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29.01.2020
Richard Susskind

L’avvocato di domani

L’intelligenza artificiale e il lungo termine

Fascicolo 1/2020

Pubblichiamo qui, per gentile concessione editoriale, il capitolo 18 del volume di Richard Susskind, L’avvocato di domani, Edizioni Guerini Next (traduzione italiana in collaborazione con AGI), 2019, pp. 187 ss.

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A lungo termine, i cambiamenti che prevedo per gli avvocati e per l’amministrazione della giustizia saranno pervasivi, irreversibili e trasformativi. Questo non significa che il settore giuridico farà una capriola su se stesso nei prossimi tre o sei mesi. Ma sono fiducioso che, a mano a mano che ci addentreremo nel prossimo decennio, assisteremo a molti cambiamenti fondamentali.

Guardando più avanti, entro il 2036, tanto per scegliere una data qualsiasi da qui ai prossimi vent’anni, entro la quale la maggior parte dei giovani avvocati di oggi si troverà a metà della propria carriera lavorativa, non è iperbolico né fantasioso aspettarsi che la professione legale sarà irriconoscibile. In quest’ultimo capitolo, il mio scopo è quello di collocare questa rivoluzione giuridica in un contesto più ampio.

Intelligenza Artificiale (AI).

Quando si pensa al futuro del diritto, è difficile per gli avvocati ignorare l’enorme interesse che sta suscitando l’intelligenza artificiale (AI). Non passa neanche una settimana senza che un giornale o una piattaforma di social media non dica che, per esempio, un avvocato robot o un sistema basato sull’intelligenza artificiale sia migliore del precedente, o addirittura che sostituirà i tradizionali avvocati. La maggior parte dei cinque studi legali multinazionali con sede a Londra, il cosiddetto «cerchio magico», ha sottoscritto accordi con fornitori di intelligenza artificiale, dichiarando di avere grande fiducia su tali investimenti. Queste affermazioni mi incuriosiscono, dato il mio antico interesse nel settore: a metà degli anni Ottanta, infatti, completai a Oxford il mio dottorato in Diritto e Intelligenza artificiale, e da allora sono affascinato dagli sviluppi in questo settore.

A mio parere, molte delle previsioni attuali sopravvalutano il probabile impatto che l’intelligenza artificiale avrà nei prossimi anni. Allo stesso tempo, per quanto possa sembrare stravagante, credo che invece sottovalutino la probabile influenza a lungo termine della tecnologia sul mondo legale. Le macchine e i sistemi intelligenti stanno diventando sempre più capaci e, nel corso del tempo, riusciranno a svolgere sempre più compiti legali che una volta erano giurisdizione esclusiva dei professionisti. Questo sembra essere ciò che le persone hanno in mente, quando parlano di intelligenza artificiale nei sistemi giuridici, con la capacità di svolgere varie categorie di lavoro legale che in passato richiedevano l’intelligenza degli avvocati.

In particolare, usando la terminologia del Capitolo 5, la recente discussione sull’AI si è concentrata sull’analisi dei documenti, sulla giustizia predittiva, sulle risposte alle domande legali e, in misura minore, sull’automazione dei documenti. Nessuno pensa che questi sistemi siano effettivamente coscienti (sono esempi, quindi, di ciò che è noto come «AI debole» piuttosto che «AI forte») ma, dal punto di vista funzionale, sembrano poter svolgere parte del lavoro degli avvocati.

Quando ho iniziato a lavorare nel campo dell’intelligenza artificiale e del diritto, esisteva un approccio dominante nel settore: i processi di conoscenza e ragionamento di esperti legali venivano estratti dalle loro teste attraverso un processo di intervista conosciuto come stimolazione della conoscenza (knowledge elicitation). Questa conoscenza veniva codificata in complessi alberi decisionali, per poi essere trasferita in sistemi informatici, attorno ai quali gli utenti non esperti potevano navigare. Li chiamavamo sistemi esperti basati su regole. Ponevano domande agli utenti ed erano in grado di fornire risposte e di redigere documenti legali, spesso a uno standard più elevato rispetto agli esperti umani.

Guardando più avanti, entro il 2036, tanto per scegliere una data qualsiasi da qui ai prossimi vent’anni, entro la quale la maggior par­te dei giovani avvocati di oggi si troverà a metà della propria carrie­ra lavorativa, non è iperbolico né fantasioso aspettarsi che la profes­sione legale sarà irriconoscibile

Nel 1988, ho co-sviluppato il primo sistema commerciale del mondo (il Latent Damage System) che operava in questo modo, spesso a un livello superiore a quello di normali avvocati. Il sistema riduceva il tempo di ricerca da ore a minuti, e l’esperto in materia, il professor Phillip Capper, ammise divertito che la versione finale lo aveva battuto. Ma questi sistemi erano costosi da costruire e mantenere. Inoltre erano poco attraenti per gli studi legali, data la loro capacità di ridurre il tempo necessario per svolgere il lavoro, qualità non apprezzata in un’epoca dominata dalla ben retribuita e allora indiscussa fatturazione oraria. Anche se gli scettici dicono che questa prima ondata di AI abbia avuto uno scarso impatto, le sue tecniche di base sono ancora oggi ampiamente utilizzate, per esempio, nei sistemi di automazione dei documenti in tutto il mondo, così come nei servizi legali online offerti dagli studi legali. Inoltre, il settore multimiliardario della compliance fiscale (in tema di imposte sulle società e sulle persone fisiche) è stato costruito su questa prima ondata di AI nel diritto.

È importante notare che ora ci troviamo nella seconda ondata di AI e che i suoi sviluppatori rifiutano l’idea originale: ovvero che il modo migliore per essere sicuri che le macchine risolvano problemi legali sia di modellarle prendendo spunto dai migliori esperti umani. Tre tipi di sistemi sono cruciali. In primo luogo, ci sono quelli che possono analizzare enormi quantità di documentazione legale. Questo è il mondo dell’apprendimento automatico (machine learning) e del Big Data. Alcuni sistemi possono formulare previsioni più precise di quelle di avvocati esperti. Per esempio, si dice che Lex Machina, utilizzando dati immagazzinati da oltre centomila casi passati, possa prevedere in maniera più accurata degli avvocati quali siano le probabilità di successo nelle controversie in materia di brevetti negli Stati Uniti. Una famiglia di sistemi correlati (inizialmente formati o supervisionati da avvocati) può effettuare ricerche all’interno di grandi pacchi cartacei di contenzioso, e identificare i documenti rilevanti in modo più preciso rispetto agli avvocati e agli assistenti legali. Tecniche simili sono utilizzate per la due diligence. Questi sistemi, nel Capitolo 5, sono stati definiti disruptive, dirompenti.

Secondo: sono dirompenti anche i sistemi che rispondono alle domande e risolvono i problemi in modo apparentemente intelligente (Q&A legale). La migliore illustrazione è Watson di IBM, il sistema che – come spiegato nel Capitolo 5 – apparve nel 2011 in una diretta televisiva di un quiz americano, battendo i due migliori concorrenti umani di sempre. Pensiamoci un attimo: è un sistema che può, in modo efficace, rispondere a domande postegli su qualsiasi argomento, in maniera più rapida e accurata di qualsiasi essere umano. Ispirati dai successi iniziali di Watson nel mondo della medicina, diversi studi e fornitori legali stanno ora collaborando con IBM per utilizzarlo anche nel mondo del diritto.

Infine c’è il campo dei cosiddetti computer empatici, che fornisce sistemi in grado di rilevare ed esprimere emozioni. Questi sistemi riescono già a distinguere un sorriso falso da uno genuino, in modo più affidabile degli esseri umani. Considerando che le macchine di oggi possono fare previsioni, identificare documenti rilevanti, rispondere a domande e gestire le emozioni, a uno standard più elevato rispetto agli esseri umani, diventa non solo ragionevole, ma fondamentale, chiedersi se saranno gli umani o i sistemi a svolgere il nostro lavoro negli anni a venire. E pensare che ancora molti avvocati insistono fermamente sul fatto che il loro lavoro non possa essere sostituito dalle macchine. Dicono che i computer non sono in grado di pensare o percepire emozioni, e quindi non possono formulare giudizi o essere empatici. Questa affermazione di solito si basa su ciò che Daniel Susskind e io, nel nostro libro The Future of the Professions, chiamiamo la «AI fallacy», ovvero l’opinione che l’unico modo per far sì che le macchine superino i migliori avvocati sia quello di copiare il modo in cui questi lavorano.

Considerando che le macchine di oggi possono fare previsioni, identificare documenti rilevanti, rispondere a domande e gestire le emozioni, a uno standard più elevato rispetto agli esseri umani, diventa non solo ragionevole, ma fondamentale, chie­dersi se saranno gli umani o i sistemi a svolgere il nostro lavoro negli anni a venire

 

L’errore consiste nel non riconoscere che la seconda ondata di sistemi di intelligenza artificiale non replica il ragionamento umano. Lo abbiamo visto nel 1997, quando il sistema Deep Blue di IBM batté il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov. Non vinse replicando i processi di pensiero dei grandi maestri, ma calcolando fino a 330 milioni di mosse al secondo. Così, anche nel diritto, gli avvocati umani saranno superati dalla potenza di elaborazione bruta e da incredibili algoritmi, che operano su grandi masse di dati.

Insisto a dire che, a mano a mano che le nostre macchine diventeranno sempre più capaci, si prenderanno pezzi sempre più grandi del lavoro degli avvocati. I migliori e più brillanti professionisti resisteranno più a lungo: quelli più esperti, che svolgono compiti che non possono o non devono essere sostituiti da macchine. Ma non ci saranno compiti sufficienti da svolgere, per mantenere in servizio armate di avvocati tradizionali. Questa non è una minaccia imminente per gli avvocati: perlomeno nel prossimo decennio, come spiegato nel Capitolo 13, per gli avvocati ci sarà la riassegnazione in lavori diversi, non la disoccupazione. Durante questo periodo, le carriere degli avvocati dovranno essere pianificate, sia per competere con le macchine (ovvero cercando lavori legali che favoriscano le capacità umane rispetto all’intelligenza artificiale) sia per costruire le macchine (cercando di essere direttamente coinvolti nello sviluppo e nella fornitura di nuove tecnologie e sistemi legali). A lunghissimo termine, sarà difficile evitare l’inevitabile: ovvero che ci sarà molto meno bisogno di avvocati convenzionali.

A mano a mano che le nostre macchine divente­ranno sempre più capaci, si prenderanno pezzi sempre più grandi del lavoro degli avvocati. I migliori e più brillanti professionisti resiste­ranno più a lungo: quelli più esperti, che svolgono compiti che non possono o non devono essere sostituiti da macchine. Ma non ci saran­no compiti sufficienti da svolgere, per mantenere in servizio armate di avvocati tradizionali

Trapani o fori?

È comprensibile che la discussione sulla sostituzione di gran parte del lavoro degli avvocati con l’AI susciti di solito molto nervosismo e indignazione tra avvocati e studenti di diritto. Spesso trovo utile invitare gli scettici a considerare uno dei miei aneddoti preferiti, relativo a un produttore leader di utensili elettrici. Si dice che questa società faccia fare a tutti i suoi nuovi dirigenti un corso di formazione. All’inizio viene chiesto loro di prestare attenzione a una diapositiva su un grande schermo, con la fotografia di un lucente trapano elettrico. Poi viene chiesto se ciò che vedono sia proprio ciò che l’azienda vende.

I nuovi dirigenti all’inizio rimangono sorpresi da questa domanda; poi, tutti insieme, trovano il coraggio di rispondere in maniera affermativa: «Questo è ciò che l’azienda vende». Con evidente soddisfazione, i formatori passano alla diapositiva successiva, che rappresenta un foro, trapanato con cura su una superficie di legno. «Questo – dicono i formatori – è in realtà ciò che vogliono i nostri clienti, ed è compito vostro, come nuovi dirigenti, trovare modi sempre più creativi, fantasiosi e competitivi per dare ai nostri clienti ciò che vogliono».

L’aneddoto contiene una grande lezione per gli avvocati. La maggior parte degli avvocati senior, quando contemplano il futuro della loro attività, tendono ad adottare la mentalità «trapano». Si chiedono: «Che cosa facciamo oggi?» Risposta: «un servizio vis à vis di consulenza, spesso su base oraria». E poi: «Come possiamo rendere questo servizio più economico, più veloce o in qualche modo migliore?» Molto raramente fanno un passo indietro e si interrogano, per analogia, sul buco nel muro del mondo legale. Quali sono i valori e i benefici che i clienti davvero cercano quando istruiscono i loro avvocati?

Per più di vent’anni ho chiesto agli avvocati: «Qual è il buco nel muro nella fornitura di servizi legali?» Una delle migliori risposte che ho avuto proviene indirettamente da KPMG, una delle principali aziende di accounting e tax del mondo. Non sono uno a cui piacciono grandi slogan sulla propria missione o cose simili, ma sul sito web di KPMG, qualche anno fa, notai una frase che trovai straordinaria: «Esistiamo per trasformare la nostra conoscenza in valore a beneficio dei nostri clienti». Penso che questo sia un ottimo modo per cogliere il valore che gli avvocati apportano: hanno conoscenze, competenze, esperienza, intuizione, know-how e la comprensione per potersi occupare, in particolari circostanze, degli affari dei loro clienti. Gli avvocati hanno la conoscenza e l’esperienza che i loro clienti non hanno.

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Si noti che KPMG non disse che esisteva per fornire servizi di consulenza one-to-one pagati su base oraria. Non confusero infatti il loro metodo di lavoro con il valore che apportavano. Molte intuizioni derivano dall’interpretazione che KPMG ha dato al ruolo dei professionisti e dei consulenti legali. Per quanto riguarda gli avvocati, secondo me la sfida più significativa deriva da questa interpretazione: che cosa succederebbe se riuscissimo a trovare modi nuovi e innovativi per consentire ai nostri clienti di attingere alle nostre conoscenze e competenze? In particolare, naturalmente, cosa succederebbe se noi, come avvocati, potessimo mettere a disposizione le nostre conoscenze e competenze attraverso un’ampia gamma di servizi legali online, sia per la redazione di documenti sia per la risoluzione di controversie? Se riusciamo a trovare metodi online per consentire l’accesso alla nostra esperienza, rendendo quindi il servizio legale meno costoso, meno ingombrante, più conveniente e più veloce, allora penso che i clienti, oppressi come sono dalla sfida del «più a meno», accoglierebbero questi servizi a braccia aperte.

Viene spesso ribadito che i clienti vogliono sempre e comunque un avvocato di cui potersi fidare. La mia ricerca suggerisce il contrario.

Le persone con problemi legali vogliono una soluzione affidabile: e se questa può essere offerta da un servizio online in maniera tale da porre rimedio ai loro problemi (in modo affidabile), allora rinunciano volentieri al servizio di un avvocato.

Il «non cambiamento» è l’opzione più improbabile.

Spesso si dice, in maniera superficiale, che non si può prevedere il futuro. Questo approccio sembra autorizzare chi non ha immaginazione, chi non guarda lontano, gli indolenti, a scartare ogni previsione catalogandola come inutile speculazione. Al contrario, mi unisco a quanti credono che sia possibile anticipare molte (ma non tutte) delle grandi tendenze, se non proprio i dettagli specifici del mondo ancora da venire.

Contemplare la sostenibilità di ciò che abbiamo oggi è un modo interessante di pensare al futuro. Date le attuali condizioni economiche, lo spostamento verso la liberalizzazione, i nuovi fornitori sul mercato e l’aumento esponenziale e fiorente del potere e dell’utilizzo della tecnologia, trovo inimmaginabile che le nostre attuali istituzioni giudiziarie e la nostra professione legale restino sostanzialmente invariate nel prossimo decennio. Infatti, mi sembra che lo scenario meno probabile sia quello di un futuro dove il mondo del diritto subisce pochi cambiamenti. Eppure, le strategie della maggior parte degli studi legali, delle scuole di diritto e dei dipartimenti legali sembrano presupporre proprio questo. In realtà, in gran parte del mercato legale, il modello attuale non è semplicemente insostenibile, ma si è già rotto.

Mi sembra che lo scenario meno probabile sia quello di un futuro dove il mondo del diritto subisce pochi cambiamenti. Eppure, le strategie della mag­gior parte degli studi legali, delle scuole di diritto e dei dipartimenti legali sembrano presupporre proprio questo. In realtà, in gran parte del mercato legale, il modello attuale non è semplicemente insoste­nibile, ma si è già rotto

Guardate il diritto e il servizio giuridico da un altro punto di vista. Al centro c’è l’informazione giuridica (che va dalla materia prima come la legislazione, fino a una profonda esperienza riposta nella testa degli specialisti). Fermatevi ora a pensare all’informazione. Attualmente stiamo assistendo, nella nostra società, a un cambiamento nella «sottostruttura dell’informazione». Questo è il termine che introdussi nel 1996 per indicare il principale modo in cui le informazioni venivano catturate, condivise e diffuse. Condivido il punto di vista degli antropologi, i quali pensano che gli esseri umani abbiano attraversato quattro fasi della «sottostruttura dell’informazione»: l’età della parola, dove dominava la comunicazione orale; l’era della scrittura; poi la stampa; e ora un mondo in cui la comunicazione è appannaggio della tecnologia. Si formerà senza dubbio una quinta sottostruttura quando, fra trenta o quarant’anni, le nanotecnologie, la robotica, la genetica e la tecnologia in generale si riuniranno.

In quest’epoca di «transumanesimo», la mia ipotesi – e la espongo con una certa esitazione, perché i critici potrebbero facilmente ripeterla fuori contesto – è che interi corpi di leggi e regolamentazioni, in futuro, saranno incorporati in chip e reti, che a loro volta saranno impiantati nelle nostre pratiche lavorative o, eventualmente, anche collegati al nostro cervello.

Oggi stiamo giungendo al termine della transizione fra la terza e la quarta fase di sviluppo, ci troviamo fra una società industriale basata sulla stampa e una società Internet basata sulla tecnologia. Il punto chiave è che la «sottostruttura dell’informazione» nella società, determina in larga misura quante leggi abbiamo, quanto sono complesse, quanto metodicamente vengono cambiate; e determinano anche chi è in grado, in modo responsabile e consapevole, di dare suggerimenti in materia. Se esaminiamo il modo in cui la legge si è evoluta attraverso la storia, possiamo comprendere le mutazioni in termini di cambiamenti della «sottostruttura dell’informazione». Nella sua essenza, la legge è basata sull’informazione. E siamo nel bel mezzo di una rivoluzione dell’informazione. Non è quindi folle sostenere che la legge e il lavoro degli avvocati non ne usciranno indenni.

In quest’epoca di «transumanesimo», la mia ipotesi – e la espon­go con una certa esitazione, perché i critici potrebbero facilmente ripeterla fuori contesto – è che interi corpi di leggi e regolamenta­zioni, in futuro, saranno incorporati in chip e reti, che a loro volta saranno impiantati nelle nostre pratiche lavorative o, eventualmente, anche collegati al nostro cervello

Questo pensiero nel 1996 mi portò a prevedere, nel libro The Fu­ture of Law, il cambiamento del paradigma giuridico (discusso nel Capitolo 12), attraverso il quale volevo spiegare che molti dei nostri assunti fondamentali a proposito del servizio e dei processi legali, sarebbero stati sfidati e cambiati dalla tecnologia e da Internet. Que­sta fu una previsione formulata guardando ai vent’anni seguenti, e ancora una volta mi sento di dire che la traiettoria che avevo imma­ginato si è dimostrata accurata, anche se ammetto che siamo in ritar­do di circa cinque anni.

Abbiamo davvero bisogno di una «professione» legale?

I cambiamenti che prevedo in questo libro intensificano la quantità e la profondità delle domande poste sul futuro del servizio professiona­le. Perché diamo diritti di monopolio a certi gruppi professionali su particolari aree di attività umana? La professione contabile, la profes­sione medica e la professione legale, per esempio, hanno rispettiva­mente il diritto esclusivo e il permesso di condurre revisioni contabili, di eseguire interventi chirurgici e di svolgere attività di difesa nelle aule di tribunale. È come se esistesse un contratto sociale – in The Future of Professions lo chiamiamo «il grande affare» – che consente ad alcune classi di persone qualificate e competenti di intraprendere un lavoro, gesto che invece verrebbe etichettato come imprudente e pericoloso se tentato da persone normali. Così, abbiamo questi consu­lenti di fiducia che hanno la responsabilità di tenere aggiornate le loro conoscenze e di applicarle in modo confidenziale, e a prezzi accessi­bili. Sono la loro formazione ed esperienza, la loro competenza e inte­grità, e il loro codice morale che ci permettono di dargli fiducia. E godono della reputazione e del prestigio riservato a quei gruppi la cui expertise è spesso rispettosamente richiesta da altri esseri umani.

Questo modello, tuttavia, presenta diversi problemi.

In primo luogo, nella maggior parte delle società, facciamo fatica a mettere a disposizione la conoscenza e l’esperienza professionale in modo individuale e convenzionale. In questi tempi di crisi economica, i servizi sanitari, i servizi legali, i servizi educativi e molto altro anco­ra subiscono enormi pressioni. Il vecchio modello sembra incapace di offrire un servizio facilmente accessibile e conveniente.

La seconda sfida per il modello tradizionale è rappresentata dallo sviluppo di un nuovo canale, tramite il quale offrire conoscenze ed esperienze. Questo è Internet. Come già indicato in questo libro, sarà possibile alle persone normali attingere alle conoscenze e all’espe­rienza degli avvocati attraverso, per esempio, sistemi di consulenza legale online, sistemi di automazione dei documenti, comunità di esperienza legale, o anche attraverso una consultazione in videocon­ferenza, meno costosa.

Una terza sfida per la professione, va al cuore di una questione cruciale: quali sono le motivazioni di coloro che si oppongono al cam­biamento. Basandosi sulla citazione di Clay Shirky all’inizio di questo libro, sono i leader e le istituzioni all’interno delle professioni che cercano di preservare il problema al quale loro stessi dovrebbero dare la soluzione. Usando un linguaggio più comune, i tacchini raramente si fanno avanti per votare un Natale anticipato. Non c’è nessuno così conservatore o reazionario, come coloro che beneficiano dello status quo. È senza dubbio questa linea di pensiero ad aver portato George Bernard Shaw a sostenere che «tutte le professioni sono cospirazioni contro i profani».

Mettiamola in maniera differente. Trovo che nel mondo del diritto esistano due fazioni distinte (e pochi in mezzo): i custodi benevoli e le guardie gelose. I custodi benevoli sono coloro che, coerentemente con la concezione della professionalità appena citata, pensano che coltiva­re la legge e renderla accessibile ai membri della società, sia un loro dovere. Loro rappresentano l’interfaccia tra il diritto e le persone nor­mali, e si sforzano di essere user-friendly. Al contrario, le guardie ge­lose desiderano delimitare e rendere esclusivi i settori della pratica legale, a prescindere che l’attività richieda o meno l’esperienza di av­vocati e disinteressandosi dell’impatto che questa sorta di protezioni­smo avrà sull’accessibilità e sulla disponibilità del servizio giuridico.

Sono i leader e le istituzioni all’interno delle professioni che cercano di preservare il problema al quale loro stessi dovrebbero dare la soluzione. Usando un linguaggio più comune, i tacchini raramente si fanno avanti per votare un Natale anticipato. Non c’è nessuno così conservatore o reazionario, come coloro che beneficiano dello status quo. È senza dubbio questa linea di pensiero ad aver portato George Bernard Shaw a sostenere che «tutte le professioni sono cospirazioni contro i profani»

Negli Stati Uniti, quando gli avvocati si oppongono ai servizi legali online che aiutano i cittadini, sostenendo che i fornitori sono impegnati in una pratica non autorizzata del diritto, vediamo spesso in azione questa seconda fazione. La falsità delle loro affermazioni – che la loro principale preoccupazione è l’accesso alla giustizia o la salvaguardia degli interessi dei loro clienti – mi fa rabbrividire. In verità, molti (ma non tutti), si preoccupano principalmente di loro stessi e delle minacce ai loro guadagni e alla loro autostima.

La vostra missione.

Vi imploro, avvocati di domani, di assumere il ruolo dei custodi bene­voli; di essere onesti con voi stessi e con la società in tutti quegli am­biti dell’attività legale che devono essere realmente tutelati dagli av­vocati nell’interesse dei clienti. Ma dovreste anche esercitare questa professione tenendo in conto l’interesse della società e non quello degli avvocati. Dove, in tutta coscienza, i servizi legali possono essere offerti in modo responsabile e affidabile da non-avvocati, celebrate l’accesso alla giustizia e usate il vostro talento creativo e imprendito­riale per trovare altri modi nei quali le vostre conoscenze ed esperien­ze legali possano aggiungere un importante valore ai vostri clienti.

Come spesso ricordo agli avvocati, la legge esiste per provvedere al sostentamento degli avvocati, nella stessa maniera in cui una malat­tia offre sostentamento ai medici. Lo scopo del diritto non è quello di assicurare lavoro agli avvocati d’affari. Lo scopo degli avvocati è aiu­tare a supportare i bisogni della società nelle problematiche legali.

Alan Kay, uno scienziato informatico della Silicon Valley, fa un’osservazione differente, ma pur sempre correlata. Una volta ha detto che «il modo migliore per prevedere il futuro è inventarlo». Questo è un messaggio potente per gli avvocati di domani: il futuro del servizio legale sta lì fuori ad aspettare, già prearticolato e pronto per essere colto. Non è che io, e altri commentatori che seguono le tendenze dei servizi legali, possiamo vedere il futuro mentre la mag­gior parte degli avvocati non è in grado. Quello che faccio è allestire un buffet metaforico, un luogo di possibili piatti che avvocati o altri fornitori di servizi legali possono scegliere o meno.

Per questo gli avvocati di domani si dovrebbero entusiasmare: oggi, come mai prima d’ora, c’è l’opportunità di essere coinvolti nel disegnare la prossima generazione di servizi legali. Troverete che la maggior parte degli avvocati più anziani vi aiuterà poco in questa ricerca. Infatti, i più senior tenderanno a essere cauti, protettivi, conservatori, se non reazionari. Resisteranno al cambiamento e vorranno spesso aggrapparsi ai loro metodi di lavoro tradizionali, anche se questi ormai hanno superato la loro data di scadenza.

La verità è che siete soli. Vi esorto a unirvi al crescente movimento che definisco «Miglioriamo la giustizia», e a usare la tecnologia per tracciare nuove strade per il diritto, la nostra istituzione sociale più importante.

Gli avvocati di domani si dovrebbero entusiasmare: oggi, come mai prima d’ora, c’è l’opportunità di essere coinvolti nel disegnare la prossima generazione di servizi legali. Troverete che la maggior parte degli avvocati più anziani vi aiuterà poco in questa ricerca. Infatti, i più senior tenderanno a essere cauti, protettivi, conservatori, se non reazionari. Resisteranno al cambiamento e vorranno spesso aggrapparsi ai loro metodi di lavoro tradizionali, anche se questi ormai hanno superato la loro data di scadenza. La verità è che siete soli

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