Che cosa stanno riscontrando?

Dai primi studi di Sutherland ad oggi, quali sono stati i principali risultati di ricerca raggiunti? E questi risultati, possono dirsi soddisfacenti rispetto ad altri ambiti della ricerca criminologica?

La criminalità dei potenti viene ancora relativamente ignorata rispetto a quella convenzionale.

Una indagine recente, esaminando le maggiori riviste accademiche internazionali nel campo criminologico, ha concluso che solo il 4-5% dei contributi pubblicati prendono di mira il fenomeno[4].

La mia stessa esperienza con gli studenti suggerisce che per criminalità si intende ancora, soprattutto, le condotte predatorie o violente di strada: all’inizio di ogni corso devo chiarire a chi mi ascolta che i comportamenti criminali non sono solo il frutto dell’emarginazione e dello svantaggio, ma anche dei privilegi e del potere.

La criminalità dei potenti viene ancora relativamente ignorata rispetto a quella convenzionale […]. Solo il 4-5% dei contributi pubblicati prendono di mira il fenomeno

Quando si parla di criminalità dei potenti, che cosa si intende precisamente? Chi sono i soggetti/gli attori di questo tipo di criminalità? Che settori della vita sociale riguardano? Che effetti producono?

Tale tipo di criminalità ha a che fare, oltre che con il mondo economico-finanziario, anche con il mondo della giustizia e della politica?

La criminalità dei potenti, che io definisco anche crimine di potere, viene comunemente commessa da individui e gruppi che posseggono risorse materiali e simboliche esorbitanti rispetto alle risorse possedute da chi ne è vittima.

Questa esorbitante polarizzazione si manifesta in ogni sfera sociale e politica, per cui troviamo crimini di potere nell’economia, nel mondo della politica, dell’amministrazione della cosa pubblica e, in genere, in ogni apparato dello Stato.

 

Secondo la teoria del bilancio del controllo[5] un eccesso di controllo in capo ad una persona (o ad un gruppo di persone) dà vita a forme specifiche di devianza (ad esempio danni ambientali, corruzione, riciclaggio di denaro, evasione fiscale), poiché alla base di questi comportamenti vi è la consapevolezza di poter controllare le “regole” del gioco e, quindi, di non essere ostacolati o addirittura puniti. È questo secondo Lei, più che lo status sociale dei suoi attori, l’aspetto che caratterizza la c.d. criminalità dei potenti?

Questa domanda ne contiene almeno tre.

Controllare le regole vuol dire anche modificarle, e le violazioni hanno spesso valore “fondante”, nel senso che spostano il confine tra comportamento legittimo e illegittimo.

Una volta commessa, la violazione crea un precedente, indica una nuova modalità di azione, cambia la giurisprudenza e può avere infine valore legislativo. Una nuova legge decriminalizzerà quel comportamento illegittimo.

Lo status dei rei consente loro di presentare un’immagine di se stessi come persone che commettono errori nel corso di una carriera altrimenti esemplare. Gli “errori”, peraltro, hanno carattere sofisticato e richiedono altrettanta sofisticazione da parte di chi deve svelarne la natura criminale: una frode, ad esempio, deve essere molto simile a una transazione legittima per avere successo.

Una volta commessa, la violazione crea un precedente, indica una nuova modalità di azione, cambia la giurisprudenza e può avere infine valore legislativo. Una nuova legge decriminalizzerà quel comportamento illegittimo

Quanto alla punizione degli autori, un semplice calcolo economico può portare alla convinzione che nel punire persone potenti si costringano attori che producono ricchezza all’inattività, e che quella ricchezza venga così persa.

Nel punire un disgraziato, al contrario, si rende inattiva una persona la cui produzione di ricchezza è trascurabile.

Bisogna fare attenzione, però: incriminare un potente può tradursi in un danno di immagine per l’intera élite, mentre i potenti che di tanto in tanto vengono puniti sono coloro che, seguendo esclusivamente i propri interessi, pregiudicano gli interessi collettivi delle classi cui appartengono.

 

Il tema del riciclaggio è fortemente legato a quello della supervisione da parte dei Governi sulle attività finanziarie, supervisione che appare spesso lacunosa, anche perché molto spesso le regole sono scritte dagli stessi centri di potere chiamati poi ad applicarle[6]: è a causa di questi conflitti di interesse che si inceppa il meccanismo di controllo?

Alcuni gruppi sono investiti dell’autorità di fare da supervisori, o da polizia di se stessi. Tra chi è impiegato in un’organizzazione finanziaria e chi è chiamato a valutarne la condotta esiste un costante pendolarismo.

Un supervisore può diventare operatore finanziario e viceversa. Il meccanismo è simile a quello che avviene nei parlamenti, dove i rappresentanti politici favoriscono le imprese che in seguito li accoglieranno tra i loro dirigenti, mentre i rappresentanti delle imprese (tra cui i loro lobbisti) vengono compensati con l’opportunità di una carriera politica.

Alcuni gruppi sono investiti dell’autorità di fare da supervisori, o da polizia di se stessi […]. Il meccanismo è simile a quello che avviene nei parlamenti, dove i rappresentanti politici favoriscono le imprese che in seguito li accoglieranno tra i loro dirigenti, mentre i rappresentanti delle imprese (tra cui i loro lobbisti) vengono compensati con l’opportunità di una carriera politica

Che idea si è fatto dello scandalo dei Fincen Files portato alla luce dalla recente inchiesta giornalistica internazionale? Com’è possibile che quantità di denaro tanto ingenti – si parla di 2.000 miliardi di dollari (informazioni giornalistiche)[7] – siano state movimentate senza che nessuno – né le banche né le autorità preposte alla repressione di questi fenomeni – facesse nulla per impedirlo?

A mio avviso bisogna riflettere sulla storia della criminalità finanziaria per comprenderne gli inizi e osservarne gli esiti contemporanei.

Nel Seicento, tra i colpevoli delle irregolarità in materia finanziaria si individuano gli operatori senza scrupoli e gli investitori comuni, che rifiutano il lavoro onesto e cercano fortuna nel gioco di borsa (si pensi alla scandalo dei “bulbi di papavero” in Olanda).

Nel Settecento, la criminalità finanziaria viene assimilata agli incidenti, come quelli causati, osservava Jeremy Bentham, da un gentiluomo che investe un passante con la sua carrozza[8].

Eventi naturali o prodotto di patologie individuali, questi delitti vengono anche visti come componenti dello sviluppo economico. L’imprudenza degli operatori finanziari, commentava ancora Bentham, costituisce il prezzo degli esperimenti necessari mirati al progresso[9].

Le tecniche dei truffatori, insomma, vanno protette da copyright.

Al volgere dell’Ottocento, l’enfasi si colloca sull’ingordigia maldestra di chi investe e nessuna legislazione, si dice, è in grado di neutralizzare l’idiozia degli idioti.

Nel Novecento, le interpretazioni ruotano intorno all’immoralità strutturale dei mercati, alle dinamiche organizzative e alla compresenza nel mondo della finanza di operatori dal colletto bianco e clienti dal colletto “sporco” (rappresentanti di gruppi criminali).

Nel secolo corrente, infine, si osserva una simbiosi tra imprenditori legittimi e imprenditori del crimine che, insieme, godono di un servizio che consente loro di nascondere la rispettiva ricchezza. La colpevolezza, pian piano, scompare, lasciandoci di fronte a ladri che vengono adorati come profeti.

Nel secolo corrente […] si osserva una simbiosi tra imprenditori legittimi e imprenditori del crimine che, insieme, godono di un servizio che consente loro di nascondere la rispettiva ricchezza. La colpevolezza, pian piano, scompare, lasciandoci di fronte a ladri che vengono adorati come profeti

Perché i potenti, che godono già di molti privilegi, delinquono? La volontà di mantenere i propri privilegi, attraverso una diversa distribuzione delle risorse sociali, è, secondo Lei, un fattore alla base della criminalità economica? Lei analizza alcune variabili esplicative (consenso, imitazione, coercizione, occultamento): ci può dire perché le ritiene così rilevanti per la comprensione del fenomeno?

L’élite non può mantenere la propria posizione esclusivamente in virtù della forza e della segretezza. Ha bisogno di mostrare che il proprio repertorio d’azione è ragionevole e necessario, e che può essere imitato da chiunque.

Ecco il motivo del mio interesse nella riproducibilità del comportamento criminale dei potenti.

Per riprodursi, quel comportamento deve destare una dose di ammirazione e deve segnalarsi nella società come “conato” di un potere che brucia ogni ostacolo.

I potenti emettono segnali e lanciano una forma di pubblicità delle loro iniziative che, in regime di segretezza, sarebbe impossibile da comunicare. Promuovono le loro abilità e credenziali, si presentano come modelli e complici potenziali di chi ama l’avventura.

Allearsi idealmente con loro, o soltanto imitarli, vuol dire schierarsi a favore di chi ha successo, mentre osteggiarli significa votarsi al fallimento.

Chi ha potere, come diceva il Marchese de Sade, coltiva il sogno di infrangere qualsiasi proibizione.

Per riprodursi, quel comportamento deve destare una dose di ammirazione e deve segnalarsi nella società come “conato” di un potere che brucia ogni ostacolo. I potenti emettono segnali […]. Allearsi idealmente con loro, o soltanto imitarli, vuol dire schierarsi a favore di chi ha successo, mentre osteggiarli significa votarsi al fallimento

I privilegi, dice Sutherland (1983)[10], sono fattori favorenti a) la messa in atto di comportamenti devianti e/o criminali e b) la loro reiterazione nel tempo, se non altro per mantenere o incrementare gli stessi privilegi. Di conseguenza, quanto rileva secondo Lei l’elemento/la variabile culturale in tale settore?

Sono diversi gli elementi culturali che giustificano la criminalità dei potenti, tra i quali includerei: concorrenza senza freni, arroganza pervasiva e un’etica della titolarità (o del merito).

È quanto ho già suggerito in Perché i potenti delinquono.

Con la variabile concorrenza faccio riferimento alle economie di mercato come ambienti potenzialmente criminogeni.

La variabile arroganza allude alla sicurezza acquisita da chi è abituato a dare ordini e all’insolenza di chi non ha mai ricevuto rifiuti o incontrato disubbidienti.

Infine, un’etica della titolarità o del merito comporta la ripulsa di qualsiasi forza esterna che si opponga al diritto di accumulare ricchezza. Questo tipo di etica, va notato, può diffondersi al punto da diventare costume e tradursi in disprezzo automatico per la legalità.

 

Lei scrive che le relazioni di potere comportano l’abilità da parte di alcuni di tracciare dei confini obbligati alle azioni di altri. Che cosa intende dire? È vero che l’esercizio del potere si estrinseca non solo nello stabilire le priorità sociali (cioè i problemi sociali che devono essere trattati) ma anche a livello legislativo (ossia nello stabilire che cosa è vietato e come deve essere contrastato) e a livello giudiziario (ovverosia nello stabilire che cosa deve essere perseguito e che cosa, in concreto, deve essere punito)? Se così fosse, può farci qualche esempio di un recente intervento legislativo e di una recente decisione giudiziaria che vanno chiaramente in questa direzione?

Se lei si riferisce al contrasto della criminalità dei potenti, credo che ogni legislazione al proposito sia insufficiente se non accompagnata da “proibizioni” che emergono dal seno della società civile.

I movimenti sociali hanno spesso indicato delle “proibizioni”, operando una sorta di controllo o di vigilanza etica nei confronti dei potenti.

Una novità in questo senso è l’uso delle cosiddette “licenze o permessi di collettività” in questioni riguardanti le grandi aziende e il loro diritto ad operare in certi territori.

Diversi colleghi australiani, ad esempio, hanno studiato il ruolo delle comunità nell’impedire, modificare o consentire l’operato delle imprese[11].

Non basta un “permesso legale” per condurre gli affari, occorre anche la ratifica di chi potrà trarne beneficio e di chi prevede di pagarne le conseguenze. Questo tipo di “licenza o permesso collettivo”, insomma, ricorda a chi avvia un’attività produttiva che il suo scopo principale è il benessere di tutti, non l’arricchimento di pochi e la distruzione dell’ambiente.

 

La paura del futuro può essere tra le cause della criminalità? Di tutte le persone o solo dei potenti? Per quanto riguarda nello specifico la criminalità dei potenti, perché questa paura spinge alla messa in atto di condotte devianti e/o criminali?

Evito di ripetere quanto affermato in diverse occasioni e, quindi, rinvio ad alcuni miei recenti scritti[12].

Vorrei piuttosto esplorare altre strade interpretative, riferendomi ad alcuni elementi di “economia comportamentale”.

Quello che comunemente chiamiamo homo oeconomicus, presumibilmente, è in grado di raccogliere informazioni sufficienti per massimizzare i propri interessi.

L’economia comportamentale espelle dalla scena questo carattere fittizio, descrivendo gli esseri umani come inadeguati ad effettuare un preciso computo dei costi e benefici della propria azione.

Il rispetto per se stessi, la reputazione, la moralità e la passione motivano il nostro operare in maniera più potente di quanto non possa fare il guadagno materiale.

La nostra razionalità, insomma, è selettiva, mentre le nostre scelte derivano da “scorciatoie logiche” e da condizioni situazionali.

A volte, anzi, possiamo decidere di non decidere, il che ci consente di abitare senza sforzi nella zona inerte dello status quo.

Uno dei principi che si prestano all’analisi dei potenti e della loro criminalità consiste in quello che l’economia comportamentale definisce “percezione differenziale del rischio”.

Quest’ultima ci dispone ad adottare condotte altamente rischiose per evitare quanto possiamo perdere e scarsamente rischiose quando perseguiamo un guadagno.

Quello che comunemente chiamiamo homo oeconomicus, presumibilmente, è in grado di raccogliere informazioni sufficienti per massimizzare i propri interessi. L’economia comportamentale espelle dalla scena questo carattere fittizio […]. La nostra razionalità, insomma, è selettiva, mentre le nostre scelte derivano da “scorciatoie logiche” e da condizioni situazionali

Ecco chiarito il ruolo della nostra paura del futuro, presentato da Hobbes nel Leviatano come caratteristica degli umani, unici animali che avvertono oggi la fame che avranno domani.

Per questo, i potenti rischiano molto per mantenere la propria posizione di privilegio, in quanto temono che, con un imprevisto mutamento nel clima sociale e politico, i propri privilegi possano svanire.

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[1] Edito da Feltrinelli, 2015.

[2] Edito da Oxford University Press, 2017.

[3] Edito da Marcial Pons, 2018.

[4] G. Geis, White-Collar and Corporate Crime, Oxford University Press, 2015.

[5] C.R. Tittle, Control Balance: Toward A General Theory Of Deviance, Taylor & Francis Inc., 1995.

[6] V. in proposito, in questa rivista, E. Padoan, Giovanna Marcolongo, Soldi sporchi. Intervista a Giovanna Marcolongo – pt. 1. La criminalità finanziaria oggi: inquadramento del fenomeno e questioni sul tappeto, 9 dicembre 2020.

[7] Per ragguagli v., ad esempio, S. Arcieri, R. Bianchetti, «Abbiamo due sistemi di applicazione della legge e della giustizia nel paese», in questa rivista, 30 settembre.2020.

[8] J. Bentham, The Principles of Morals and Legislation, Hafner Publishing, 1948.

[9] J. Bentham, Defence of Usury, 1787.

[10] E. Sutherland, White Collar-Crime: The Uncut Version, Yale University Press, 1983.

[11] J. O’Brien, G. Gilligan, A. Roberts, Professional Standards and the Social Licence to Operate: A Panacea for Finance or an Exercise in Symbolism?, in Law and Financial Markets Review 9, 2015, pp. 283–292.

[12] V. Ruggiero, Power and Crime, Routledge, 2015; Id., Visions of Political Violence, Routledge, 2020.

Altro

A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

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ISSN 2704-6516 (journal)

 

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