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L’interprete in realtà non recepisce un senso oggettivo che esiste nella norma, ma attribuisce ad essa un senso che gli deriva da un complessissimo sistema di significati giuridici: un sistema così complesso e radicato che l’attribuzione di significato non si presenta nemmeno sempre a livello conscio nella mente dell’interprete, ma rimane anzi spesso al di sotto della sua coscienza, spingendolo a credere di vedere nella norma quel significato che egli le attribuisce, eliminando gli altri vari significati possibili […].

Non solo la norma ma anche i fatti sono pre-valutati dall’interprete, il quale, nell’accostarsi ad essi già li determina in vista delle qualificazioni giuridiche che attribuisce loro […]

In tal modo la regola applicata risulta da questo duplice processo. In base alle proprie concezioni (anche tacite) l’interprete valuta già i fatti alla luce delle qualificazioni giuridiche che sente di dover
utilizzare. Contemporaneamente, e allo stesso modo, egli comincia già ad avere una pre-comprensione delle norme che gli sembrano applicabili ai fatti […].

Il senso della legge dipende da come si comportano i giudici, i funzionari, i cittadini, i vigili, gli assessori, i professori, i redattori delle riviste ecc. ecc.

Il legislatore è solo uno degli ingranaggi del diritto, che si inserisce in un altro insieme di meccanismi istituzionali che rappresentano il modo in cui il diritto funziona in una determinata società.

La teorica dell’interpretazione è quella che cerca di esprimere a livello di enunciati linguistici il modo in cui tutti questi soggetti del legal process concreto si comportano, a almeno cercano di giustificare e legittimare il proprio comportamento, all’interno di una determinata tradizione giuridica.

Una moderna teoria dell’interpretazione dovrebbe tener conto in modo onesto di questo modo di funzionare del diritto

P.G. Monateri, Interpretazione del diritto, in D. disc. priv., sez. civ., X, 1993, pp. 31 ss.

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