Credits to Pixabay.com
13.05.2020
Luigi Fornari - Umberto Sabatini - Cleto Corposanto - Antonio Cerasa

Neuroscienze e diritto: un approccio multidisciplinare

Uno scambio di opinioni tra esperti nei vari settori scientifici per dare nuova luce al rapporto tra neuroscienze e diritto

Abstract. Lo scorso 28 gennaio, è stato presentato un convegno dal titolo “Diritto e Neuroimaging: prove aperte di un dialogo” presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro. Lo scopo dell’incontro era trovare un punto di ego-sintonia tra le diverse discipline scientifiche che si occupano, direttamente o indirettamente, di neuroscienze forensi. In questo contributo abbiamo riassunto gli spunti nati da questo incontro proponendo un nuovo approccio multidisciplinare, in una prospettiva piramidale, in cui le varie scienze mediche e umanistiche fanno da terreno fertile per coltivare nuove forme di relazione tra neuroscienze e diritto. Lo scopo finale è arrivare a definire nuove strutture linguistiche per spiegare la complessità della mente utili a ridurre, finalmente, la distanza tra le varie discipline.

SOMMARIO: 1. Diritto e neuroscienze: nuovi tentativi di dialogo.– 2. L’uso di metafore nelle moderne neuroscienze.– 3. Ho commesso un reato? Non è colpa mia! Il concetto moderno di colpevolezza.– 4. Neuroscienze e diritto: dove stiamo andando.

1. Diritto e neuroscienze: nuovi tentativi di dialogo.

Fascicolo 5/2020

Il 28 gennaio di quest’anno, quando il Covid-19 era ancora considerato “una forte influenza”, si è svolto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro un convegno dal titolo “Diritto e Neuroimaging: prove aperte di un dialogo”.

All’incontro sono stati invitati esperti dei settori delle neuroscienze, della neuroradiologia, della sociologia e ovviamente alcuni dei maggiori rappresentanti delle scienze giuridiche. Nel proporre le proprie riflessioni, molti degli intervistati si sono espressi sul ruolo che le neuroscienze possono oggi avere nell’ambito giuridico. Un tema che, seppur ripetuto negli anni, sta oggi assumendo nuova forma grazie proprio alla spinta delle neuroscienze.

In particolare, al convegno hanno partecipato: a) il prof. Umberto Sabatini neurologo, neuroradiologo ed esperto di neuroscienze forensi; b) il prof. Cleto Corposanto, direttore scientifico del master di 1° livello “Criminal Research Methodology[1]; c) il prof. Luigi Fornari, ordinario di Diritto Penale e il Dott. Antonio Cerasa, Neuroscienziato e divulgatore scientifico. I relatori hanno scelto di mettere a disposizione dei lettori della Rivista, con il presente articolo a più voci, una sintesi ragionata dei principali interrogativi, temi e problemi emersi nel corso del convegno.

Al convengo hanno partecipato: a) il prof. Umberto Sabatini neurologo, neuroradiologo ed esperto di neuroscienze forensi; b) il prof. Cleto Corposanto, direttore scientifico del master di 1° livello “Criminal Research Methodology”; c) il prof. Luigi Fornari, ordinario di Diritto Penale e il Dott. Antonio Cerasa, Neuroscienziato e divulgatore scientifico

Scopo del presente contributo è quello di cercare di rispondere, secondo un approccio multidisciplinare, alle grandi domande poste dalle scienze giuridiche, muovendosi in una prospettiva piramidale, in cui le varie scienze mediche e umanistiche faranno da terreno fertile per coltivare nuove forme di relazione tra neuroscienze e diritto.

Con l’auspicio che questa “contaminazione” possa favorire la nascita di nuovi “sistemi linguistici”, utili al lavoro degli avvocati e dei giudici.

***

Il convegno è iniziato con la citazione del famoso paper di Green e Cohen, For the law, neuroscience changes nothing and everything[2]nel quale gli Autori spiegano in che modo le neuroscienze abbiano cambiato, o meno, il diritto. A tal proposito, Umberto Sabatini ha subito rilevato che:

«da una parte, sulla base degli sviluppi neuroscientifici, non possiamo attualmente avere una visione globale dell’uomo che escluda le basi neurobiologiche del suo comportamento, in quanto sappiamo che condizioni patologiche del sistema nervoso possano modificarlo e con esso le azioni che da esso derivano. Dall’altra, sarà sempre l’esperto di diritto, il giudice, con le sue conoscenze ed un adeguato supporto, a dare un valore alla visione neuroscientifica e decidere, con l’obiettività e l’esperienza, se questa è in grado di contribuire a spiegare un dato comportamento o l’imputabilità di un individuo. Le neuroscienze, insomma, studiano il substrato biologico del comportamento umano e di conseguenza, oggi, a mio parere, dovremmo tenerne conto in una valutazione globale dell’individuo».

A questa prima valutazione ha risposto Luigi Fornari, il quale ha affermato che

«non possono […] esserci dubbi sul fatto che le neuroscienze rivelano un’immagine naturalistica dell’uomo – rectius, dell’uomo che delinque – che gli studiosi di un diritto penale decentemente rivolto alla realtà, e non a una rituale e acritica osservanza di dogmi, non possono ignorare. Il progredire di acquisizioni scientifiche per cui il comportamento dell’uomo, anche nelle sue estrinsecazioni più complesse, è determinato dalla sua struttura cerebrale e da connessioni neuronali “casuali” deve, di per sé, suscitare interrogativi di fondo che la scienza penalistica non può eludere: ha senso, ormai, fondare il diritto penale su concetti come imputabilità, colpevolezza (intesa come rimproverabilità soggettiva) e, in ultima analisi, libero arbitrio, tutti insondabili nei loro presupposti (salvo fare riferimento a un’etica meramente convenzionale)? Di conseguenza: ha senso continuare ad intendere la pena come castigo per un male volontariamente inferto? E ha un senso razionale, prima ancora di essere misurabile nei risultati, la pretesa di fare leva sulla paura della pena per ottenere condotte conformi? E se la struttura e il modo di funzionamento del sistema nervoso hanno un’importanza determinante nel plasmare anche il mondo delle emozioni, e se queste non sono estranee alla stessa elaborazione di giudizi di valore, ha senso – per esempio – precludere, come fa oggi il codice di procedura penale, ogni indagine sul carattere e sulla personalità dell’imputato e privare, come fa ancora oggi il codice penale, gli stati emotivi e passionali di ogni rilievo ai fini del giudizio (comunque precario e cedevole) di imputabilità?»[3].

Non possono […] esserci dubbi sul fatto che le neuroscienze rivelano un’immagine naturalistica dell’uomo – rectius, dell’uomo che delinque – che gli studiosi di un diritto penale decentemente rivolto alla realtà, e non a una rituale e acritica osservanza di dogmi, non possono ignorare

Luigi Fornari

Queste domande rappresentano il cuore della complessa relazione tra neuroscienze e scienze giuridiche.

In particolare, dalla nostra capacità o meno di rispondere a questi interrogativi dipende il futuro di una specifica disciplina, le neuroscienze forensi, che trova, spesso, difficili punti di contatto con le altre discipline giuridiche. Infatti, a differenza delle scienze giuridiche tradizionali, le neuroscienze forensi hanno l’obiettivo di scoprire i meccanismi neurobiologici che sono alla base di pensieri, sentimenti e comportamenti che possono essere rilevanti per il crimine e utilizzare queste conoscenze nel perseguimento, nella valutazione e nel trattamento di individui che hanno commesso reati[4].

A complicare questa relazione c’è soprattutto la metodica di base, propria delle neuroscienze ed estremamente complessa, che permette di definire (o meno) la base neurobiologica di un fenomeno comportamentale: si tratta delle tecniche di neuroimaging. Detto in parole semplici, tale termine identifica un insieme di tecniche che consentono di visualizzare la funzionalità e la struttura del cervello umano che possono essere utilizzate per determinare lo stato psichico sia dell’individuo che sia di un gruppo di persone. Generalmente, le tecniche di neuroimaging che forniscono informazioni sulla neurofisiologia del singolo individuo rientrano nell’ambito delle tecniche convenzionali, mentre quelle che effettuano valutazioni di gruppo rappresentano un settore più avanzato e in via di sviluppo.

A questo riguardo, Cleto Corposanto ha ricordato che

«dall’interno stesso delle neuroscienze, di recente, sono venuti forti segnali di preoccupazione, per il rischio che il successo divulgativo degli studi sul cervello umano conduca a facili semplificazioni, alimentando attese miracolistiche. La neuromania, per citare Legrenzi e Umiltà[5], sarebbe proprio il principale ostacolo al dialogo con le scienze giuridiche».

Dall’interno stesso delle neuroscienze, di recente, sono venuti forti segnali di preoccupazione, per il rischio che il successo divulgativo degli studi sul cervello umano conduca a facili semplificazioni, alimentando attese miracolistiche

Cleto Corposanto

Fig. 1 – Nuovo approccio piramidale alla condivisione di conoscenze tra le varie branche medico/scientifiche e umanistiche utili a sviluppare nuove forme di relazione tra neuroscienze e diritto

2. L’uso di metafore nelle moderne neuroscienze.

Al di là dell’aspetto metodologico, uno degli aspetti fondamentali che rendono complessa la relazione tra neuroscienze e scienze giuridiche, creando un ostacolo al loro dialogo, è il diverso linguaggio che le due discipline utilizzano nel descrivere il comportamento umano. È quindi necessario, innanzitutto, risalire all’origine di questa “diversità” con l’obiettivo di fondare i presupposti di un suo superamento culturale.

A proposito di “sistemi linguistici”, uno tra i più semplici utilizzati dai neuroscienziati è quello rappresentato dalle metafore. Come ci ricorda lo storico Matthew Cobb nel suo libro in prossima uscita, The idea of brain[6], le idee sul cervello sono sempre state forgiate a partire da metafore che prendono spunto dai quadri morali, filosofici e tecnologici fatti propri da chi elabora le narrazioni dominanti di ogni singola epoca. Così, ad esempio, nel XVII secolo il filosofo francese René Descartes immaginava un cervello animale che agisce attraverso meccanismi idraulici, pur mantenendo una visione della natura divina di una mente separata dalla materia. Pensatori successivi, come il medico e filosofo settecentesco Julien Offray de Le Mettrie, secolarizzarono l’immagine e paragonarono l’umano a una macchina. Il fisico italiano Alessandro Volta rifiutò l’idea di “elettricità animale”, proposta dal suo rivale Luigi Galvani come forza vitale che anima la materia organica. Volta era spinto almeno in parte dalla sua avversione per la visione meccanicistica.

Cleto Corposanto ha quindi ricordato come, secondo Durkheim, dal ‘900 in poi si diffusero in particolare due modelli di spiegazione metaforica, tra loro alternativi:

«o spiegare le facoltà superiori o specifiche dell’uomo riconducendole alle forme inferiori dell’essere – la ragione ai sensi, lo spirito alla materia” – dunque negando la loro specificità; oppure proiettarle in qualche postulata realtà sopra-sperimentale, ma che nessuna osservazione può stabilire l’esistenza”. Ma, continua con il suo tipico argomentare (che peraltro ha suscitato oziosi dibattiti), “dal momento in cui si è riconosciuto che al di sopra dell’individuo c’è la società” (cioè relazioni e interazioni), e che il gruppo, la società, la collettività “non è un essere nominale e razionale, ma un sistema di forze operanti”, è così possibile, nella direzione della Scienza nuova vichiana, un modo diverso di spiegare l’uomo: “per conservargli i suoi attributi distintivi non è più necessario collocarli al di fuori dell’esperienza”»,

Non ultimo, in ordine temporale, è l’utilizzo della metafora relativa alla connettività per descrivere la complessità della mente umana[7]. In questo senso, l’essere umano è visto come il prodotto di fitte connessioni sociali con l’ambiente esterno, secondo un questo sistema di rappresentazione che può essere riprodotto, in scala minore ma con le stesse caratteristiche, anche per quanto riguarda lo studio biologico del cervello.

3. Ho commesso un reato? Non è colpa mia! Il concetto moderno di colpevolezza.

La valutazione dell’agire umano può essere espressa usando diverse infrastrutture linguistiche, a seconda della particolare disciplina di interesse.

Ancora con riferimento all’ambito neuroscientifico, per capire le determinanti di un’azione è possibile risalire alla loro natura biologica, grazie a metodiche particolari. In questo senso, le già citate tecniche di neuroimaging sono in grado di fornire dati della struttura, della microstruttura, del metabolismo e delle funzioni del sistema nervoso.

Infatti, come ha ricordato da Umberto Sabatini:

«La valutazione delle immagini viene fatta da esperti qualificati mediante un metodo qualitativo e quantitativo; il primo è rappresentato dalla descrizione semeiotica delle immagini (utilizzato nella pratica clinica quotidiana), il secondo consiste nella misurazione di parametri lineari (diametri) bidimensionali (area) o volumetrici (volume) di strutture anatomiche, entrambi rispetto ad una popolazione di riferimento. Il primo metodo è dipendente dall’esperienza dell’esperto mentre il secondo si basa sull’utilizzo di software dedicati: entrambi sono necessari nella valutazione globale del substrato neurobiologico umano. Il neuroimaging fornisce, pertanto, attraverso immagini ad alto contenuto informativo, una visione delle strutture del sistema nervoso dell’individuo che concorrono alla realizzazione di un comportamento escludendo la presenza di un danno organico delle stesse che potrebbe contribuire all’insorgenza di una anomalia comportamentale o ad un deficit di una funzione. Il neuroimaging, attraverso la valutazione quantitativa può inoltre evidenziare una “vulnerabilità biologica” ovvero una alterazione o variante morfo-strutturale, rispetto ad una popolazione di riferimento, di una o più aree cerebrali che potrebbe contribuire insieme ad altri fattori (ad esempio sociali, culturali) allo sviluppo di un comportamento anomalo. In questa visione, la volontarietà di un atto implica, ad esempio, l’integrità di strutture cerebrali quali le regioni frontali il cui danno produrrebbe disinibizione e ridotta autocritica. La veridicità di un ricordo necessita dell’integrità delle strutture cerebrali appartenenti al sistema limbico, implicato nel sistema della memoria. Escludere la presenza di un danno o di una anomalia, attraverso un corretto utilizzo del neuroimaging, è mio parere utile nella comprensione globale del comportamento di un individuo».

Per capire le determinanti di un’azione è possibile risalire alla loro natura biologica, grazie a metodiche particolari. In questo senso, le […] tecniche di neuroimaging sono in grado di fornire dati della struttura, della microstruttura, del metabolismo e delle funzioni del sistema nervoso

Per la sociologia, invece, come ha spiegato ha spiegato Cleto Corposanto, riferendosi in particolare al pensiero di Max Weber, il concetto di “azione” in senso sociale:

«può essere definito come un’azione condivisa con altre persone e destinata a produrre effetti su altre persone. Essa può essere generata da un impulso emotivo o da un valore condiviso ed è dotata di un significato di cui l’attore sociale, cioè colui che la esercita, la riempie. A questo proposito Weber opera una classificazione per idealtipi dell’azione sociale:

  • Azione razionale rispetto allo scopo. Avere uno scopo chiaro e organizzare razionalmente i propri mezzi per conseguirlo, in rapporto alle possibili conseguenze. È tipica dell’agire economico.
  • Azione razionale rispetto al valore. L’azione è conforme ai principi di valutazione: agire in base ai valori condivisi restando fedeli alle idee, senza tenere conto delle conseguenze.
  • Azione affettiva. Azioni di gioia o affetto, non dettate dal fine o dai valori, ma dalle emozioni, dall’umore, dall’espressione di un bisogno interno.
  • Azione tradizionale. Abitudini acquisite. Obbedire a dei riflessi radicati da una lunga pratica senza chiedersi se esistano altre strade per raggiungere lo stesso scopo.

Le azioni affettive e quelle tradizionali sono al limite tra le azioni sociali, consapevolmente orientate, e i comportamenti puramente reattivi. Per classificare le azioni bisogna tenere conto della situazione così come viene definita dagli attori, data la conoscenza che ne hanno e il punto di vista che adottano. La definizione della situazione da parte degli attori è espressa dal teorema di Thomas: “una situazione definita dagli attori come reale, diventa reale nelle sue conseguenze”, di cui uno sviluppo è il concetto di profezia che si autoadempie di R.K. Merton».

Per classificare le azioni bisogna tenere conto della situazione così come viene definita dagli attori, data la conoscenza che ne hanno e il punto di vista che adottano

Cleto Corposanto

In ambito giuridico, infine, Fornari ha posto in evidenza che:

«già da tempo le scienze criminologiche hanno rivelato che variabili sociali, economiche, familiari influenzano le condotte devianti e che, in tanti contesti, è davvero difficile (se non impossibile) fare scelte diverse da quelle criminali; ora, le neuroscienze, analizzando struttura e funzionalità del sistema nervoso centrale, o il corredo genetico dell’individuo, documentano l’esistenza di specificità neurobiologiche, interagenti con quei fattori, in grado di inibire al reo la possibilità di agire diversamente da come ha agito. Una onesta presa di coscienza – quanto meno – della esistenza e della serietà di questi studi dovrebbe, già nell’immediato, favorire almeno due tipi di sviluppi: da una parte, incidere sul contenuto e sulla struttura della decisione giudiziale, nel senso di assicurare uno spazio serio, già in sede di commisurazione della pena, ad una approfondita valutazione della persona del condannato (un aspetto, questo, normalmente ignorato dalle sentenze penali per il semplice motivo che il tema della genesi individuale profonda del reato non è mai trattato nei processi); dall’altra, procedere, finalmente con decisione, ad una effettiva umanizzazione della pena, garantendo condizioni dignitose a ogni detenuto, e all’attuazione delle condizioni che ne consentano, appena possibile, il pieno reintegro nella vita sociale. Ma è inutile negare che lo sviluppo delle neuroscienze può portare, in tempi realisticamente più lunghi, a mettere in dubbio il ruolo e il significato della pena come castigo, così come siamo abituati a concepirla. Fino, coerentemente, all’abbattimento dell’idea stessa di pena».

Già da tempo le scienze criminologiche hanno rivelato che variabili sociali, economiche, familiari influenzano le condotte devianti e che, in tanti contesti, è davvero difficile (se non impossibile) fare scelte diverse da quelle criminali; ora, le neuroscienze […] documentano l’esistenza di specificità neurobiologiche, interagenti con quei fattori, in grado di inibire al reo la possibilità di agire diversamente da come ha agito

Luigi Fornari

4. Neuroscienze e diritto: dove stiamo andando.

Contrariamente a quello che si può pensare, le neuroscienze fanno già parte dell’attività quotidiana in ambito giuridico.

Infatti, come puntualizzato sempre da Luigi Fornari:

«sul piano operativo, le neuroscienze già contribuiscono alla soluzione di problemi concreti che sorgono nel corso del processo penale, soprattutto in tema di imputabilità. I limiti, più o meno ampi, di questo contributo dipendono, come per tutti gli apporti di saperi esterni al diritto penale, dal grado di affidabilità scientifica e di condivisione delle acquisizioni di volta in volta evidenziate nel processo. È un’evoluzione graduale, comune ad altre scienze “giovani” (come l’epidemiologia per esempio). Evocare, come a volte si fa, presunte “resistenze” all’ingresso delle neuroscienze nel processo penale è ozioso e fuorviante: se il giudice si comporta – come deve – da custode del metodo scientifico, è tenuto ad utilizzare le acquisizioni neuroscientifiche tutte le volte in cui esse esprimano conoscenze corroborate nella comunità degli studiosi, pertinenti rispetto al caso da decidere. Il fatto che le prove neuroscientifiche facciano, per ora, poca casistica giudiziaria, dipende presumibilmente dal fatto che si tratta di indagini costose, difficilmente alla portata delle persone accusate di reati violenti, quelli cioè in cui la “carta” difensiva dell’indagine neuroscientifica meglio può essere giocata per svelare predisposizioni psicopatologiche a compiere atti aggressivi. Nessun significato ha, quindi, la frequente affermazione che la giurisprudenza della Cassazione tenderebbe a manifestare una qualche “freddezza” sulle neuroscienze. La Suprema Corte non entra infatti nel merito della plausibilità scientifica di questa o quella teoria patrocinata da periti e consulenti: se una sentenza d’appello ha motivato, senza incorrere in vizi logici, nel senso dell’irrilevanza della prova neuroscientifica nel contesto di un certo processo, la conferma di una sentenza di condanna non significa, ovviamente, “bocciatura” delle neuroscienze tout court e neppure negazione della validità generale dell’asserzione ritenuta irrilevante o non esplicativa in quello specifico contesto processuale. Il campo in cui le neuroscienze giocano, allo stato, il loro ruolo più importante nel processo penale è quello del giudizio di totale o parziale assenza di imputabilità per infermità psichica. L’utilità consiste nell’individuare i nessi fra l’alterazione di regioni cerebrali o di anomalie genetiche e la presenza di un quadro psicopatologico che possa implicare una predisposizione a comportamenti aggressivi. Sarebbe però fuorviante riconoscere alle neuroscienze un ruolo esclusivo nel giudizio di imputabilità. La capacità d’intendere e volere – qualsiasi cosa questa espressione significhi – è, infatti, una nozione “mista”: non è di pertinenza solo dello scienziato, deputato ad accertare e inquadrare il disturbo psichico, ma richiede anche una valutazione giudiziale sulla rilevanza dell’infermità secondo parametri di rilevanza giuridica (per quanto, allo stato, di dubbia consistenza). E le neuroscienze non costituiscono, nell’esperienza giudiziaria, l’unico strumento per cogliere la tipologia e l’estensione dell’infermità, dovendo interagire con metodi diagnostici più tradizionali come la valutazione anamnestica, il colloquio clinico, i test psicodiagnostici. È per questi motivi che, non a torto, l’indagine neuroscientifica è a volte definita “accessoria” o “complementare” nell’ambito del complesso giudizio di imputabilità, nel quale si può rivelare preziosa nel conferire ad esso certezza, riducendo spazi di discrezionalità peritale e giudiziale che, altrimenti, rischiano di essere ineliminabili. Discorso analogo va fatto, a mio parere, circa la valutazione della sussistenza di un’intossicazione cronica da sostanze alcoliche o stupefacenti, anche nei casi in cui sia assente uno stato di demenza, o riguardo all’accertamento della “maturità” dell’infradiciottenne autore di reato».

Sul piano operativo, le neuroscienze già contribuiscono alla soluzione di problemi concreti che sorgono nel corso del processo penale, soprattutto in tema di imputabilità. I limiti […]  di questo contributo dipendono […] dal grado di affidabilità scientifica e di condivisione delle acquisizioni di volta in volta evidenziate nel processo

Luigi Fornari

Un ambito in cui, ad avviso degli scriventi, si potrebbe giocare parte del futuro del rapporto tra neuroscienze e diritto penale, è quello connesso alla possibilità di prevedere il comportamento umano. Infatti, le attuali capacità – in questo caso, non diagnostiche, ma predittive – delle neuroscienze, della sociologia e della medicina potrebbero essere utilizzate, sempre unitamente ad altri mezzi di valutazione forense, ai fini del giudizio di pericolosità sociale dell’autore di reato e della conseguente applicazione di misure di sicurezza, almeno nei limiti in cui siano individuabili, con sufficiente chiarezza, impulsi aggressivi su base cerebrale.

Però, ha precisato Fornari:

«qui si rischia […] di entrare in un terreno minato: le caratteristiche desocializzanti di questa tipologia di sanzioni – che rimangono luoghi di emarginazione e di ulteriore etichettamento sociale, anche se sono state rivisitate in tempi recenti con l’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari – consigliano la massima prudenza nell’offrire e nell’utilizzare contributi neuroscientifici in tale ambito.

Piuttosto, sotto un diverso profilo, il contributo delle tecniche di esplorazione cerebrale è auspicabile laddove si tratta di saggiare la credibilità delle prove dichiarative nel processo penale: un campo in cui le massime giurisprudenziali si risolvono, spesso, in veri e propri atti di fede nella capacità del giudice di discernere il vero dal falso. Mi riferisco in particolare ai casi in cui il dichiarante – a volte, unica fonte di prova – è portatore di un interesse proprio ad essere creduto. Qui gli ambiti sono molteplici. Penso ai processi in cui il testimone-vittima ha, per i più vari motivi, desiderio di rivalsa nei confronti dell’imputato ed è costituito parte civile; oppure al mondo dei collaboratori di giustizia, in cui essere creduto significa potere usufruire di trattamenti sanzionatori e benefici penitenziari altrimenti non ottenibili. O, un po’ provocatoriamente, agli infiniti dibattiti fra consulenti d’accusa e consulenti della difesa, non sempre retti da onestà scientifica e non sempre risolvibili dalla “mediazione” di un perito. Fermo restando, ovviamente, la salvaguardia della libertà morale del dichiarante, è proprio quello della lie detection, probabilmente, il terreno processuale su cui è maggiore l’attesa dello sviluppo delle tecniche e delle conoscenze neuroscientifiche».

Nell’attesa dei prossimi avanzamenti della scienza, ricordiamo sempre le parole dello storico Matthew Cobb, il quale sottolinea[8] come le neuroscienze stesse necessitino continuamente di nuove metafore e “sistemi linguistici” per spiegare la complessità della mente.

«Anche i neuroscienziati, come gli avvocati e giudici, dipendono dal linguaggio figurativo usato per organizzare e comunicare pensieri e idee[9]. Sarà questo il terreno comune su cui si fonderà il nuovo dialogo tra neuroscienze e diritto», ha concluso Antonio Cerasa.

Anche i neuroscienziati, come gli avvocati e giudici, dipendono dal linguaggio figurativo usato per organizzare e comunicare pensieri e idee. Sarà questo il terreno comune su cui si fonderà il nuovo dialogo tra neuroscienze e diritto

Antonio Cerasa

_____________

 

[1] Cleto Corposanto è anche autore del libro: La classificazione in sociologia. Reti neurali, discriminant e cluster analysis. FrancoAngeli Editore, 2001.

[2] J. Greene, J.D. Cohen, For the law, neuroscience changes nothing and everything, in Philosophical Transaction of the Royal Society of London, Series B, Biological Sciences, 359, 2004, pp. 1775 ss.

[3] Sui rapporti fra diritto penale e neuroscienze anche la letteratura italiana è ormai vasta: v., tra gli altri, anche per i riferimenti bibliografici, F. Basile, G. Vallar, Neuroscienze e diritto penale: le questioni sul tappeto, in Diritto penale contemporaneo, 4/2017, pp. 269 ss.; C. Grandi, Neuroscienze e responsabilità penale: nuove soluzioni per problemi antichi?, Giappichelli, 2016; L. Santa Maria, Diritto penale sospeso tra neuroscienze ancor giovani e una metafisica troppo antica, in Diritto penale contemporaneo, 19 dicembre 2017; nonché, da ultimo, anche per aggiornati riferimenti bibliografici, i contributi di I. Merzagora, Il ruolo delle neuroscienze in relazione alla imputabilità e al giudizio di predittività, in Dir.pen.proc. 2020, pp. 14 ss.;  C. Grandi, Neuroscienze e capacità di intendere e volere: un percorso giurisprudenziale, in ivi, pp. 24 ss.; O. di Giovine, Behavioural genetics e imputabilità: i termini di un rapporto difficile, in ivi, pp. 31 ss.; M. Bertolino, Problematiche neuroscientifiche tra fallacie cognitive e prove di imputabilità e di pericolosità sociale, in ivi, pp. 40 ss.

[4] T. Ward, C. Wilshire, L. Jackson, The contribution of neuroscience to forensic explanation, in Psychology, Crime and Law, 24, 3, 2018, pp. 195 ss.

[5] C. Umiltà, P. Legrenzi, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Il Mulino Editore, 2009.

[6] M. Cobb. The Idea of the Brain: The Past and Future of Neuroscience, Basic Book Editions, 2020.

[7] R.B. Mars, R.E. Passingham, S. Jbabdi, Connectivity Fingerprints: From Areal Descriptions to Abstract Spaces, in Trends CognSci, 22, 11, 2018, pp. 1026 ss.

[8] S. Casper, Neuroscience needs some new ideas, in Nature, 58, 2020, pp. 23-24.

[9] Un libro importante che tratta di questo argomento è quello di Giancarlo Carofiglio, Con parole precise. Breviario di scrittura civile, Laterza Editore, 2017.

Altro

Un incontro di saperi sull’uomo e sulla società
per far emergere l’inatteso e il non detto nel diritto penale

 

ISSN 2612-677X (sito web)
ISSN 2704-6516 (rivista)

 

La Rivista non impone costi di elaborazione né di pubblicazione