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05.12.2019
Edoardo Zuffada

Per le Sezioni Unite il divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto al sorvegliato speciale è da considerarsi limitato alle sole riunioni “in luogo pubblico”

Nota a Cass. pen., Sez. Un., 28 marzo (dep. 18 novembre) 2019, n. 46595, pres. D. Carcano, est. G. Rocchi, ric. A. e altro

Fascicolo 12/2019

1. Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno risolto un contrasto interpretativo recentemente sorto in giurisprudenza in relazione all’ambito di operatività della prescrizione accessoria alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, e hanno affermato che detto divieto «si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico». È stata data, dunque, risposta negativa al quesito posto dalla sezione rimettente, concernente la configurabilità (o meno) del reato di cui all’art. 75 cod. ant. in caso di partecipazione del sorvegliato speciale ad una manifestazione sportiva svoltasi in luogo aperto al pubblico (nella specie, in un palazzetto dello sport).

In via preliminare, va evidenziato che la pronuncia annotata si inserisce nel più ampio processo di “tassativizzazione” in via interpretativa del diritto preventivo intrapreso dalla giurisprudenza di legittimità da circa un lustro[1] e intensificato a seguito delle censure mosse alla legislazione di prevenzione dalla grande camera della Corte EDU nella nota sentenza De Tommaso[2].

Si deve peraltro ricordare che, nell’ambito dell’anzidetto percorso di “rimodulazione interpretativa” delle misure di prevenzione, non è la prima volta che le Sezioni Unite sono chiamate ad affrontare una questione relativa alle prescrizioni collegate all’applicazione della sorveglianza speciale e alla correlativa sanzione penale prevista dal codice antimafia in caso di trasgressione degli obblighi e dei divieti imposti.

In particolare, nella sentenza Sinigaglia del 2014 le Sezioni Unite hanno stabilito che la mancata esibizione della carta di permanenza da parte del sorvegliato speciale all’autorità pubblica richiedente – obbligo di ostensione che risulta imposto ai sensi dell’art. 8, co. 7, cod. ant. – non integra il reato di cui all’art. 75 cod. ant., bensì soltanto la più lieve contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., posto che la condotta deviante si atteggia in questo caso come inosservanza di un provvedimento della competente autorità per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico e che tale provvedimento è preordinato soltanto a rendere più agevole l’operato delle forze di polizia[3].

Più recentemente, inoltre, con la pronuncia Paternò la Suprema Corte ha escluso che l’inosservanza dei generici obblighi di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi” configuri il reato di cui all’art. 75 cod. ant., e ciò sulla base dell’argomento che il reato in discorso può considerarsi integrato solo in caso di violazione di una o più prescrizioni a contenuto specifico, e non anche in caso di trasgressione di quelle, appunto, “generiche”[4]. Come noto, la posizione fatta propria dalla sentenza Paternò è poi stata convalidata dalla Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 75, co. 1 e 2, cod. ant., nella parte in cui prevede come reato la violazione degli obblighi di “honeste vivere” e di “rispettare le leggi”[5]: la declaratoria di incostituzionalità ha consentito, dunque, di estendere gli effetti della sentenza Paternò anche ai condannati in via definitiva e a coloro che hanno presentato ricorsi per cassazione inammissibili[6].

 

2. Tornando alla sentenza in commento, concernente il divieto di partecipazione a pubbliche riunioni da parte del sorvegliato speciale, occorre premettere che in proposito, come ben ricostruito dall’ordinanza di rimessione[7], si confrontavano due orientamenti giurisprudenziali.

Secondo una più tradizionale e maggioritaria opinione, la locuzione “pubblica riunione” deve essere intesa estensivamente come «qualsiasi riunione di più persone in luogo pubblico o aperto al pubblico o in altro luogo in cui a determinate condizioni vi può accedere un numero indeterminato di persone indipendentemente dal motivo per il quale la riunione medesima ha luogo»[8]. L’ampia latitudine operativa della prescrizione in parola trova la propria giustificazione, secondo questa impostazione, nella specifica ratio del divieto, che sarebbe quella di «evitare che l’ordine pubblico venga leso o messo in pericolo, fine che viene conseguito vietando anche la semplice partecipazione del soggetto sottoposto a misura di prevenzione a riunioni in cui in considerazione del numero delle persone effettivamente presenti – o che possono, comunque, intervenire – è difficile il loro controllo e più agevole la possibilità di commettere reati»[9].

Secondo una più tradizionale e maggioritaria opinione, la locuzione “pubblica riunione” deve essere intesa estensivamente come «qualsiasi riunione di più persone in luogo pubblico o aperto al pubblico o in altro luogo in cui a determinate condizioni vi può accedere un numero indeterminato di persone indipendentemente dal motivo per il quale la riunione medesima ha luogo»

Un secondo e opposto orientamento, invece, riprendendo la distinzione tra prescrizioni “generiche” e “specifiche” elaborata dalla sentenza Paternò, ha giudicato generico e indeterminato il divieto di partecipazione a pubbliche riunioni e ha quindi escluso che la sua trasgressione da parte del prevenuto conduca alla punibilità ai sensi dell’art. 75 cod. ant.[10]. In particolare, la non configurabilità del reato in parola si spiegherebbe con la non reperibilità all’interno dell’ordinamento italiano di un’univoca e sufficientemente precisa definizione di “pubblica riunione”, non essendo rintracciabili soluzioni ermeneutiche «in grado di ridimensionare la vasta discrezionalità attribuita al giudice nel “comporre” il contenuto della norma incriminatrice, dal momento che potrebbero farvisi rientrare condotte partecipative ad eventi o situazioni, profondamente diversi tra loro e non sempre in linea con la ratio giustificatrice del divieto di assistervi»[11].

Un secondo e opposto orientamento, invece […] ha giudicato generico e indeterminato il divieto di partecipazione a pubbliche riunioni e ha quindi escluso che la sua trasgressione da parte del prevenuto conduca alla punibilità ai sensi dell’art. 75 cod. ant.

Insieme alle due posizioni appena sintetizzate, bisogna dare conto anche di una recente sentenza della Corte di cassazione – ricordata dalle stesse Sezioni Unite – nella quale, attraverso un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, è stato assolto dal reato di cui all’art. 75, co. 2, cod. ant. un sorvegliato speciale il quale aveva presenziato ad un comizio elettorale, in ragione del fatto che nessuna indicazione si poteva trarre dal provvedimento impugnato in ordine ai motivi della limitazione alla libertà di partecipare a riunioni pubbliche e a comizi elettorali e che, dunque, tale prescrizione si atteggiava a «compressione generalizzata di una libertà fondamentale, senza correlarsi all’aspetto della ritenuta pericolosità sociale e senza, soprattutto, dire per quale ragione essa imposizione si renda, nel singolo caso concreto, necessaria in funzione dell’attuazione del controllo di pericolosità»[12]. In altri termini, la Suprema Corte sembra qui richiamare l’attenzione sul fatto che le limitazioni delle libertà individuali del prevenuto in tanto si giustificano, in quanto siano funzionali al contenimento della pericolosità soggettiva alla luce delle specificità del caso concreto.

 

3. Ripercorriamo ora brevemente l’iter argomentativo seguito dalle Sezioni Unite per risolvere la questione interpretativa loro sottoposta.

3.1. La Corte di cassazione muove dalla considerazione che la norma incriminatrice di cui all’art. 75 cod. ant. – la quale «è stata oggetto di numerose pronunce della Corte costituzionale, delle Sezioni Unite della Cassazione e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo» – impegna l’interprete sotto tre distinti profili: anzitutto, pone un delicato problema in rapporto alla precisione del precetto e alla prevedibilità della sua applicazione[13]; inoltre, solleva dubbi in ordine alla sua compatibilità con i principi di offensività e di proporzionalità[13]; infine, pone la questione della «legittimità delle prescrizioni previste per il sorvegliato speciale alla luce della necessità di tutelare altri diritti costituzionalmente riconosciuti»[15].

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, le sezioni unite ricordano la preoccupazione espressa dalla Corte EDU in relazione al divieto di partecipazione a pubbliche riunioni, laddove i giudici europei osservano che «[t]he law does not specify any temporal or spatial limits to this fundamental freedom, the restriction of which is left entirely to the discretion of the judge»[16]. A ben vedere, le parole utilizzate nella sentenza De Tommaso sembrano alludere ad un difetto di determinatezza della prescrizione in parola, ciò che implicherebbe un sospetto di incostituzionalità della medesima.

Di diverso avviso sono invece le Sezioni Unite, le quali ritengono che «la “preoccupazione” espressa dalla Corte EDU con riferimento al divieto di partecipare a pubbliche riunioni [riguardi] soprattutto l’assolutezza della compressione della relativa libertà» e giudicano «non del tutto chiaro» l’accenno all’ampio margine di discrezionalità lasciato al giudice, «tenuto conto, da una parte, che il tribunale, che applica la misura di prevenzione non ha discrezionalità nel graduare la restrizione della libertà di partecipare alle pubbliche riunioni (…), dall’altra che – salva la tematica dell’interpretazione della nozione di “pubbliche riunioni” – la prescrizione, per essere concretamente applicabile, non necessita di ulteriori specificazioni»[17].

L’osservazione della Corte di cassazione non è di poco conto: attraverso una siffatta rilettura del dictum di Strasburgo, i giudici di legittimità superano il problema relativo allo standard di legalità della prescrizione, per concentrarsi sull’estensione del suo ambito di applicazione.

Le Sezioni Unite […] ritengono che «la “preoccupazione” espressa dalla Corte EDU con riferimento al divieto di partecipare a pubbliche riunioni [riguardi] soprattutto l’assolutezza della compressione della relativa libertà» e giudicano «non del tutto chiaro» l’accenno all’ampio margine di discrezionalità lasciato al giudice

3.2. La Suprema Corte richiama poi la giurisprudenza costituzionale relativa alle prescrizioni accessorie alla sorveglianza speciale e al reato di cui all’art. 75 cod. ant.[18]. Da un lato, viene fatto riferimento a quelle pronunce in cui la Corte costituzionale, nell’escludere i dubbi di costituzionalità della normativa di prevenzione in parte qua, ha affermato che spetta al giudice penale verificare di volta in volta gli elementi di fatto integranti la fattispecie incriminatrice della trasgressione degli obblighi e dei divieti imposti al prevenuto[19]. In particolare, al tribunale non deve sfuggire «né il carattere eccezionale delle limitazioni di libertà in questione, che non può non riflettersi sul significato da attribuire ai termini adoperati dalla legge, né la distinzione, che certo merita di essere considerata, fra i contatti sociali che la legge specificamente indica come pericolosi e quelli che costituiscono il normale e quotidiano svolgimento dei rapporti della vita, inibito di regola soltanto a chi è sottoposto a misure detentive»[20].

Dall’altro lato, viene richiamata quella sentenza nella quale la Corte costituzionale – nel reputare conformi a Costituzione le prescrizioni di “vivere onestamente”, “rispettare le leggi” e “non dare ragione di sospetti” – aveva, però, ricordato che è compito ineludibile del giudice quello di interpretare le locuzioni ampie e polisenso alla luce del contesto normativo in cui sono inserite: secondo i giudici costituzionali, infatti, l’utilizzo di tali espressioni generali «non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante l’ordinario compito a lui affidato»[21].

3.3. Ancora, le Sezioni Unite fanno riferimento ai già menzionati arresti Sinigaglia e Paternò e, in particolare, richiamano gli snodi motivazionali in cui si afferma in termini espliciti che non ogni trasgressione delle prescrizioni imposte al sorvegliato speciale integra il reato di cui all’art. 75 cod. ant.: al contrario, sarebbero punibili solo quelle condotte che sono espressive di una effettiva volontà di ribellione agli obblighi e ai divieti ordinati con la misura di prevenzione personale[22].

3.4. A questo punto, il supremo consesso della Corte di cassazione passa ad analizzare il contrasto interpretativo sorto all’interno della giurisprudenza di legittimità e concentra la propria attenzione sui due arresti che sono pervenuti all’assoluzione dell’imputato dal reato di cui all’art. 75 cod. ant. per insussistenza del fatto.

Come giustamente osservato, sebbene le posizioni espresse dalle sopracitate pronunce condividano il richiamo alle sentenze De Tommaso e Paternò e siano convergenti negli esiti, diverso è il percorso argomentativo seguito dai due collegi giudicanti. Mentre, infatti, la sentenza n. 31322 del 2018 ravvisa un difetto di determinatezza del divieto di partecipare a pubbliche riunioni e, proprio in ragione della sua “genericità”, esclude che esso possa integrare il precetto primario dell’art. 75 cod. ant., la sentenza n. 49731 del 2018 giudica precisa e indefettibile la prescrizione in questione, ma ritiene che la sua trasgressione acquisti rilevanza penale nel solo caso in cui la condotta del sorvegliato speciale abbia vanificato di fatto la funzione specialpreventiva della misura personale. In altri termini, secondo la pronuncia da ultimo citata, è «necessaria una valutazione in concreto del giudice penale in aggiunta a quella del giudice della prevenzione» che faccia emergere la «“significatività” della violazione della prescrizione»[23].

 

4. Come già detto in apertura della presente nota, le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale attraverso una delimitazione del concetto di “pubbliche riunioni”, attestandosi dunque su una posizione per così dire “mediana”.

4.1. Prese nettamente le distanze dall’orientamento tradizionale e più estensivo, la Corte di cassazione non condivide nemmeno l’impostazione fatta propria dalla sentenza n. 31322 del 2018, consistente nella disapplicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 75 cod. ant. qualora il precetto consista nel divieto di partecipazione a pubbliche riunioni. Anzitutto, secondo le Sezioni Unite il divieto in parola è «una prescrizione specifica e non generica» ed è «strettamente connessa alla finalità della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, poiché la partecipazione alle pubbliche riunioni rende più difficoltosa proprio la sorveglianza del sottoposto alla misura di prevenzione, che deve essere rafforzata soprattutto se si tratta di misura accompagnata dall’obbligo o divieto di soggiorno; quindi rende più facile e meno controllabile la consumazione di reati oppure l’incontro con soggetti pregiudicati o sottoposti a misure»[24]. E comunque – ricordano correttamente le Sezioni Unite – un eventuale sospetto di imprecisione e indeterminatezza dovrebbe essere fatto valere non già mediante la disapplicazione della norma incriminatrice, bensì attraverso la proposizione di una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 7 Cedu (senza dimenticare, aggiungiamo noi, l’art. 25 Cost.)[25].

Inoltre, la Corte di cassazione ritiene che sia possibile individuare all’interno dell’ordinamento una nozione sufficientemente precisa di “pubbliche riunioni”. In particolare, facendo riferimento all’art. 17 Cost., si sostiene che “pubbliche riunioni” siano soltanto quelle che si svolgono in luogo pubblico e che possono essere vietate dall’autorità per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Se, infatti, la compressione in via preventiva della libertà di riunione è costituzionalmente legittima ai sensi dell’art. 17 Cost. solo in caso di riunioni in luogo pubblico, «è inevitabile e corretto ritenere che le “pubbliche riunioni” di cui all’art. 8, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2001 altro non siano che le “riunioni in luogo pubblico” cui fa riferimento l’art. 17 della Costituzione»[26].

Secondo le Sezioni Unite, tale soluzione interpretativa risponde pienamente agli standard di legalità che la Costituzione impone alle fattispecie incriminatrici, poiché «da una parte rende certo il contenuto della prescrizione penalmente sanzionata e, quindi, conoscibile dai destinatari (…); dall’altra elimina ogni discrezionalità del giudice penale nell’applicazione della norma; inoltre – anche tenendo conto delle osservazioni mosse dalla Corte EDU nella sentenza De Tommaso – riduce al minimo la compressione del diritto di riunione (tutelato a livello convenzionale dall’art. 11 CEDU); infine permette alla sanzione penale di colpire soltanto condotte sintomatiche della pericolosità del soggetto e che determinano un annullamento di fatto della misura, atteso che la partecipazione ad una riunione in luogo pubblico impedisce (o comunque, rende estremamente difficoltoso) la sorveglianza del soggetto»[27].

Le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale attraverso una delimitazione del concetto di “pubbliche riunioni”, attestandosi dunque su una posizione per così dire “mediana” […]. In particolare, facendo riferimento all’art. 17 Cost., si sostiene che “pubbliche riunioni” siano soltanto quelle che si svolgono in luogo pubblico e che possono essere vietate dall’autorità per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica

4.2. La rimodulazione in via interpretativa della locuzione “pubbliche riunioni” rende «superflua» la soluzione prospettata dalla sentenza n. 49731 del 2018 implicante una verifica della concreta offensività della violazione della prescrizione da parte del giudice penale, soluzione che appare «forzata e non necessaria».

Per scongiurare il rischio che la prescrizione in parola si risolva in un’ingiustificata e sproporzionata compressione della libertà di riunione, il sorvegliato speciale «potrà chiedere al Tribunale l’autorizzazione a partecipare a quella riunione pubblica e, comunque, chiamato a rispondere della violazione della prescrizione, avrà l’onere di allegare e dimostrare che la sua condotta era inoffensiva in quanto la partecipazione alla pubblica riunione era giustificata da validi motivi»; di conseguenza, «in mancanza di tali allegazioni e tale prova non sembra vi sia spazio per il giudice penale di ritenere la condotta inoffensiva sulla base di una valutazione astratta». In definitiva, secondo le Sezioni Unite, il giudice penale «non può essere chiamato a fornire una motivazione aggiuntiva della offensività della violazione della prescrizione», posto che tale valutazione spetta esclusivamente al legislatore; tutt’al più, egli «potrà ritenere giustificata la partecipazione alla pubblica riunione se dagli atti emergeranno le specifiche circostanze cui si è accennato», vale a dire il giustificato motivo di partecipazione alla riunione[28].

La rimodulazione in via interpretativa della locuzione “pubbliche riunioni” rende «superflua» la soluzione […] implicante una verifica della concreta offensività della violazione della prescrizione da parte del giudice penale, soluzione che appare «forzata e non necessaria»

4.3. La definizione di pubbliche riunioni ricavabile dal dettato costituzionale «riduce sensibilmente la portata della prescrizione» di cui all’art. 8, co. 4, cod. ant., ma tale restrizione non comporta, secondo le Sezioni Unite, un affievolimento dell’efficacia preventiva della sorveglianza speciale. In primo luogo, infatti, viene ricordato che la legge n. 401/1989 prevede già un’autonoma misura di prevenzione (il c.d. Daspo) per inibire ai soggetti socialmente pericolosi l’accesso a manifestazioni sportive che si svolgono in luoghi aperti al pubblico.

In secondo luogo, non va dimenticata la previsione di cui all’art. 8, co. 5, cod. ant., la quale attribuisce al giudice della prevenzione il potere di «imporre tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale»: attraverso tale previsione, sarebbe ben possibile per il giudice imporre una prescrizione aggiuntiva, che inibisca al sorvegliato speciale di partecipare «a riunioni che non sono “pubbliche riunioni” nel significato ristretto che in questa sede è stato attribuito all’espressione»[29].

***

5.  Non è certamente questa la sede per approfondire i numerosi spunti di riflessione offerti dalla sentenza annotata. Ciò nonostante, ci sia comunque consentito di concludere con qualche osservazione di massima.

In sede di commento dell’ordinanza di rimessione, avevamo già detto che, qualora le Sezioni Unite avessero deciso di non rivolgersi alla Corte costituzionale per lamentare il difetto di legalità dell’art. 75 cod. ant. così come integrato dal divieto di partecipazione a pubbliche riunioni, una soluzione di compromesso avrebbe potuto essere proprio quella di limitare in via interpretativa il concetto di “pubbliche riunioni”, circoscrivendolo ai soli assembramenti che avvengono in un luogo pubblico[30].

Pur tuttavia, rimaniamo persuasi che l’opzione preferibile sarebbe stata quella di interrogare la Consulta, e ciò per due ordini di ragioni.

Bisogna anzitutto rammentare che, sebbene la via eletta dalle Sezioni Unite per comporre il contrasto giurisprudenziale non sia affatto peregrina e, anzi, si ancori una lettura sistematica del dato positivo con alcuni arresti della Corte costituzionale, essa non appare affatto scontata. A ben vedere, una parte della dottrina ha osservato che il legislatore costituente, nel collegare la disciplina della libertà delle riunioni al luogo del loro svolgimento, avrebbe esplicitamente scartato la dicotomia “riunioni pubbliche-riunioni private”, in quanto non sufficientemente univoca: sulla base di tale distinzione, infatti, potrebbe considerarsi pubblica, ad es., anche una riunione in luogo privato composta da un gran numero di partecipanti, ovvero una riunione avente per oggetto tematiche di interesse pubblico[31].

Inoltre, la stessa Corte di Strasburgo sembra aver posto l’accento, nel passo della sentenza De Tommaso poco sopra riportato (supra, § 3.1.), sul difetto di determinatezza e, dunque, sulla scarsa prevedibilità della prescrizione e della norma incriminatrice, più che sull’ampiezza dell’orizzonte semantico della locuzione in discorso: il che comporta una problematica compatibilità della prescrizione in parola con il principio di legalità convenzionale.

Quanto appena detto ci consente di ribadire che bene avrebbe fatto il supremo consesso della Corte di cassazione a sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 cod. ant., nella parte in cui richiama la prescrizione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni di cui all’art. 8, co. 4, cod. ant.

L’opzione preferibile sarebbe stata quella di interrogare la Consulta […]. Bene avrebbe fatto il supremo consesso della Corte di cassazione a sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 cod. ant., nella parte in cui richiama la prescrizione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni di cui all’art. 8, co. 4, cod. ant.

6. Peraltro, non bisogna dimenticare che la sorveglianza speciale – come qualsiasi altra misura di prevenzione – in tanto può svolgere un’autentica funzione specialpreventiva, in quanto i suoi contenuti siano adeguati e proporzionati a ciascun caso concreto.

Ebbene, la delimitazione in via interpretativa della locuzione “pubbliche riunioni” non risolve il più generale problema dell’obbligatorietà della prescrizione in discorso, la quale può apparire in alcuni casi non necessaria. Si pensi, ad es., allo stalker o all’evasore fiscale socialmente pericolosi, ai quali ha ben poco senso vietare la partecipazione a riunioni in luoghi pubblici, posto che la loro particolare pericolosità non trova stimolo in occasione di assembramenti, né in questi casi si pone una particolare esigenza di controllo visivo dei suddetti proposti.

Si tratta, evidentemente, di un profilo di problematicità della sorveglianza speciale che trascende lo spazio di manovra della presente pronuncia e che dovrebbe essere adeguatamente affrontato in sede parlamentare, in una forma che potrebbe essere quella cui faremo cenno in chiusura del presente contributo (infra, § 8).

 

7. Ci sembra, poi, di rilevare un profilo di contraddizione nella sentenza annotata, laddove le Sezioni Unite, dopo aver limitato il concetto di “pubbliche riunioni” alle sole riunioni in luogo pubblico, ammettono che il giudice, attraverso la clausola di cui all’art. 8, co. 5, cod. ant., possa vietare al sorvegliato speciale, alla luce delle circostanze del caso concreto, di prendere parte ad assembramenti che si svolgono in luogo aperto al pubblico.

Al di là della sensazione che attraverso una tale affermazione quello che viene lasciato fuori dalla porta ritorni in casa passando per la finestra, solleva qualche interrogativo l’argomento speso dalle Sezioni Unite per interpretare restrittivamente la prescrizione in parola, secondo cui ai sensi dell’art. 17 Cost. «la limitazione del diritto di riunione in ragione di una misura di prevenzione è costituzionalmente legittima solo se si tratta di “riunioni in luogo pubblico”».

Delle due l’una: o l’art. 17 Cost. consente di comprimere in via preventiva la libertà di riunione solo qualora essa sia esercitata in luogo pubblico, e allora non sembra possibile utilizzare lo strumento delle prescrizioni discrezionali per limitare tale diritto quando le riunioni si tengano in luoghi diversi; oppure dalla suddetta norma costituzionale non è possibile ricavare una tutela così intensa del diritto di riunione, e allora limitazioni ulteriori rispetto a quelle costituzionalmente previste – ad es., attraverso l’art. 8, co. 5, cod. ant. – sono ammissibili.

Sia chiaro che la rilevata contraddizione non inficia la plausibilità della ricostruzione fatta propria dalle Sezioni Unite. Piuttosto, l’argomentare della Suprema Corte stimola l’interprete ad interrogarsi sul tema – che in questa sede può essere soltanto riguardato da lontano – dei margini di comprimibilità della libertà di cui all’art. 17 Cost. tollerati dalla Costituzione[32].

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8. Prima di concludere, sembra il caso di riservare un’ultima notazione di carattere generale rispetto all’affermazione delle Sezioni Unite secondo la quale il giudice della prevenzione potrebbe imporre al prevenuto, ai sensi dell’art. 8, co. 5, cod. ant., il divieto di prendere parte a riunioni che si svolgono in luogo aperto al pubblico, qualora gli indici di pericolosità suggeriscano di limitare la partecipazione del soggetto a particolari tipologie di assembramenti.

È fuor di dubbio che la soluzione accolta dalla Suprema Corte migliori notevolmente la condizione del sorvegliato speciale: in effetti, alla luce del principio di diritto enunciato nella sentenza annotata, il proposto non potrà mai prendere parte a riunioni in luogo pubblico, mentre potrà partecipare alle riunioni in luogo aperto al pubblico, salvo che il giudice, alla luce del quadro soggettivo del proposto, ritenga di comprimere ulteriormente la libertà fondamentale di cui all’art. 17 Cost.

Ci sembra tuttavia doveroso richiamare l’attenzione sul fatto che, ad oggi, la previsione di cui all’art. 8, co. 5, cod. ant. attribuisce al giudice della prevenzione un potere enorme, e cioè quello di decidere – nell’an, nel quomodo e nel quantum – quali libertà fondamentali limitare in via preventiva, sulla base dell’unico e poco pregnante criterio delle «esigenze di difesa sociale». È fin troppo ovvio sottolineare che una disposizione di tal fatta potrebbe prestarsi ad abusi e arbitri.

Non va dimenticato, peraltro, che anche la violazione delle prescrizioni discrezionali imposte dal giudice comporta la punibilità ai sensi dell’art. 75 cod. ant.: il rischio, in definitiva, è quello di aggravare quel perverso meccanismo di criminalizzazione del prevenuto – da alcuni definito come una «spirale sanzionatoria»[33] – che, dalla seconda metà dell’Ottocento in avanti, non sembra mai essere stato del tutto eradicato dal sistema delle misure ante delictum.

Essendo convinti che le scelte intorno alle limitazioni dei diritti individuali debbano essere prese soltanto dal legislatore, auspichiamo che, in una prospettiva de iure condendo, si giunga ad una riforma del sistema di prescrizioni accessorie alla sorveglianza speciale. In quest’ottica, si potrebbe immaginare un ampio catalogo di obblighi e divieti a contenuto legislativamente disciplinato, entro il quale il giudice possa scegliere le più adeguate e proporzionate al caso concreto: attraverso questa via si potrebbe probabilmente approdare ad un sistema di prevenzione maggiormente “sostenibile” e rispettoso dei diritti fondamentali.

 

Per scaricare la sentenza in commento, clicca su “apri allegato”.


 

 

[1] Ricostruisce lo “stato dell’arte” della c.d. giurisprudenza “tassativizzante” F. Basile, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione, in Dir pen. cont., 20 luglio 2018. Sul punto v. anche: A. M. Maugeri, La riforma delle misure di prevenzione patrimoniali ad opera della l. 161/2017, in Arch. pen., 2018, suppl. al n. 1, pp. 333 ss.; F. Palazzo, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum, in DisCrimen, 12 settembre 2018, pp. 12 ss.

[2] C. EDU, grande camera, sent. 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia. Si rimanda alle note di: G. Biondi, Misure di prevenzione e CEDU, in Cass. pen., 2017, n. 5, pp. 2072 ss.; M. Cerase, De Tommaso: una clava di cartapesta, in Cass. pen., 2018, n. 7-8, pp. 2670 ss.; S. Finocchiaro, Le misure di prevenzione italiane sul banco degli imputati a Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, pp. 881 ss.; F. P. Lasalvia, Il sasso nello stagno: luci “europee” e ombre “nazionali” su una sentenza “storica”? Appunti di Cedu De Tommaso c. Italia, in Arch. pen., 2017, n. 1; V. Maiello, De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione, in Dir. pen. proc., 2017, pp. 1039 ss.; A. M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in Dir. pen. cont., fasc. 3/2017, pp. 15 ss.; Fr. Mazzacuva, La prevenzione sostenibile, in Cass. pen., 2018, n. 3, pp. 1017 ss.; F. Menditto, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in Dir. pen. cont., fasc. 4/2017, pp. 127 ss.; E. Rizzato, Misure di prevenzione e Cedu, in Cass. pen., 2017, n. 5, p. 2076; F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in Dir. pen. cont., fasc. 3/2017, pp. 370 ss.

[3] Corte cass., sez. un., 29 maggio (dep. 24 luglio) 2014, n. 32923, Sinigaglia, in Dir. pen. cont., 18 settembre 2014, con nota di M. C. Ubiali, Le sezioni unite sulla violazione dell’obbligo, per il sorvegliato speciale, di esibire la carta di permanenza.

[4] C. cass., sez. un., 27 aprile (dep. 5 settembre) 2017, n. 40076, Paternò, in CED Cassazione, con commenti di F. Basile, Le Sezioni unite “Paternò”, con quel che precede e quel che segue. Quale futuro per le misure di prevenzione?, in Giur. it., 2018, pp. 455 ss.; G. Biondi, Le Sezioni unite Paternò e le ricadute della sentenza della Corte Edu De Tommaso c. Italia sul delitto ex art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159/2011: luci ed ombre di una sentenza attesa, in Dir. pen. cont., fasc. 10/2017, pp. 163 ss.; V. Maiello, La violazione degli obblighi di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi” tra abolitio giurisprudenziale e giustizia costituzionale: la vicenda Paternò, in Dir. pen. proc., 2018, pp. 777 ss.; F. Mazara Grimani, Limiti applicativi dell’art. 75, comma 2, d.lg. n. 159/2011 nella giurisprudenza delle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione: una prima ricaduta in materia di misure di prevenzione dopo la sentenza Cedu “De Tommaso”, in Cass. pen., 2018, n. 7-8, pp. 2359 ss.; F. Viganò, Le Sezioni unite ridisegnano i confini del delitto di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione alla luce della sentenza de Tommaso: un rimarchevole esempio di interpretazione conforme alla CEDU di una fattispecie di reato, in Dir. pen. cont., fasc. 9/2017, pp. 146 ss.

[5] C. cost., sent. 24 gennaio-27 febbraio 2019, n. 25, in Giur. cost., 2019, pp. 344 ss. Per un commento alla sentenza si veda: S. Finocchiaro, Due pronunce della Corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza De Tommaso della Corte edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019; Fr. Mazzacuva, L’uno-due della Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento su binari costituzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, pp. 987 ss.

[6] C. cost., sent. 24 gennaio-27 febbraio 2019, n. 25, in part. § 12.

[7] C. cass., sez. I, ord. 19 dicembre 2018 (dep. 17 gennaio 2019), n. 2124, Acquaviva, in Dir. pen. cont., 6 marzo 2019, con nota di E. Zuffada, Alle sezioni unite una nuova questione relativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 75 cod. antimafia, questa volta in caso di trasgressione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni.

[8] In questi termini Corte cass., sez. I, 11 marzo (dep. 8 luglio) 2003, n. 28964, D’Angelo, in CED Cassazione. Di recente, in senso conforme, Corte cass., sez. I, 8 maggio (19 giugno) 2018, n. 28261, Lo Giudice, in CED Cassazione.

[9] Ancora Corte cass., sez. I, 11 marzo (dep. 8 luglio) 2003, n. 28964, D’Angelo, in CED Cassazione.

[10] Corte cass., sez. I, 9 aprile (dep. 10 luglio) 2018, n. 31322, Pellegrini, in Dir. pen. cont., 19 luglio 2018, con nota critica di G. Amarelli, Ulteriormente ridotta la tipicità del delitto di violazione degli obblighi inerenti alla misura di prevenzione: per la Cassazione anche il divieto di partecipare a pubbliche riunioni contrasta con il principio di determinatezza.

[11] Ibidem.

[12] Corte cass., sez. I, 6 giugno (dep. 30 ottobre) 2018, n. 49731, Sassano, in Leggi d’Italia.

[13] Cfr. § 4 del considerato in diritto.

[14] Cfr. § 5 del considerato in diritto dove, richiamando testualmente la sentenza Sinigaglia, le sezioni unite osservano che «le violazioni degli obblighi e delle prescrizioni devono consistere in condotte “eloquenti, in quanto espressive di una effettiva volontà di ribellione all’obbligo o al divieto di soggiorno”; non è possibile, cioè, “equiparare, in una omologante indifferenza valutativa, ogni e qualsiasi défaillance comportamentale, anche se ascrivibile a soggetto qualitativamente pericoloso”»; e che, «piuttosto, devono essere puniti soltanto quei comportamenti che, violando le leggi, costituiscono indice di una persistente e ulteriore pericolosità, quelle inosservanze che determinano un “annullamento” di fatto della misura».

[15] Cfr. § 6 del considerato in diritto.

[16] C. EDU, grande camera, sent. 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, § 123 [nella traduzione italiana, curata dal Ministero della Giustizia: «[l]a legge non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezione del giudice»].

[17] Cfr. § 6 del considerato in diritto.

[18] Cfr. § 7 del considerato in diritto.

[19] Le sezioni unite si riferiscono a C. cost., sent. 20 aprile-5 maggio 1959, n. 27, in Giur. cost., 1959, pp. 355 ss.; e a C. cost., sent. 21 aprile-5 maggio 1983, n. 126, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, pp. 412 ss., con nota di C. Peluso, Prescrizioni imposte con la sorveglianza speciale e con la libertà vigilata: solo profili di costituzionalità?

[20] Il brano citato dalle sezioni unite e qui sopra riportato è tratto da C. cost., sent. 20 aprile-5 maggio 1959, n. 27, cit.

[21] Il richiamo è a C. cost., sent. 7-23 luglio 2010, n. 282, in Giur. cost., 2010, pp. 3535 ss., con nota di A. Tesauro, Corte costituzionale e sorveglianza speciale: una breve analisi filosofico-giuridica tra uguaglianza e ragionevolezza.

[22] Cfr. § 8 del considerato in diritto.

[23] Cfr. § 12 del considerato in diritto.

[24] Cfr. § 15 del considerato in diritto.

[25] Cfr. § 14 del considerato in diritto.

[26] Cfr. § 16 del considerato in diritto.

[27] Cfr. ancora § 16 del considerato in diritto.

[28] Cfr. § 17 del considerato in diritto.

[29] § 18 del considerato in diritto.

[30] E. Zuffada, Alle sezioni unite una nuova questione relativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 75 cod. antimafia, cit., § 10.

[31] Cfr. A. Pace, Art. 17, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1977, p. 163, il quale osserva che in forza di tale distinzione «una riunione, sebbene indetta in forma privata, potrebbe essere “considerata” pubblica per il luogo in cui viene tenuta, per il numero delle persone che intervengono o per lo scopo o per l’oggetto di essa». Cfr. anche G. Miele, F. Scianò, voce Riunione (diritto di), in Nov. dig. it., XVI, Torino, 1957, p. 207, dove gli A. ricordano che «[l]e riunioni si dicono anche pubbliche e private, ma non si tratta di nozioni univoche, poiché le diverse legislazioni possono dare definizioni diverse, a secondo che si adotti il criterio distintivo del luogo, del numero dei partecipanti, dell’ordine del giorno, ecc.».

[32] Si veda A. Pace, Art. 17, cit., p. 147, il quale osserva che «[r]ibadita la natura di “libertà” individuale che la Costituzione riconosce al diritto in esame, quel che consegue dalla tesi è che la libertà costituzionale così proclamata non tollera (né soggettivamente, né oggettivamente, né finalisticamente) l’apposizione di limiti che la Costituzione non abbia previsti». Da ciò ne deriva che «risulteranno disciplinate e protette le riunioni per qualsivoglia fine lecito, a meno che l’attività posta in essere in riunione – o mediante riunioni – non abbia una diversa disciplina costituzionale che consenta più penetranti controlli».

[33] G. Corso, L’ordine pubblico, Bologna, 1979, p. 264-265. Nello stesso senso D. Petrini, La prevenzione inutile. Illegittimità delle misure praeter delictum, Torino, 1996, p. 12, il quale paragona le misure preventive ad «una vera e propria tagliola, destinata ad imprigionare le sue vittime in una spirale che vede sempre e comunque il carcere (o, peggio, la forca) al suo esito».

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