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29.04.2020
Simona Raffaele

Dal 41-bis ai domiciliari: l’ordinanza “Bonura”

Differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare e regime ex art. 41-bis o.p. ai tempi del Covid-19

Per leggere il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Milano del 20 aprile 2020, in commento, clicca su “apri allegato”.

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Con decreto del 20 aprile 2020, il Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Milano ha concesso il differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare a Francesco Bonura, di anni 78, detenuto in espiazione della pena definitiva di anni 18 e mesi 8 di reclusione per una condanna di concorso in reati di associazione di tipo mafioso ed estorsione continuata. Il condannato, sottoposto al regime penitenziario previsto dall’art. 41-bis o.p. presso la Casa di Reclusione di Milano “Opera”, al momento della istanza aveva un fine pena previsto al 12 marzo 2021, quindi un periodo di pena residua inferiore ad 1 anno di reclusione[1].

Il provvedimento, per la precisione, origina dall’istanza formulata dal difensore di Bonura per ottenere il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 147 c.p., anche nelle forme della detenzione domiciliare (ex art. 47-ter, co. 1-ter o.p.), sia per le gravi condizioni di salute del proprio assistito sia per l’elevato rischio di essere contagiato da Coronavirus.

Infatti, come si evince dalla relazione sanitaria del 7 aprile 2020 – citata nel provvedimento in commento – il detenuto riporta in anamnesi un quadro clinico assai articolato, caratterizzato, tra l’altro, da uno stato di follow-up oncologico causato dall’aumento dei valori dei markers tumorali, oltre che dalla presenza di laparocele addominale.

Per queste ragioni, il Magistrato di Sorveglianza, tenuto conto del quadro clinico descritto dai sanitari, con particolare riferimento alle patologie di natura oncologica e cardiaca ed in considerazione dell’età avanzata del soggetto, ha riscontrato la sussistenza dei presupposti per il rinvio facoltativo della esecuzione della pena ai sensi dell’art. 147, co. 1, n. 2 c.p.[2], in considerazione anche «dell’attuale emergenza sanitaria e del correlato rischio di contagio – indubitabilmente più elevato in un ambiente ad alta densità di popolazione come il carcere – che espone a conseguenze particolarmente gravi i soggetti anziani affetti da serie patologie pregresse».

Tuttavia, tenuto conto della gravità dei reati commessi e della caratura criminale del condannato, il Giudice ha disposto che il suddetto rinvio avvenga nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, co. 1-ter, o.p., «al fine di salvaguardare, nel contempo, le esigenze di cura del soggetto e le esigenze di tutela della collettività».

A questo riguardo, il Magistrato ha considerato «il non lontano fine pena a fronte di una lunga carcerazione, l’esistenza di riferimenti famigliari, l’età e il compromesso quadro clinico del condannato», quali elementi in grado di escludere, nel caso di specie, il pericolo di fuga o di reiterazione dei reati. Inoltre ha considerato valido ed idoneo, in quanto effettivo, il domicilio indicato e verificato di recente dalla Questura di Palermo.

Tale provvedimento – al centro dell’attenzione scientifica e mediatica (anche) per la storia delittuosa del destinatario – si inserisce nel contesto dello stato di emergenza in cui si trovano molti istituti penitenziari italiani a causa della pandemia Covid-19.

In linea generale, infatti, i soggetti condannati per reati ostativi, ai sensi dell’art. 4-bis o.p., non possono usufruire di misure alternative alla detenzione; tuttavia, quando le condizioni di salute dei detenuti sono particolarmente gravi, tali da risultare incompatibili con la permanenza in carcere, si può disporre il rinvio dell’esecuzione della pena ed oggi questo viene fatto (come nel caso di specie) anche in considerazione dell’emergenza epidemiologica.

Sul punto, preme evidenziare che il 21 marzo scorso il DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) ha inviato a tutti i direttori delle case circondariali una circolare[3] in cui li invita a «comunicare con solerzia all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza», i nominativi dei detenuti, rientranti fra le nove tipologie espressamente segnalate dai sanitari dell’amministrazione penitenziaria[4] e di età superiore ai 70 anni, suggerendone la scarcerazione.

Invero, il decreto “Cura Italia” prevede la possibilità di scontare la pena presso un domicilio solo per quei soggetti che abbiano commesso reati considerati dall’ordinamento di minore gravità, non anche per i soggetti che abbiano commesso reati gravi come, ad esempio, quelli indicati dall’art. 4-bis o.p., richiamato dall’art. 41-bis o.p. D’altronde, se il legislatore avesse voluto derogare al regime detentivo speciale, lo avrebbe detto espressamente, con la conseguenza che i detenuti in regime di 41-bis non potrebbero beneficiare della possibilità di scontare la pena residua in detenzione domiciliare.

Il sopra citato documento del DAP non fa però alcun richiamo al decreto “Cura Italia”, né opera alcuna distinzione tra detenuti in regime ordinario e detenuti in regime speciale.

Di conseguenza, a parere di chi scrive, tale ultima circostanza causa (inevitabili) gravi difficoltà interpretative/applicative per i magistrati chiamati a bilanciare le esigenze di sicurezza con la tutela del diritto alla salute dei soggetti sottoposti al regime carcerario previsto all’art.  41-bis o.p.

Del resto, un calibrato bilanciamento tra interessi di tale rilevanza, oltre a consentire una migliore gestione penitenziaria, si rivela l’unica strada percorribile per evitare ulteriori sentenze di condanna da parte della Corte EDU nei confronti del nostro Paese (si pensi, ad esempio, al noto caso Provenzano). In questo senso, è di tutta evidenza che negli ultimi decenni la Corte EDU è stata portavoce delle esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, nella direzione di una progressiva affermazione della superiorità dei diritti e delle libertà della persona che impone alla nostra Magistratura di Sorveglianza di rivedere alcune posizioni non sempre coerenti con le istanze dei detenuti.

In questa prospettiva, dunque, la Magistratura di Sorveglianza assume un ruolo strategico, teso a coniugare il trattamento dei detenuti con le esigenze di sicurezza interna ed esterna al carcere, nell’ottica della realizzazione di un sistema coerente con i principi costituzionali.

 Rebus sic stantibus, si può ritenere che il provvedimento in oggetto sia il accoglimento di un’istanza di differimento della pena, motivato dalla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 147, co. 1, n. 2, c.p., riscontrati dal Magistrato di Sorveglianza tenuto conto (anche) dell’emergenza sanitaria, unitamente all’elevato rischio di contagio nei soggetti anziani affetti da gravi patologie.

In attesa delle determinazioni del Tribunale di Sorveglianza di Milano con riferimento al caso di specie – che  interverranno entro il termine (ordinatorio) di sessanta giorni dalla data di trasmissione degli atti[5] e consentiranno di rivalutare nell’attualità la posizione del condannato – non resta, dunque, che prendere atto di un provvedimento interinale, sostanzialmente in linea con le norme sull’ordinamento penitenziario e con le indicazioni formulate dall’amministrazione penitenziaria in ragione dei rischi che derivano dalla diffusione del c.d. Coronavirus.

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[1] Allo stato, la pena residua è infatti di circa 11 mesi di reclusione.

[2] L’art. 147, co. 1, n. 2, c.p. dispone che l’esecuzione di una pena può essere differita «se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica».

[3] Il riferimento è alla circolare “Segnalazione all’autorità giudiziaria”, emanata DAP il 21 marzo 2020 – quattro giorni dopo l’approvazione del decreto “Cura Italia” con cui il Governo affrontava il problema del sovraffollamento carcerario – che prevede la detenzione domiciliare per i detenuti che abbiano una condanna «non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena» e che è stata trasmessa per conto del Direttore Generale a tutti gli istituti penitenziari italiani. Il documento è integralmente consultabile a questo link.

[41] L’elenco delle patologie/condizioni cui è possibile riconnettere un elevato rischio di complicanze sulla base della citata circolare è il seguente: malattie croniche dell’apparato respiratorio che necessitino di continui contatti con le strutture sanitarie esterne, malattie dell’apparato cardio-circolatorio (scompenso cardiaco Classe NYHA); diabete mellito; insufficienza renale cronica; malattie degli organi emopoietici edemoglobinopatie; neoplasie attive o in follow up; malattie congenite o acquisite che comportino carente produzione di anticorpi; immunosoppressione indotta da farmaci; malattia da HIV (con CD4 <200 cell/mm3; persone di età superiore a 70 anni.

[5] Il termine di sessanta giorni si deduce dalla lettura sistematica degli artt. 47-ter e 47 o.p. L’art 47-ter o.p., infatti, in tema di “detenzione domiciliare”, al co. 1-quater dispone che «L’istanza di applicazione della detenzione domiciliare è rivolta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo di esecuzione. Nei casi in cui vi sia un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza di detenzione domiciliare di cui ai precedenti commi 01, 1, 1-bis e 1-ter è rivolta al magistrato di sorveglianza che può disporre l’applicazione provvisoria della misura. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 47, comma 4». L’art. 47, co. 4, o.p. dispone che: «L’ordinanza conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato trasmette immediatamente gli atti, che decide entro sessanta giorni».

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