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Fascicolo 10/2020

Pubblichiamo qui, per gentile concessione editoriale, il presente contributo di Francesco Provinciali, originariamente pubblicato sulla rivista Mente politica, il 3 ottobre 2020, con lievi modifiche.

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Parafrasando un pensiero di Marguerite Yourcenar e usandolo come metafora calzante, addentrarsi nel “granaio” della sterminata produzione del grande pensatore «è come mettere da parte riserve contro l’inverno dello spirito, che da molti indizi mio malgrado vedo arrivare»[1].

Ci ha pensato recentemente il filosofo Massimo Cacciari a rievocare questa figura carismatica con la sua opera “Il lavoro dello spirito”, che implicitamente risponde al timore della scrittrice francese[2].

Più modestamente qui basterebbe richiamare – nella mole densa e feconda delle sue riflessioni – le due conferenze tenute dal Weber tra il 1917 e il 1919 all’Università di Monaco: “La scienza come professione” e “La politica come professione”, accorpate – nell’edizione a mie mani del 1971 – con la pregevole e insuperata traduzione di Antonio Giolitti e la prefazione di Delio Cantimori, in un libro che le riassume sotto il titolo de “Il lavoro intellettuale come professione”.

Come acutamente osservato da Cacciari il senso delle due lezioni weberiane, oltre ad offrire fermenti di pensiero importanti alla Germania uscita sconfitta dalla I guerra mondiale e a tracciare il profilo dello scienziato e del politico secondo categorie concettuali utili a tracciarne le caratteristiche del “lavoro professionale”, si esprime nella visione del processo di parlamentarizzazione-democratizzazione come dell’unica forma possibile di governo delle potenze del Gestell (“impianto, sistema”) tecnico-economico-finanziario. In sostanza la sociologia di Max Weber è il tentativo di dare un’analisi della formazione sociale – storicamente definita e determinata ma aperta all’astrazione di una sociologia formale – dell’età moderna in Europa. Gettando le basi teoriche del pensiero scientifico e politico moderno come modalità di espressione e di elaborazione della loro dimensione di esercizio di una professione intellettuale.

Con tutti i codici etici, deontologici, esperienziali, di competenza che stanno alla base della costituzione di un modello di Stato, giunto spurio e inquinato dai fatti della Storia, dai conflitti intrinseci al capitalismo e all’influenza delle religioni, oltre che dagli accomodamenti contingenti del relativismo, fino ai nostri giorni.

La sociologia di Max Weber è il tentativo di dare un’analisi della formazione sociale […] dell’età moderna in Europa. Con tutti i codici etici, deontologici, esperienziali, di competenza che stanno alla base della costituzione di un modello di Stato, giunto spurio e inquinato dai fatti della Storia, dai conflitti intrinseci al capitalismo e all’influenza delle religioni, oltre che dagli accomodamenti contingenti del relativismo, fino ai nostri giorni

Rileggere Max Weber e questo suo imponente tentativo di sintesi e di definizione ci riporta alle radici della sua fondativa e paradigmatica elaborazione teorica. In questa sede – dissimulando l’arduo compito di una “ricapitolazione” complessiva del pensiero weberiano – piace soffermarsi brevemente su alcune intuizioni che dovrebbero riproporsi sul piano culturale ma che appaiono ribaltate sul piano pragmatico e prassico da alcune prevalenti e distorsive visioni della scienza e della politica che ci sono contemporanee.

Colpisce l’idea centrale di quel Beruf più volte evocato nelle due conferenze e che vale tanto per la scienza che per la politica: Beruf come professione ma anche come vocazione (nella duplice traduzione letterale), che non si chiarisce nella prassi se non è sorretta da una forte e rigorosa motivazione etica.

Inutile dire che i concetti di democrazia e bene comune dovrebbero derivare da una intima convinzione, ciò che potremmo definire come Erlebnis, esperienza interiormente vissuta più che mercenario mestiere assoldato dagli interessi della convenienza.

Colpisce l’idea centrale di quel Beruf più volte evocato nelle due conferenze e che vale tanto per la scienza che per la politica: Beruf come professione ma anche come vocazione

Basterebbero questi brevi cenni per misurare il declino e le degenerazioni di una concezione disinvolta del potere e della politica e dei suoi modelli sociali, unite al travisamento della democrazia parlamentare del nostro tempo, per comprendere il decadimento della politica da “professione” a “mestiere”, nel senso deteriore del termine e dei politici a mestieranti, non di nobile professione ma di facili, disinvolte carriere.

Si aggiunga il concetto di razionalizzazione come progressivo disincantamento del mondo: non conoscenza totalizzante e pervasiva della condizioni di vita che ci circondano, bensì inteso come prevalenza della ragione e dell’uso del pensiero critico in ogni approccio esperienziale con la realtà.

Siamo agli antipodi della globalizzazione, dell’omologazione culturale, dell’uso della tecnica e delle macchine come surrogati esterni che sostituiscono i processi di emancipazione interiore.

Basterebbero questi brevi cenni per misurare il declino e le degenerazioni di una concezione disinvolta del potere e della politica e dei suoi modelli sociali, unite al travisamento della democrazia parlamentare del nostro tempo, per comprendere il decadimento della politica da “professione” a “mestiere”, nel senso deteriore del termine e dei politici a mestieranti, non di nobile professione ma di facili, disinvolte carriere

Siamo anche agli antipodi dello sviluppo delle potenzialità creative che sono generate dalla libertà del pensiero pensante a favore degli stereotipi e dei luoghi comuni. Per non parlare – a proposito dei vizi del politico – della vanità, dell’istinto di potenza come oggetto dell’autoesaltazione individuale che ci ricordano le derive di personalizzazione della politica che generano oligarchie alternative alla democrazia come processo autenticamente “aperto” al progresso e al bene comune se premia il merito certificato all’apparire del vero.

Per non parlare – a proposito dei vizi del politico – della vanità, dell’istinto di potenza come oggetto dell’autoesaltazione individuale che ci ricordano le derive di personalizzazione della politica che generano oligarchie alternative alla democrazia

Ricordando il valore che Weber attribuiva alla burocrazia come impianto solido di un sistema istituzionale efficiente, non possiamo esimerci dal constatare l’odierna degenerazione oppressiva della burocrazia come apparato costoso, inutile ed autoreferenziale, strumento in mano alla politica o da essa delegato ad azioni di supplenza che non gli appartengono.

Senza dimenticare – per concludere queste breve rivisitazione – il valore dell’ethos della politica e della ricerca della verità, della “giustificazione dei mezzi” per il raggiungimento dei fini, della compresenza tra etica della convinzione ed etica della responsabilità.

La «politica si fa con il cervello ma non solo», affermava Max Weber in ciò richiamando le regole del rigore morale: «Non posso far diversamente e da qui non mi muovo. Non importa, continuiamo»[3].

«Solo un uomo siffatto ha la vocazione (Beruf) per la politica»[4].

La conclusione della sua seconda conferenza è premonitrice e non difetta di lungimiranza: «Ebbene cari amici, su questi punti vorrei riparlare con voi da qui a dieci anni»[5].

Ne sono passati cento – non solo dieci – e si ha la sensazione che su molti aspetti di come oggi sono intese e praticate scienza e politica, bisognerebbe avere il coraggio di ripartire dalla lezione di Max Weber.

La «politica si fa con il cervello ma non solo», affermava Max Weber in ciò richiamando le regole del rigore morale: «Non posso far diversamente e da qui non mi muovo. Non importa, continuiamo»

[1] M. Yourcenar, Memorie di Adriano, Richter, 1953 – Einaudi, 1988.

[2] M. Cacciari, Il lavoro dello spirito, Adelphi, 2020.

[3] M. Weber, Il lavoro intellettuale come professione. Parte seconda. La politica come professione, Nota introduttiva di D. Cantimori (traduzione di A. Giolitti), Einaudi, 1971.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

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