Prima parte.
«L’orizzonte degli eventi in cui si inscrive DPU è il tempo della crisi.
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DPU nasce con l’intento di prendere sul serio questa “crisi” del diritto penale – che è una crisi a un tempo epistemologica ed etica – per la più semplice delle possibili ragioni, e cioè che la crisi del diritto penale è, allo stesso tempo, una crisi della società di cui il diritto penale è da sempre struttura portante.
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Il nostro punto di partenza è che la crisi è vasta e profonda, forse più ancora di quanto sia già stato detto e scritto, perché il contesto in cui si colloca è quello di una crisi generale della cultura
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DPU nasce per creare un laboratorio – un acceleratore di particelle di pensiero per scoprire, se possibile, le particelle fondamentali di questo diritto – perché da lì, dal profondo, si può osservare e capire la crisi, e navigherà su questa rotta, aprendo numerosi e differenziati programmi di ricerca e di azione pragmatica – noi li chiamiamo “cantieri aperti” – di inusitata estensione, perché nulla o quasi del diritto penale che crediamo di conoscere funziona davvero come vorremmo che funzionasse.
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Vorrei fugare da subito un possibile dubbio.
Il dubbio che, a molti, possa venire il pensiero che DPU, che ha iniziato appena la sua vita, non è una rivista di diritto penale, ma qualcosa d’altro il cui posto, dunque, non è certo quello del discorso sul diritto.
Nulla di più infondato.
La scienza del diritto sembra nata con un vizio d’origine, e il vizio è che questa sedicente scienza (perché essa si è data questo nome) da sempre delimita e costruisce il suo oggetto come più le aggrada; decide essa, cioè, che cosa sia diritto e che cosa no.
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Tocca a noi ridefinire la risposta alla domanda: “che cosa è diritto?”, e subito appresso: “che cosa è la scienza del diritto?”; domande, ovviamente, l’una connessa all’altra».
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[1] Testo riveduto e corretto dall’Autore (aggiornamento all’8 maggio 2019). Per leggere la versione precedente, pubblicata su questa rivista il 2 maggio 2019, clicca qui.