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09.12.2020
Elisa Padoan - Giovanna Marcolongo

Soldi sporchi. Intervista a Giovanna Marcolongo – pt. 1

La criminalità finanziaria oggi: inquadramento del fenomeno e questioni sul tappeto

Fascicolo 12/2020

Qual è l’entità del fenomeno del riciclaggio di denaro sporco? Quali sono i settori dell’economia più colpiti? Perché non si interviene in modo efficace sul fronte del controllo e della repressione? Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Giovanna Marcolongo, ricercatrice del Centro CLEAN – Crime: Law and Economic Analysis – dell’Università Bocconi di Milano. Il centro, nato nel 2015 sotto la direzione del Prof. Paolo Pinotti, rappresenta uno spazio di dialogo e confronto tra professionisti coinvolti in prima linea nell’attività di analisi del crimine.

Guarda il video del primo capitolo dell’intervista a Giovanna Marcolongo, effettuata l’11 novembre 2020

Pubblichiamo qui il una sintesi di questo primo capitolo dell’intervista, a firma di Elisa Padoan.

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La genesi di questa intervista è legata alla volontà di provare a rispondere agli interrogativi giuridici, economici, ma anche morali, sollevati dalla crescente diffusione di condotte di criminalità economica di carattere transnazionale sempre più sofisticate ed elusive, come documentato anche da alcuni recenti scandali, quale ad esempio l’inchiesta giornalistica nota come FinCEN Files[1], oggetto specifico della seconda parte della presente intervista.

Prima di addentrarci nell’analisi di dettaglio delle storture del sistema, abbiamo però chiesto a Marcolongo di aiutarci a meglio delimitare il campo di osservazione.

Dal punto di vista economico – spiega Marcolongo – il riciclaggio può essere definito come

«Il processo attraverso il quale fondi di origine illecita vengono immessi nel circuito dell’economia legale nascondendo la loro provenienza, al fine di essere successivamente impiegati in attività finanziarie o commerciali lecite permettendo, in tal modo, a colui che tale processo ha messo in atto, di accrescere le proprie disponibilità finanziarie attraverso l’investimento nel settore legale».

Per quanto riguarda l’entità del fenomeno, secondo le Nazioni Unite, i proventi del traffico di droghe e del crimine organizzato ammontavano nel 2009 al 3,6% del PIL mondiale, di cui  tre quarti venivano riciclati (il 2,7% del PIL mondiale, circa 1.600 miliardi di dollari)[2]; si tratta comunque di stime da prendere con estrema cautela, a causa della natura occulta di tali attività.

Secondo le Nazioni Unite, i proventi del traffico di droghe e del crimine organizzato ammontavano nel 2009 al 3,6% del PIL mondiale, di cui  tre quarti venivano riciclati (il 2,7% del PIL mondiale, circa 1.600 miliardi di dollari)

In merito alle aree geografiche, l’attività di riciclaggio di denaro presenta carattere globale, non solo a causa della dimensione internazionale delle organizzazioni criminali, ma anche e soprattutto perché lo spostamento oltre confine dei fondi illeciti è un ottimo modo, per chi delinque, per rendere difficile la tracciabilità e ostacolare la possibilità di risalire alla fonte che li ha generati.

In Italia il fenomeno è legato soprattutto a criminalità organizzata, corruzione ed evasione fiscale; a livello mondiale, secondo il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI), rilevano in particolare il narcotraffico, l’usura e i crimini ambientali[3].

Tra le attività in cui vengono riciclati i proventi illeciti, spiccano quelle caratterizzate da movimentazione di flussi finanziari (come giochi e scommesse, compro oro, money transfer), gli investimenti nel settore immobiliare, la creazione di società veicolo in paradisi fiscali, l’auto-riciclaggio tramite l’acquisto di articoli di lusso e opere d’arte. A queste si è aggiunto, in tempi più recenti, lo scambio in valute virtuali.

In Italia il fenomeno è legato soprattutto a criminalità organizzata, corruzione ed evasione fiscale; a livello mondiale, secondo il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI), rilevano in particolare il narcotraffico, l’usura e i crimini ambientali

Le regole per la prevenzione e repressione del riciclaggio non mancano e molto è stato fatto negli anni dal legislatore, sia italiano sia europeo, per contrastare il fenomeno. «In Italia – ci ha detto Marcolongo ­­– lo standard normativo appare adeguato e il sistema di prevenzione solido, grazie anche alla collaborazione tra i differenti soggetti coinvolti: l’Unità di Informazione Finanziaria (UIF), le forze di polizia, la Direzione investigativa antimafia (DIA), l’autorità di vigilanza sugli intermediari finanziari. A ciò deve aggiungersi la capacità di aggiornamento nella prevenzione del rischio, come ha dimostrato l’inclusione di presidi di controllo nei confronti delle operazioni legate alle valute virtuali».

In merito alle sanzioni, dal punto di vista economico il criterio cardine per valutarne l’adeguatezza è quello dell’analisi costi-benefici:

«Se per un attimo assumiamo il punto di vista di un’organizzazione criminale, possiamo immaginare che, molto probabilmente, nel decidere se mettere in atto un’attività di riciclaggio essa confronterà i guadagni attesi con la probabilità di essere scoperta e di incorrere nella relativa pena. Forse, a un primo sguardo sulla panoramica dei reati di riciclaggio, la sanzione non è un deterrente sufficiente».

«Se per un attimo assumiamo il punto di vista di un’organizzazione criminale […], forse, a un primo sguardo sulla panoramica dei reati di riciclaggio, la sanzione non è un deterrente sufficiente».

Per quanto riguarda la normativa UE, sono state emanate cinque Direttive[4] volte ad armonizzare gli apparati antiriciclaggio costruiti nei vari Stati, ma a oggi permangono notevoli dislivelli nelle regole e nelle prassi adottate per la prevenzione; le differenze tra i Paesi, sia nelle tempistiche di recepimento delle Direttive che nelle modalità di attuazione delle stesse, creano rischi per un efficace contrasto del riciclaggio. «Tra questi – spiega Marcolongo – vi è, ad esempio, il rischio di arbitraggio: ovvero che gli operatori o le stesse organizzazioni criminali scelgano la propria localizzazione in base alla regolamentazione più favorevole. Le recenti evoluzioni tecnologiche, che permettono l’effettuazione di operazione di intermediazione a distanza, via reti informatiche o con sportelli automatici in Paesi diversi da quello in cui si trova la sede legale dello stesso intermediario, pongono un’ulteriore sfida per l’aggiornamento del sistema di prevenzione».

Appare così centrale il tema della collaborazione internazionale, senza la quale la lotta al riciclaggio non può essere vinta:

«La globalizzazione ha portato a un’economia globale, ma non a un governo globale, per cui è necessario, una volta presa consapevolezza dei rischi che risiedono nelle tasche di segretezza, agire con un sistema di controllo integrato per limitarne le derive».

Su questo fronte la strada da percorrere è ancora lunga e, soprattutto, accidentata, anche perché molti Governi traggono immensi profitti dalle discrepanze tra le normative, quando non direttamente dalle attività illecite. Sorgono così conflitti di interesse difficili da sciogliere, con profonde ricadute sulla collettività.

Non bisogna dimenticare che per alcuni Stati – anche i più ricchi – la lotta al riciclaggio può significare abbandonare cospicue entrate e limitare investimenti dall’estero – basti pensare, a titolo di esempio, che i fondi delle società offshore vengono spesso reimpiegati in investimenti immobiliari nelle migliori capitali del mondo – oppure fare i conti con zone franche all’interno dei propri confini (il Nevada e il Delaware negli USA, l’Isola di Man e Guernsey in Gran Bretagna, ecc.).

Molti Governi traggono immensi profitti dalle discrepanze tra le normative, quando non direttamente dalle attività illecite. Sorgono così conflitti di interesse difficili da sciogliere, con profonde ricadute sulla collettività

Queste considerazioni conducono a una riflessione ulteriore, che attiene all’esistenza di “due diversi sistemi di giustizia”: il primo, rivolto alle persone “comuni”, che tende ad accanirsi sugli strati meno abbienti della popolazione; e l’altro, molto più indulgente, rivolto ai soggetti ricchi e potenti. «Alcuni intermediari finanziari – osserva Marcolongo – ricavano ingenti profitti dal trasferire fondi verso i paradisi fiscali e quindi hanno interesse a che la regolamentazione in materia non diventi ancora più stringente. Questi gruppi di interesse godono spesso di una lunga esperienza nel settore e di solide relazioni con il mondo politico».

«Alcuni intermediari finanziari […] ricavano ingenti profitti dal trasferire fondi verso i paradisi fiscali […]. Questi gruppi di interesse godono spesso di una lunga esperienza nel settore e di solide relazioni con il mondo politico»

I comuni cittadini, dal canto loro, pur avendo molto da perdere in termini di servizi concreti per la collettività (il riciclaggio sottrae al sistema enormi risorse che potrebbero essere impiegate per migliorare i servizi), non riescono a creare una “lobby della trasparenza” in grado di opporsi efficacemente.

I comuni cittadini, dal canto loro […], non riescono a creare una “lobby della trasparenza” in grado di opporsi efficacemente

Esiste poi un ulteriore aspetto degno di nota, che riguarda soprattutto i reati di natura economico-finanziaria: la tendenza, da parte del sistema politico e giuridico, a rinunciare alla sanzione penale quando si realizzano illeciti di grande “impatto” sulla collettività. Spesso si sente dire che il tracollo delle grandi banche potrebbe trascinare con sé consistenti “pezzi” del sistema economico, nella logica espressa dagli slogan “too big to fail” (troppo grande per fallire) e “too big to jail” (troppo grande per essere condannato), di cui molto si è parlato a seguito delle crisi finanziaria del 2008, nel corso della quale i cittadini hanno assistito increduli e disarmati alla mancata condanna penale delle banche coinvolte.

«Credo che la dimensione assunta da questi gruppi finanziari e la loro interconnessione non possano essere un limite all’assunzione di responsabilità. Nello specifico, sono state proposte due possibili soluzioni: rendere le banche più piccole, affinché il loro fallimento non comprometta l’intero sistema economico; oppure tassarle quando raggiungono dimensioni troppo elevate, imponendo requisiti di capitale o limitandone il profilo di rischio».

 

(continua…)

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[1] Si veda S. Arcieri, R. Bianchetti, «Abbiamo due sistemi di applicazione della legge e della giustizia nel paese», 30 settembre 2020. Sullo stesso tema si rinvia altresì agli ulteriori articoli: Sei proposte urgenti per il contrasto al riciclaggio internazionale di denaro, del 23 ottobre 2020, Fincen Files: i numeri della maxi-inchiesta, del 9 ottobre 2020 e Abusi fiscali, riciclaggio di denaro e corruzione: le piaghe della finanza globale, del 30 settembre 2020, tutti su DPU – il blog.

[2] Cfr. United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), Estimating illicit financial flows resulting from drug trafficking and other transnational organized crimes. Research Report, 2011, p. 5.

[3] Cfr. Financial Action Task Force (FATF), Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures – Italy. Mutual Evaluation Report, 2016, p. 6.

[4] Direttiva 91/3087CEE, Direttiva 2001/97/CE, Direttiva 2005/60/CE, Direttiva (UE) 2015/849, Direttiva (UE) 2018/843.

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