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02.04.2019
Susanna Arcieri

Il Research Network on Law and Neuroscience per un’integrazione tra diritto e neuroscienza

1. La nascita del Progetto e la sua prima fase.

Poco più di undici anni fa, a ottobre del 2007, la Fondazione John D. and Catherine T. MacArthur di Chicago (Illinois) – una delle maggiori fondazioni private degli Stati Uniti, nata nel 1970 con l’obiettivo di «dare supporto a persone creative, istituzioni efficienti e reti influenti per creare un mondo più giusto, più rigoglioso e più pacifico»[1] – , decise di stanziare la considerevole somma di 10 milioni di dollari per finanziare un ambizioso progetto che si proponeva di integrare la disciplina delle neuroscienze e il diritto.

Nasceva così – a Nashville, Tennessee – il Law and Neuroscience Project, un’iniziativa alla quale aderirono, nella sua prima fase di attività (cd. “fase uno”, tra il 2007 e il 2010) oltre trenta dei migliori neuroscienziati, filosofi, giudici e accademici, provenienti da ogni parte degli USA e animati da un desiderio comune: far sì che il diritto potesse arrivare, da un lato, a conoscere e padroneggiare con sicurezza la prova neuroscientifica e, dall’altro lato, a utilizzare al meglio gli strumenti messi a disposizione dalle neuroscienze nei processi.

Gli scopi – e i problemi – su cui i partecipanti al Progetto, fin dai primissimi incontri, hanno concentrato i propri sforzi, sono innumerevoli: dal miglioramento della qualità delle decisioni giudiziarie (specie in punto di responsabilità dell’autore della condotta illecita), all’identificazione di nuovi e ulteriori elementi rilevanti ai fini della valutazione della rimproverabilità del reo, all’implementazione degli strumenti atti a valutare l’attendibilità dei ricordi dei testi e a prevedere i rischi di recidiva, alla fissazione di una distinzione chiara tra le prove neuroscientifiche ammissibili e quelle non ammissibili nel in sede processuale.

A mente questi obiettivi, nei quattro anni della fase uno i partecipanti al Progetto hanno sviluppato, tra l’altro:

  1. 35 progetti di ricerca empirica;
  2. 69 pubblicazioni di carattere teorico-concettuale;
  3. quattro database per la raccolta dei dati relativi all’impiego delle neuroscienze in ambito giuridico e di policy;
  4. quattro monografie, alla cui redazione hanno collaborato oltre 60 autori[2];
  5. un primo progetto di manuale indirizzato ai giudici, contenente le nozioni di base in tema di rapporti tra diritto e neuroscienza[3], liberamente consultabile e scaricabile online. Prima di procedere alla redazione del testo del manuale, gli autori si sono innanzitutto rivolti ad alcuni giudici federali per capire quali fossero i problemi più frequenti posti dalle neuroscienze in sede processuale; le risposte ottenute hanno così ispirato la struttura del volume: undici domande, a ognuna delle quali è dedicato un autonomo capitolo del manuale (ad esempio: Can neuroscience identify lies? Can neuroscience identify pain? Does neuroscience give us new insights into drug addiction?). «La notevole ampiezza dei temi trattati nelle domande», si legge nell’introduzione del manuale, «riflette la percezione, sempre più diffusa tra i giudici, che le neuroscienze rappresentino uno strumento di grande utilità, oltre che una sfida, per il diritto, sotto molti aspetti. Se questo breve scritto potrà aiutare a fare chiarezza in ordine a questa percezione e a raccogliere questa sfida, allora avrà raggiunto il suo scopo»[4];
  6. un archivio online dal nome Law and Neuroscience Bibliography comprensivo di 565 pubblicazioni in materia di diritto e neuroscienza, successivamente implementato, fino ad arrivare alle 1.853 voci presenti oggi (aprile 2019);
  7. il capitolo del volume Reference Manual on Scientific Evidence, 3 ed.[5], dedicato ai rapporti tra il diritto e le neuroscienze.

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Parallelamente, sempre nel corso della medesima fase uno, i partecipanti al Progetto hanno altresì svolto un’importante attività di sensibilizzazione ed educazione dei giudici in merito ai problemi posti dal rapporto tra diritto e neuroscienze, organizzando decine di conferenze su svariati temi (dall’analisi delle aree cerebrali coinvolte nel processo decisionale ai problemi legati all’individuazione della menzogna), cui hanno partecipato complessivamente più di ottocento magistrati.

«Gli effetti indiretti di questi sforzi saranno tanto maggiori quanto più i giudici decideranno di condividere le nozioni apprese durante le conferenze con i propri colleghi» si legge sulla pagina web del sito dedicato al Progetto[6].

Per quanto la giustizia si sforzi di essere imparziale, essa non è mai cieca. Comporta l’analisi più penetrante in assoluto: quella che ha ad oggetto la mente umana

2. La seconda fase.

Dopo il 2010, il Law and Neuroscience Project ha continuato a operare sotto il diverso nome di Research Network on Law and Neuroscience, anch’esso istituito dalla già citata Fondazione MacArthur.

Il Network è costituito da una ventina di scienziati, giudici e professori universitari che hanno impostato la propria attività a partire dai capisaldi fissati durante la precedente fase uno, focalizzando l’attenzione su tre obiettivi in particolare:

  1. approfondire la conoscenza degli stati soggettivi rilevanti per il diritto e dei processi decisionali di imputati, testimoni, giurie e giudici;
  2. indagare i rapporti tra lo sviluppo del cervello e delle capacità cognitive negli adolescenti;
  3. ricercare nuovi metodi che consentano di trarre conclusioni valide per il singolo a partire dai dati neuroscientifici riferiti a gruppi di persone.

A tal proposito, in una pubblicazione del 2013 – che rappresenta una sorta di “manifesto” del nuovo Network – si legge che «per quanto la giustizia si sforzi di essere imparziale, essa non è mai cieca. Comporta l’analisi più penetrante in assoluto: quella che ha ad oggetto la mente umana». La tecnologia e le tecniche analitiche stanno sempre più facendo ingresso nelle aule di tribunale, ma spesso «le giurie e i giudici (per quanto scrupolosi) faticano a comprendere la scienza, ad applicare le regole probatorie e a valutare le prove in modo da formulare un verdetto e una sentenza conformi a giustizia. Pertanto, se è vero che le neuroscienze avranno presto un ruolo centrale nel sistema della giustizia penale – in cui sono in gioco la vita, la libertà, la proprietà, e la sicurezza pubblica – dobbiamo assicurarci che ciò avvenga nel modo giusto»[7].

Il Network persegue i propri obiettivi attraverso la realizzazione di studi e ricerche su molteplici argomenti – come l’analisi delle tecniche di brain imaging che consentono di determinare e classificare gli stati mentali degli imputati, lo studio dei processi neurali correlati alla capacità di mentire o di quelli sulla cui base i giudici e le giurie accertano il dolo del reo e determinano la pena – e sviluppando anche vere e proprie linee guida per orientare i giudici chiamati a valutare dati scientifici.

Se è vero che le neuroscienze avranno presto un ruolo centrale nel sistema della giustizia penale – in cui sono in gioco la vita, la libertà, la proprietà, e la sicurezza pubblica – dobbiamo assicurarci che ciò avvenga nel modo giusto

Delle numerose attività realizzate anche in questa seconda fase di vita del Progetto[8], vale la pena di ricordarne almeno due.

Il primo è la pubblicazione un manuale universitario – il primo mai pubblicato – per gli studenti di giurisprudenza, interamente dedicato al rapporto tra il diritto e le neuroscienze.

Lo scopo del manuale, dal titolo Law and Neuroscience ed edito nel 2014, è quello di «preparare gli studenti della facoltà di legge in vista del loro ingresso all’interno di un “mercato legale” nel quale la ricerca neuroscientifica sui comportamenti umani è sempre più importante»[9].

Tutti gli argomenti discussi nel testo (dai metodi per riconoscere la menzogna allo studio dei processi decisionali, alle lesioni cerebrali, all’esame dei meccanismi neuronali alla base delle emozioni o della memoria) sono presentati agli studenti in modo «semplice, istruttivo e stimolante» senza che sia richiesta alcuna preparazione di base.

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Quanto alla selezione delle materie, gli autori spiegano, nella prefazione del manuale, che «lo sviluppo del neurodiritto rappresenta una vera e propria sfida nella redazione di questo manuale, perché non è possibile includervi tutto ciò che meriterebbe di essere trattato»; così la scelta è caduta su «un nucleo di problemi e temi fondamentali che animano il panorama attuale. […] Non si può negare che le neuroscienze presentino oggi nuovi e potenti strumenti, come le tecniche di brain imaging. Ma è anche chiaro che, come tutti gli strumenti, anche quelli neuroscientifici […] possono essere impiegati per il bene o per il male, con accortezza o con superficialità, in modo legalmente e socialmente utile o, all’opposto, in modo inutile e potenzialmente dannoso. Per queste ragioni, in questo libro non ci limitiamo a presentare alcuni dei fondamentali principi alla base del funzionamento del cervello, ma ci proponiamo anche di porre in evidenza il delicato equilibrio tra il potenziale insito nella neuroscienza e i suoi pericoli»[10].

Come tutti gli strumenti, anche quelli neuroscientifici possono essere impiegati per il bene o per il male, con accortezza o con superficialità, in modo legalmente e socialmente utile o, all’opposto, in modo inutile e potenzialmente dannoso

In secondo luogo, merita di essere ricordato anche il libro The Punisher’s Brain. The Evolution of Judge and Jury, edito anch’esso nel 2014 e scritto da Morris Hoffman, giudice distrettuale presso la Corte di Denver e membro del Network.

L’opera si propone di spiegare le ragioni scientifiche (tratte dalle neuroscienze e dalla psicologia evolutiva) alla base del bisogno di punire e di perdonare il responsabile delle condotte illecite. Si tratta di un proposito arduo, come lo stesso Hoffman riconosce fin dalle primissime pagine del libro (già nei ringraziamenti iniziali, infatti, ammette che «sebbene io passi le mie giornate a punire le persone, di fatto non sono un esperto di scienza della punizione»)[11].

Il fondamento ultimo della nostra civiltà è rappresentato dalla nostra propensione a punirci a vicenda

Secondo la ricostruzione offerta dall’autore, il fondamento della punizione e del perdono è il puro e semplice istinto. Un istinto che, nel corso dell’evoluzione, è stato codificato all’interno degli attuali sistemi giuridici, con l’affidamento a un soggetto terzo (il giudice o la giuria) del potere di rispondere all’offesa con l’applicazione (o meno) della pena. Tuttavia, nonostante lo sviluppo sociale e politico, le istanze innate e le pulsioni di fondo continuano a sopravvivere e influenzano tuttora il nostro sistema punitivomolto più profondamente di quanto non lo facciano le riforme legislative, anche le più radicali.

Scrive il giudice Hoffman: «l’evoluzione ci ha forgiati per punire i malfattori. Senza quell’istinto punitivo, non avremmo mai potuto vivere in società e mai avremmo potuto godere dei vantaggi che la dimensione di gruppo comporta, come la mutua difesa, l’organizzazione della caccia, la proprietà, la divisione del lavoro e l’economia di scala. Le nostre idee di giusto e sbagliato, di empatia e di compassione, di equità e di giustizia, derivano infatti in larga misura dalle tensioni della vita di gruppo, e quindi – indirettamente – devono la loro esistenza proprio alla punizione.

Può sembrare curioso che il fondamento ultimo della nostra civiltà sia rappresentato dalla nostra propensione a punirci a vicenda, ma ogni genitore sa che è vero. I genitori avvertono anche la spinta irrefrenabile a non punire troppo se non, addirittura, a non punire affatto – a perdonare –, e anche questo è un retaggio dell’istinto. Il nostro istinto punitivo non è paragonabile a una spada pronta a cadere, ma si presenta piuttosto come un fragile equilibrio, sensibile anche al minimo soffio di vento»[12].

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[1] «The John D. and Catherine T. MacArthur Foundation supports creative people, effective institutions, and influential networks building a more just, verdant, and peaceful world».

[2] Dalla nascita del Progetto fino a oggi, sono state pubblicate le seguenti opere monografiche: W.P. Sinnot-Armstrong, L. Nadel, Conscious Will and Responsibility: A Tribute to Benjamin Libet, Oxford University Press, 2010; K.H. Kiehl, W.P. Sinnot-Armstrong, Handbook on Psychopathy and Law, Oxford University Press, 2013; L. Nadel, W.P. Sinnot-Armstrong, Memory and Law, Oxford University Press, 2012; I. Singh, W.P. Sinnott-Armstrong, J. Savulecu (a cura di) Bioprediction, Biomarkers, and Bad Behavior: Scientific, Legal, and Ethical Challenges, Oxford University Press, 2013.

[3] V. M.S. Gazzaniga, J. Rakoff, A Judge’s Guide To Neuroscience: a Concise IntroductionSAGE Center for the Study of the Mind, 2010. Il manuale è frutto della collaborazione di undici diversi autori, per la maggior parte professori universitari in materie scientifiche.

[4] Idem, p. 1 («the very breadth of the questions it undertakes to address reflects the growing perception among judges that neuroscience has the potential to be of great use, and a challenge, to many aspects of the law. If this little pamphlet can serve to clarify that perception and help meet that challenge, it will have served its purpose»).

[5] Cfr. l’indice del Reference Manual on Scientific Evidence, Third Edition, in Diritto penale contemporaneo, 6 marzo 2017.

[6] «The indirect effects of these efforts are much larger, as judges who attend the conference share information with their colleagues on the bench».

[7] V. Network Overview, Knowledge Brief, MacArthur Foundation Research Network on Law and Neuroscience, 2013 («While justice strives to be impartial, it is never blind. It requires the most penetrating insight: into the human mind. […] Traditionally, judges and juries have based these determinations on narrative testimony and behavior. But dramatic advances in brain science, technology, and analytic techniques hold promise of a new approach. Already, lawyers are seeking to bring neuroscience evidence into the courtroom. Con-scientious judges and juries struggle to understand the science, apply the rules of evidence, and follow the evidence to a just verdict and an appropriate sentence. If neuroscience is going to play a role in the criminal justice system – where lives, liberty, property, and public safety hang in the balance – it is essential that we get it right»).

[8] Dal 2010 in avanti, sono state prodotte oltre ottanta pubblicazioni, tra articoli editi su riviste scientifiche e opere monografiche (per il cui elenco completo si rinvia alla relativa pagina web del Network).

[9] «[The] book will prepare law students to enter a legal market in which neuroscientific research on behavior is increasingly prominent».

[10] V. O.D. Jones, J.D. Schall, F.X. Shen, Law and neuroscience, Aspen Publishers, 2014, p. xxii («the growth of neurolaw poses a practical challenge for coursebook construction, because it is not possible to include everything that deserves attention. In this first edition [we] have focused on a core set of fundamental questions and topics that presently animate the field. […] There is no denying that neuroscience presents powerful new tools, such as functional brain imaging. But it is also clear that, as with any tools, neuroscientific tools […] can be used for good or for ill, skillfully or sloppily, and in ways that are legally and socially useful, on one hand, or irrelevant and potentially harmful, on the other. For these reasons, our book not only introduces some of the basics of how the brain works, but also highlights the delicate balance between the promise of neuroscience and the perils»).

[11] M.B. Hoffman, The Punisher’s Brain. The Evolution of Judge and Jury, Cambridge University Press, 2014, p. ix («although I spend my days punishing people, I am no expert in the science of punishment»).

[12] Idem, p. 1 («evolution built us to punish cheaters. Without that punishment instinct, we would never have been able to live in small groups, and would never have realized all the signifìcantbenefìts that small-group living conferred, including mutual defense, cooperative hunting, property, divisions of labor, and economies of scale. In fact, to a large extent our notions of right and wrong, of empathy and compassion, of fairness and justice, all come from the tensions of group living, and thus indirectly owe their very existence to punishment. It may sound strange that one key to civilization is our willingness to punish each other, but every parent knows it’s true. Every parent also feels the irresistible pull not to punish too much, and in fact maybe not to punish at all – to forgive – and this, too, is a remnant of evolution. Our punishment instinct is not so much a sword ready to fall as it is a finely tuned balance, sometimes susceptible to the gentlest of breezes»).

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