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06.11.2019
Redazione - Alessandro Rudelli

L’imputabilità del minorenne. Intervista ad Alessandro Rudelli

Domande in tema di imputabilità minorile alla luce della recente proposta di legge (A.C. 1580 – Cantalamessa ed altri)*

Fascicolo 11/2019

Abbiamo chiesto ad Alessandro Rudelli, Sociosemiotico, Consulente Criminologo nei servizi di diagnosi e cura per minori assuntori di sostanze e Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, di illustrarci il suo punto di vista professionale sul tema dell’imputabilità del minore, a partire dagli spunti offerti dalle recenti iniziative legislative volte ad abbassare l’attuale di età – 14 anni – prevista per l’imputabilità penale.

Dal Suo punto vista professionale, ritiene che sia sensato abbassare la soglia di imputabilità penale del minorenne autore di reato da 14 anni (soglia attuale) a 12 anni? Perché?

Nel caso in cui la proposta dovesse tradursi in legge, quali sono, dal punto di vista scientifico, i possibili rischi o, viceversa, i vantaggi della sua entrata in vigore?

Non è dato sapere con certezza quanti anni avesse Pinocchio quando «andò difilato»[1] in Tribunale al cospetto di un giudice penale. Pochissimi giorni erano trascorsi da quando Geppetto aveva sbottato con un sonoro: «occhiacci di legno, perché mi guardate?»[2], rivolgendosi al tronco che stava intagliando di buona lena; ma in quale fascia di età equivalente si poteva collocare in effetti quel burattino?

Tenendo conto che a Pinocchio toccava in (mala)sorte di andare alla scuola comunale munito di abbecedario e considerato che la vicenda si sviluppa tra il 1881 (quando apparve la prima puntata della Storia di un burattino) e il 1883 (data dell’edizione in volume de Le avventure di Pinocchio), ci occorre ricordare che in quel periodo l’istruzione pubblica era regolata dalla legge Coppino (legge 15 luglio 1877 n. 3961 sotto il governo Depretis) che fissava l’obbligo scolastico ai primi tre anni del quinquennale ciclo delle classi elementari.

Non è dato sapere con certezza quanti anni avesse Pinocchio quando «andò difilato» in Tribunale al cospetto di un giudice penale. Pochissimi giorni erano trascorsi da quando Geppetto aveva sbottato con un sonoro: «occhiacci di legno, perché mi guardate?», rivolgendosi al tronco che stava intagliando di buona lena; ma in quale fascia di età equivalente si poteva collocare in effetti quel burattino?

Davanti al giudice si presenta perciò un ragazzetto di età compresa tra i 5 e, più verosimilmente, gli 8-10 anni, volendo estendere di qualche anno il limite anagrafico superiore.

Il nostro Pinocchio (che notoriamente agiva con “poco sale in zucca”)  non sarebbe stato probabilmente imputabile né per il Codice Penale Sabaudo entrato in vigore il 1 maggio 1860 all’indomani dell’Unità d’Italia (imputabilità dai 14 anni, salvo il caso di minore che abbia agito con discernimento)[3], né per il concomitante Codice Penale del Granducato di Toscana (imputabilità dai 12 anni, salvo il caso di minore che abbia agito con discernimento)[4] che in quello stesso periodo era rimasto in vigore nei territori leopoldini comprendenti il paese di Collodi.

Un po’ più delicata sarebbe peraltro risultata la sua posizione processuale se fosse stato valutato dal giudice soltanto pochi anni dopo, vigente il Codice Penale Zanardelli approvato il 30 giugno 1889 che fissava l’acclarata non imputabilità solo al di sotto dei nove anni d’età[5].

Molto più chiara sarebbe invece stata la situazione se Pinocchio avesse avuto sorte di essere giudicato qualche decennio dopo da un tribunale fascista all’indomani dell’entrata in vigore del Codice Penale del 1930, laddove al di sotto del quattordicesimo anno di età vige la presunzione assoluta di non imputabilità senza alcuna valutazione di discernimento, collocando l’apprezzamento della «capacità di intendere e di volere» nella fascia compresa tra i 14 ed i 18 anni[6].

Interessante è leggere al proposito le ragioni addotte dal Guardasigilli Rocco nella sua relazione al re per l’innalzamento dell’età imputabile.

«La Commissione parlamentare, conformemente al sistema del codice del 1889, ha trovato eccessivo ritenere non imputabili tutti i minori di quattordici anni ed ha proposto di abbassare sensibilmente tale limite, osservando che a quattordici anni l’intelligenza è già sviluppata, e che la donna può contrarre matrimonio a dodici anni.

Ma non basta che sia sviluppata l’intelligenza; occorre sopra tutto che sia compiuto, o almeno molto progredito, il processo di formazione etica dell’individuo. È necessario, insomma, che per poter dare una base razionale all’imputabilità, la persona abbia raggiunto un’età nella quale è in grado non solo di ben intendere ciò che fa, ma altresì di valutare adeguatamente i motivi della volontà, il carattere morale (se non ancora quello giuridico) e le conseguenze del fatto.

Ora, secondo i migliori studi sull’argomento, prima dei quattrodici anni, tenuto conto di tutti gli elementi biologici, psicologici, etnologici, ecc., non si può dire che gli individui appartenenti alla nostra popolazione abbiano raggiunto l’indicato grado di sviluppo. Lo stesso codice del 1889, in sostanza, riconosce questa verità, dal momento che, nell’età che va dai nove ai quattordici anni, presume la non imputabilità, sia pure fino a prova contraria. Questo sistema ha dato luogo a gravi difficoltà d’interpretazione e a notevoli inconvenienti pratici, così che ho preferito adottare una presunzione assoluta di non imputabilità, tanto più che le misure di sicurezza rassicurano contro ogni pericolo derivante dall’impunità»[7].

Non basta che sia sviluppata l’intelligenza; occorre sopra tutto che sia compiuto, o almeno molto progredito, il processo di formazione etica dell’individuo. È necessario, insomma, che per poter dare una base razionale all’imputabilità, la persona abbia raggiunto un’età nella quale è in grado non solo di ben intendere ciò che fa, ma altresì di valutare adeguatamente i motivi della volontà, il carattere morale (se non ancora quello giuridico) e le conseguenze del fatto

Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, Anno 71°, n. 251, 26 ottobre 1930, pag. 4468, punto 59: Approvazione del testo definitivo del Codice Penale. Relazione a S.M. il Re del Ministro Guardasigilli Rocco

Dopo tanto peregrinare tra territori mobili oscillanti dai nove ai dodici ai quattordici anni, dopo discernimenti da provare o da escludere, dopo discrezionalità penalistiche giudiziarie in bilico tra i precetti di una pedagogia correzionale e le esigenze d’ordine pubblico sostenute dalle carabine dell’Arma; ecco che il nostro Pinocchio riceve infine la chiarezza di un limite (la presunzione assoluta di non imputabilità sotto i 14 anni) che apre ad una soglia (la valutazione della capacità di intendere e di volere nella fascia d’età tra i 14 ed i 18 anni), e questa decisa partizione la trova proprio tra le braccia autoritarie del regime. Non sorprenda tale conclusione, che non ha nulla di bonariamente “indulgenziale”: alimentandosi nella mitologia della “giovinezza” il sistema fascista era fortemente impegnato a costruire contenitori disciplinari medico-pedagogici[8] così rigorosi da non necessitare delle suggestioni apocalittiche della «spaventevole delinquenza minorile» alimentate nei decenni precedenti[9].

Prima di chiudere il cerchio di questa veloce divagazione sulle oscillazioni dell’età imputabile, riprendiamo brevemente il filo della pinocchiesca vicenda per puntualizzare un aspetto non secondario: Pinocchio non era davanti al giudice in qualità di imputato, bensì di vittima poiché si era recato in Tribunale per denunciare la truffa perpetrata a suo danno dal Gatto e dalla Volpe.

Questo svogliato vagabondo aveva già incontrato l’autorità di pubblica sicurezza quando era scappato di casa inseguito da Geppetto non appena questi aveva terminato di costruirgli i piedi: una fuga a rotta di collo che, come si ricorderà, si risolse con l’arresto e la conduzione in carcere del falegname da parte di un solerte carabiniere che temeva che Geppetto volesse “darle di santa ragione” al burattino. Per quanto di discutibilissima valutazione ed esecuzione, lo si potrebbe definire un intervento a tutela del minore.

Più drammatico sarà il successivo incontro con i carabinieri, che avverrà tempo dopo l’udienza col giudice dalla quale siamo partiti, allorquando il burattino, pur avendo ripreso di buona lena la frequenza alla scuola comunale, si ritroverà a marinare le lezioni per seguire ancora una volta i cattivi consigli dei compagni di classe. Giunti insieme sulla spiaggia, una volta diventato vittima dei dileggi e delle angherie del “branco”[10], ne verrà fuori una violenta colluttazione a suon di calci, pugni e lanci di oggetti, della quale rimarrà vittima Eugenio, caduto a terra come morto dopo essere stato colpito alla tempia dal pesante Trattato di Aritmetica scagliato da uno dei monelli avversi a Pinocchio.

Si ricorderà anche qui la vicenda: scappati tutti i ragazzi del branco, rimasto il solo burattino ad assistere il ragazzo disteso a terra senza sensi, giungono sul posto i carabinieri che, dopo aver riscontrato che il proprietario del voluminoso libro altri non era che lo stesso Pinocchio: «dopo averlo messo in mezzo a loro due, gl’intimarono con accento soldatesco: – Avanti! E cammina spedito! Se no, peggio per te! –»[11].

Che fa questa volta Pinocchio, tratto in arresto con l’evidente accusa di tentato omicidio? Elude la sorveglianza, scappa, si dà alla fuga come una palla di fucile, inseguito dal cane mastino Alidoro aizzatogli dietro dai carabinieri che poi… e le avventure proseguono.

Abbiamo quindi un primo Pinocchio da “tutelare” perché in presunta condizione di pregiudizio e un terzo Pinocchio da arrestare perché imputato di un reato gravissimo.

E il secondo Pinocchio, quello che abbiamo lasciato in Tribunale?

Rileggiamo con gusto lo svolgimento processuale:

«Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s’intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello. A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da gendarmi. Allora il giudice, accennando Pinocchio ai gendarmi, disse loro: – Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione. –

Il burattino, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, rimase di princisbecco e voleva protestare: ma i gendarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia»[12].

Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s’intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello. A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da gendarmi. Allora il giudice, accennando Pinocchio ai gendarmi, disse loro: – Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione

C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Giunti Editore, 2002, pp. 73-74

Ma come? Un tragico errore giudiziario?

Più autori hanno lavorato su questo apparente paradosso.

Giorgio Manganelli, ripercorrendo passo a passo le enigmatiche topografie collodiane, ritiene che davanti al giudice: «Pinocchio è della stessa razza delle pecore tosate e delle farfalle mutilate. La condanna non è propriamente una punizione, è una collocazione, una classificazione. Come tale non è “morale” quanto “storica”»[13].

Di diverso avviso è Emil Mazzoleni, che ne Il diritto nella fiaba popolare europea, analizzando la nomofunzione del giudizio nei racconti folclorici e popolari, ritiene di ritrovare in questa vicenda la ricorrenza della «funzione di critica o parodia del diritto vigente»[14].

In alternativa alle due precedenti letture interpretative, proviamo ad ipotizzarne una terza: in quell’aula di Tribunale Pinocchio sarebbe stato destinatario di un provvedimento giudiziario “rieducativo” in ragione delle evidenti irregolarità nella condotta di questo birbante[15].

Ed eccoci ad avere così attraversato tutte e tre le competenze dei tribunali per i minorenni: civile, penale ed amministrativa. Ma abbiamo quindi tre Pinocchi?

No: Pinocchio è uno, sempre lui, sempre quella “testa di legno”, ma in quella unicità sono inevitabilmente co-presenti sia i bisogni di accudimento che le istanze ribelli che le attrazioni illegali.

Bene: chiunque abbia a che fare con l’età evolutiva, a qualsiasi livello intervenga e con qualunque funzione operi, sa perfettamente che questi tre livelli sono inestricabilmente intrecciati tra loro. È assolutamente impossibile separarli con un forzato artificio per dedicarsi alla lettura di una sola caratterizzazione; le letture non possono che essere multidimensionali, prospettiche, articolate.

Pinocchio è uno, sempre lui, sempre quella “testa di legno”, ma in quella unicità sono inevitabilmente co-presenti sia i bisogni di accudimento che le istanze ribelli che le attrazioni illegali. Bene: chiunque abbia a che fare con l’età evolutiva, a qualsiasi livello intervenga e con qualunque funzione operi, sa perfettamente che questi tre livelli sono inestricabilmente intrecciati tra loro

Per rispondere alla domanda iniziale sul senso della proposta di legge: è del tutto insensato lanciare suggestioni di abbassamento dell’età dell’imputabilità senza che sia contestualmente sviluppata una articolazione discorsiva che si ponga sul piano complessivo richiesto necessariamente dalla questione esibita.

Ma facciamo un altro piccolo passo nella direzione del senso.

Le avventure di Pinocchio prendono forma in una struttura narrativa che si apre alle varietà interpretative: non è monologica ma polisegnica e multisignificativa[16].

I Codici che abbiamo prima richiamato e che hanno sinora disciplinato l’età imputabile (Codice Penale Sabaudo, Codice Penale del Granducato di Toscana, Codice Zanardelli, Codice Rocco), pur nelle importanti differenze tra loro intercorrenti, appartengono ad un ordine discorsivo giuridico che si apre alle grandi narrazioni politiche e storico-sociali per sostenere le enunciazioni del diritto.

Il Pinocchio è una narrazione aperta favolistica; i Codici sono una narrazione a loro volta aperta all’ermeneutica.

La proposta di legge n. 1580 presentata alla Camera il 7 febbraio 2019 (primo proponente Cantalamessa) che forma narrativa ha?

Vediamone gli Autori, che sono sempre importanti nella valutazione di un testo. Primo firmatario l’onorevole Cantalamessa di professione assicuratore; 75 i proponenti tutti appartenenti, nessuno escluso, ad un unico schieramento politico denominato Lega – Salvini Premier; i proponenti provengono per la stragrande maggioranza da quattro regioni del nord Italia e soltanto 5 di loro dal sud, isole comprese.

L’Autore collettivo è quindi facilmente etichettabile in un brand: non è rappresentativo di una varietà di interessi o visioni che trovano una loro sintesi. È unico perché, lui, monodimensionato.

Questo Autore collettivo presenta una proposta di legge estremamente scarna nelle sue articolazioni e nelle sue argomentazioni, nella quale è espressamente indicata la finalità securitaria dell’abbassamento dell’età imputabile, che dovrebbe reggersi su aprioristiche necessità di «adeguare la legislazione penale alla realtà dei fatti». Il soggetto quindi non sono i minorenni, ma la “paura dei minorenni”.

Quando intende accennare ad una prospettiva di complessità multifattoriale, si sofferma a precisare che in tema di accertamento della capacità di intendere e di volere «[…] necessita una verifica criminologica (e non solo), di contesto, cioè basata su una molteplicità di fattori (storia individuale dell’autore di reato, contesto famigliare, ambito sociale e razziale di provenienza)»[17].

Neanche il Guardasigilli Rocco aveva introdotto il “fattore razziale” nella sua relazione al Parlamento del 1930, parlando piuttosto di “elementi etnologici” dei quali tener conto[18].

Questo Autore collettivo presenta una proposta di legge estremamente scarna nelle sue articolazioni e nelle sue argomentazioni, nella quale è espressamente indicata la finalità securitaria dell’abbassamento dell’età imputabile, che dovrebbe reggersi su aprioristiche necessità di «adeguare la legislazione penale alla realtà dei fatti». Il soggetto quindi non sono i minorenni, ma la “paura dei minorenni”

Questi essenziali elementi di analisi sono sufficienti per condurci a dire che la proposta di legge non è formulata con una struttura narrativa aperta, qualsiasi essa sia, ma è improntata dal codice del comando autodimostrativo. È cioè in una posizione intermedia (si badi bene: dal punto di vista della enunciazione) tra la perentorità secca di un ordine che richiede adesione e la ripetitività di un Rosario sgranato nelle preghiere devozionali.

Oppure, e questa è forse l’ipotesi più interessante, è l’espressione di un messaggio di marketing nel quale ciò che conta è l’atto del comprare e non la qualità del comprato. O, forse meglio, predisporre il potenziale cliente a ritenere necessaria per sé una… copertura assicurativa.

Manca in questa proposta di legge qualsiasi possibile aggancio a qualsivoglia dimensione argomentativa o dimostrativa, scientifica o sociale, per il semplice fatto che ogni prospettato aggancio, in tale scarna struttura enunciativa, non può assolvere ad altra funzione se non a quella del pretesto.

Manca in questa proposta di legge qualsiasi possibile aggancio a qualsivoglia dimensione argomentativa o dimostrativa, scientifica o sociale, per il semplice fatto che ogni prospettato aggancio, in tale scarna struttura enunciativa, non può assolvere ad altra funzione se non a quella del pretesto

Eventuali suggerimenti in proposito?

Nei tribunali per i minorenni, sedi giudiziarie ove sono co-presenti i tre livelli dei quali abbiamo detto in precedenza (civile, amministrativo e penale) arrivano i Pinocchi veri, non quelli brandizzati.

Anzi, a voler essere precisi i Pinocchi stanno cambiando lingua, abito, materiale, desideri, paure, bisogni e forme dell’oppositività.

Questo è il lavoro da fare, il suggerimento da avanzare: mettersi all’opera per comprendere quanto e verso dove queste inattese irruenze simil-pinocchiesche si stanno discostando dalle immagini che si danno di loro.

Quanto queste nuove narrazioni sono intraducibili nelle nostre narratività cliniche, giuridiche, pedagogiche e sociali, e quanto le forziamo per star dentro ai canoni prefissati.

L’imputabilità di cui parlare non è quella degli altri, ma la nostra.

Questo è il lavoro da fare, il suggerimento da avanzare: mettersi all’opera per comprendere quanto e verso dove queste inattese irruenze simil-pinocchiesche si stanno discostando dalle immagini che si danno di loro […]. L’imputabilità di cui parlare non è quella degli altri, ma la nostra

 


*Modifiche al codice penale e alle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, in materia di imputabilità dei minori e di pene applicabili a essi nel caso di partecipazione ad associazione mafiosa” (1580).

[1] Tra le tante edizioni disponibili, si farà riferimento a C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Giunti Editore, 2002, p. 73.

[2] Questa folgorante interrogazione diverrà titolo di un acuto lavoro di svelamento delle potenzialità cognitive e morali, costruttive e distruttive dello spaesamento e della distanza: «tutto il mondo è paese non vuol dire che tutto è uguale: vuol dire che tutti siamo spaesati rispetto a qualcosa e a qualcuno»; C. Ginzburg, Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, Feltrinelli, 2011.

[3] Codice Penale per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, Stamperia Reale, 1859, Guardasigilli U. Rattazzi,

Titolo II. Regole generali per l’applicazione delle pene – Capo I. Dell’influenza dell’età e dello stato mentale del reo sulla applicazione e durata della pena.

Art. 87: «Il reo che abbia compiuto l’età degli anni ventuno al tempo del commesso reato soggiace alla pena ordinaria».

Art. 88: «Il minore degli anni quattordici, quando abbia agito senza discernimento, non soggiacerà a pena.
Se si tratta però di crimine o delitto, le Corti e i Tribunali ordineranno che l’imputato sia consegnato ai suoi parenti facendo loro prestare sottomissione di ben educarlo e d’invigilare sulla sua condotta, sotto pena dei danni […omissis…].
È tuttavia facoltà delle Corti e dei Tribunali di ordinare che l’imputato sia ricoverato in uno stabilimento pubblico di lavoro per un tempo maggiore o minore, secondo l’età di lui e la natura del reato, senza però che possa eccedere quello in cui l’imputato avrà compiuto il diciottesimo anno».

Art. 89: «Quando risulti che il minore degli anni quattordici abbia agito con discernimento, avranno luogo le disposizioni seguenti: […omissis… ove si stabiliscono le pene per chi operò con discernimento]».

Art. 90: «Il reo maggiore degli anni quattordici e minore degli anni diciotto sarà punito nel seguente modo:

[…omissis… ove si quantificano tipologie e durata delle pene ridotte rispetto ai ventunenni]».

Art. 91: «Il reo maggiore degli anni diciotto e minore dei ventuno soggiacerà alle pene ordinarie colla diminuzione di un solo grado».

[4] Codice Penale del Granducato di Toscana del 20 giugno 1859, copia conservata presso la Biblioteca Centrale Giuridica del Ministero della Giustizia, Collocazione S 01427, Repertorio MSR 153358, Titolo III. Delle cause che escludono o diminuiscono l’imputazione.

Art. 36: «I fanciulli che non abbiano compiuto il duodecimo anno non sono imputabili. Le loro azioni contrarie alla legge penale appartengono alla disciplina domestica e, nei casi più gravi, richiamano l’autorità di polizia amministrativa a prendere un provvedimento adatto alle circostanze».

Art. 37: «1. Quando un delitto è stato commesso da un minore che abbia compiuto il duodecimo anno e non il decimoquarto, il tribunale dichiara se l’agente operò con discernimento o senza discernimento.
2. Se l’agente operò senza discernimento, il tribunale lo assolve ed ordina o che sieno richiamati a parenti ad invigilare sulla condotta di lui, o, nei casi più gravi, che sia collocato in una cassa di correzione per un tempo che non ecceda tre anni.
3. […omissis…ove si stabiliscono le pene per chi operò con discernimento]».

Art. 38: «Il minore che ha compiuto l’anno decimoquarto ma non il decimottavo è punito […omissis… ove si quantificano tipologie e durata delle pene ridotte rispetto ai maggiorenni]».

Art. 39: «Chiunque ha compiuto l’anno decimottavo è considerato agli effetti penali come maggiorenne».

[5] Codice Penale per il Regno d’Italia, Roma, Stamperia Reale, 1889, S.M. Umberto I, V. il Guardasigilli G. Zanardelli – Art. 53: «Non si procede contro colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i nove anni. Nondimeno, ove il fatto sia preveduto dalla legge come un delitto che importi l’ergastolo o la reclusione, ovvero la detenzione non inferiore ad un anno, il presidente del tribunale civile, sulla richiesta del pubblico ministero, può ordinare, con provvedimento revocabile, che il minore sia rinchiuso in un istituto di educazione e di correzione per un tempo che non oltrepassi la maggiore età; […omissis…]».

Art. 54: «Colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i nove anni ma non ancor ai quattordici, se non risulti che abbia agito con discernimento, non soggiace a pena. Nondimeno, ove il fatto sia preveduto dalla legge come un delitto che importi l’ergastolo o la reclusione, ovvero la detenzione non inferiore ad un anno, il giudice può dare l’uno o l’altro dei provvedimenti indicati nel capoverso dell’articolo precedente. Qualora risultati che abbia agito con discernimento, la pena stabilita per il reato commesso è diminuita secondo le norme seguenti: […omissis…ove si stabiliscono le diminuenti di pena]».

Art. 55: «Colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, è punito secondo le norme seguenti: […omissis…ove si stabiliscono le pene]».

[6] Regio Decreto n. 1398 del 19 ottobre 1930 – Art. 97. Minore degli anni quattrodici: «Non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto, no aveva compito i quattordici anni».

Art. 98. Minore degli anni diciotto: «È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita. […omissis…]».

[7] Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, Anno 71°, n. 251, 26 ottobre 1930, pag. 4468, punto 59: Approvazione del testo definitivo del Codice Penale. Relazione a S.M. il Re del Ministro Guardasigilli Rocco.

[8] Tra le molteplici organizzazioni dedicate alla “rettitudine” giovanile si rammenta la costituzione dell’Opera Nazionale Balilla nel 1927, poi confluita nella Gioventù Italiana del Littorio, si segnala il già ricordato ricorso alle misure di sicurezza e si considerino anche gli interventi correzionali per i minorenni “traviati” previsti all’art. 25 e ss. del Regio Decreto Legge n. 1404/34 istitutivo dei Tribunali per i Minorenni.

[9] Si rammenta l’allarme sollevato dal senatore Quarta nel 1908 all’apertura dell’anno giudiziario, con l’esposizione di dati statistici volti ad alimentare la preoccupazione sociale e politica nei confronti del pericolo rappresentato dall’incremento della delinquenza giovanile.

[10] “Branco” è esattamente il termine usato dal Collodi, oggi utilizzato in parallelo con la dizione baby-gang.

[11] C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, cit., p. 109.

[12] Idem, pp. 73-74.

[13] G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Adelphi, 2002, p. 111.

[14] E. Mazzoleni, Il diritto nella fiaba popolare europea, FrancoAngeli, 2016, p. 89.

[15] A conforto di questa ipotesi, si pensi al prosieguo della vicenda: dopo quattro oscuri mesi di gattabuia Pinocchio potrà approfittare dell’amnistia soltanto auto-attribuendosi quella qualifica delinquenziale che gli era stata sinora inapplicabile:
«– Se escono di prigione gli altri voglio uscire anch’io – disse Pinocchio al carceriere.
– Voi no, – rispose il carceriere – perché voi non siete del bel numero…
– Domando scusa, – replicò Pinocchio – sono un malandrino anch’io.
– In questo caso avete mille ragioni – disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente, e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare»; C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, cit., p. 74.

[16] Tra le innumerevoli analisi, riletture, proposte interpretative e trasposizioni di questo racconto tradotto in 240 lingue, basterà qui ricordare gli studi sui linguaggi del Pinocchio proposta da I. Pezzini, P. Fabbri (a cura di), Le avventure di Pinocchio. Tra un linguaggio e l’altro, Meltemi, 2002; oppure l’analisi dei codici affettivi nascosti nella storia del burattino da S. Martella, Pinocchio eroe anticristiano. Il codice della nascita nei processi di liberazione, Edizioni Sapere, 2000; od anche l’agilissimo lavoro di D. Marcheschi, Il naso corto. Una rilettura delle Avventure di Pinocchio, Centro editoriale dehoniano, 2016; o infine l’analisi dell’influenza esercitata dall’opera, condotta da G. Gasparini, La corsa di Pinocchio, Vita e Pensiero, 1997.

[17] Vedi Proposta di legge Camera dei Deputati n. 1580 presentata il 7 febbraio 2019.

[18] Si veda quanto osservato sopra.

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