Abstract. In questa breve trattazione si considerano le due opere di Samuel Beckett ritenute più connotative della sua maturazione letteraria e insieme più denotative di un modo di fare teatro del tutto singolare, fuori dagli schemi consueti, dove si compendiano i temi più caratterizzanti della sua revisione radicale intorno al concetto di “vita come attesa”: “Aspettando Godot” e “Giorni felici”. Entrambe le opere, pur prive di una trama razionalmente sostenibile e di fatto senza incipit e senza finale, esprimono allegorie e metafore estremamente significative di cui offrono una rappresentazione plastica, dove la sceneggiatura teatrale spiega in modo visibile e completo la narrazione letteraria: il teatro assume in Beckett e nella “scuola di pensiero dell’assurdo” l’iconografia scenografica pur essenziale e minimalista di una simbologia altrimenti difficilmente intellegibile.
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