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«Nel corso della seconda guerra mondiale l’umanità ha toccato il culmine della malvagità e della sofferenza, con forme assolutamente diaboliche di perversione, con spaventosi massacri e genocidi che hanno crudelmente decimato l’umanità, con inaudite e orribili sofferenze inflitte dall’uomo all’uomo, e soprattutto con fenomeni come l’Olocausto, di fronte ai quali non è possibile che l’umanità intera non si senta colpevole, sia per non averlo saputo prevenire o impedire, sia per non aver per conto suo sofferto altrettanto».

Ebbene, trovo sconvolgente il fatto che in quel momento, quando l’umanità stava appena uscendo dall’abisso del male e della sofferenza in cui era precipitata, e ancora in seguito per alcuni decenni, abbiano avuto grande successo e rilevante diffusione filosofie impegnate in problemi tecnici di estrema astrattezza e sottigliezza, come il positivismo logico e la filosofia analitica, forme di pensiero insensibili alla problematica del male, e in generale poco interessate ai problemi dell’uomo e del suo destino

L. Pareyson, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Einaudi, 1995, p. 156

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Un incontro di saperi sull’uomo e sulla società
per far emergere l’inatteso e il non detto nel diritto penale

 

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