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Read the stories by Paolo Oddi:

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Issue 5/2020

Le ragioni che mi spingono a scrivere questo testo a vent’anni anni dall’entrata in vigore della prima legge organica sull’immigrazione, la legge n. 40 del 1998, la Turco-Napolitano, e a sedici dalla sua contro-riforma, la legge n. 182 del 2002, la Bossi-Fini, nascono da una forte indignazione per il decreto Minniti[1] e per i decreti Salvini[2].

L’urgenza del momento storico è ineludibile per un avvocato che si è sempre occupato dei diritti degli stranieri e che oggi li vede ancora così tanto mettere in discussione.

Sento spesso chiedermi cosa fa un avvocato immigrazionista, cioè un avvocato specializzato nel diritto degli stranieri. Come si differenzia dagli avvocati più tradizionali che si occupano di altre materie. Sono domande a cui rispondo che l’immigrazionista difende per convinzione e per passione. Difende le persone con i diritti più fragili. Difende gli immigrati, cioè chi ha un progetto migratorio più o meno definito, ma soprattutto i “migranti”, che oggi sono la maggioranza, e che sono persone con mete più fluide e dai percorsi più oscillanti. Difende anche chi scappa, i profughi e i richiedenti protezione internazionale.

Sono le reti sociali ad inviarmi molte delle persone straniere che difendo. Sociale e giuridico, qui, si intrecciano indissolubilmente.

Anche noi avvocati, d’altra parte, “assistiamo”.

Sento spesso chiedermi cosa fa un avvocato immigrazionista, cioè un avvocato specializzato nel diritto degli stranieri. Come si differenzia dagli avvocati più tradizionali che si occupano di altre materie […]. Sono le reti sociali ad inviarmi molte delle persone straniere che difendo. Sociale e giuridico, qui, si intrecciano indissolubilmente

L’idea che passa oggi è che ci sia un solo tipo di migrante, il profugo sbarcato fortunosamente sulle nostre coste.

Passa a fatica il dato di realtà e cioè che anche in Italia, dal 1990, le migrazioni si sono stratificate e differenziate. Che ci sono tante differenti tipologie di stranieri che convivono sul nostro territorio: i rifugiati, i titolari di protezione sussidiaria, i lungo soggiornanti, i neo o quasi cittadini, i familiari extracomunitari di cittadini italiani, gli stranieri di origine europea e i loro familiari, i minori stranieri non accompagnati, le seconde generazioni, i transitanti e i neo-immigrati, i titolari della (abrogata) protezione umanitaria, ecc.

La curiosità sul ruolo di un difensore così specializzato nasce dall’incalzante e confuso racconto politico-mediatico sulle migrazioni.

Prevale, infatti, una lettura emotiva del fenomeno che ne ostacola una reale comprensione.

Alla luce di queste difficoltà ho sentito il desiderio di tentare di rendere intellegibili le questioni giuridiche che pesano e complicano la vita quotidiana degli stranieri nel nostro paese attraverso il racconto di alcuni emblematici casi tra i molti che ho seguito nella mia ventennale attività.

Ho cercato il più possibile di depurarli dal linguaggio tecnico che li appesantisce, per mostrarne la complessità, la gravità e, talvolta, l’assurdità.

La curiosità sul ruolo di un difensore così specializzato nasce dall’incalzante e confuso racconto politico-mediatico sulle migrazioni. Prevale, infatti, una lettura emotiva del fenomeno che ne ostacola una reale comprensione

Vorrei essere utile, innanzitutto, ai “solidali italiani” e cioè a tutti coloro che negli anni, a partire dalla legge Bossi-Fini[3] – dichiaratamente anti-immigrazione – hanno lavorato e lavorano a contatto con gli stranieri, nei servizi pubblici e privati, nelle O.N.G., nei corsi di italiano, nelle reti informali dei quartieri delle nostre città, prestando assistenza per lavoro, per passione o comunque per spirito civico, alle migliaia di persone che hanno dovuto lottare per vedersi riconoscere i loro diritti fondamentali, gli stranieri appunto.

I lavoratori che operano nel sociale, i medici, gli psicologici, gli educatori che esplicano le loro professioni nei servizi, ma anche i volontari e i cittadini solidali in generale, sono portatori di continui dubbi e interrogativi giuridici nell’incontro con l’utenza immigrata. Le storie di volta in volta proposte si rivolgono anche a loro, che svolgono una così delicata funzione di prima mediazione.

È evidente che la crisi economica e l’indebolimento del nostro sistema di sicurezza sociale hanno precarizzato i diritti di molti, ma quelli degli stranieri sono stati particolarmente colpiti.

In questo contesto di lotta per difendere i diritti degli “ultimi” (arrivati), la contrapposizione, fomentata artatamente dalle forze politiche xenofobe, tra stranieri e autoctoni (questi ultimi indeboliti da una forte perdita di reddito e di protezioni sociali) è arrivata al massimo livello di scontro proprio negli ultimi anni.

Difendere gli stranieri è diventato, anche per chi difende per mestiere, un atto spesso “estremo”. Qui infatti si parla di difese “estreme”.

Ogni caso è la storia di una difesa estrema. Estrema perché si parte sempre da diritti fondamentali violati e ci si inoltra in un percorso assai tortuoso e faticoso volto a ripristinarli.

Difendere gli stranieri è diventato, anche per chi difende per mestiere, un atto spesso “estremo”. Qui infatti si parla di difese “estreme”

Fortunatamente in Italia, a differenza di altri paesi europei come la Francia, non ci siamo dovuti misurare con le difese di coloro che vengono provocatoriamente definiti “delinquenti solidali”, e cioè con le difese delle persone che aiutano gli stranieri per pure ragioni altruistiche.

Da noi non è, ancora, punita direttamente la solidarietà. Ma intanto sono aumentate le ordinanze di sindaci che pensano di disincentivare le “nuove piccole frontiere” intraeuropee vietando condotte virtuose di assistenza e di aiuto da parte dei cittadini verso i migranti (vedi, ad esempio, Ventimiglia, Como, ecc.). La libera circolazione intraeuropea, grande portato continentale di libertà, è oggi seriamente messa in discussione.

Da ultimo, assistiamo a un processo di criminalizzazione del soccorso in mare, di attacco furibondo alle O.N.G. e alla scellerata politica dei porti chiusi.

Il racconto dei casi che verranno via via presentati può indurre anche una riflessione sulle frontiere, nel senso che gli avvocati immigrazionisti si occupano delle tante frontiere, fisiche o immateriali, che si sono moltiplicate negli anni con il pretesto dell’invasione.

Le frontiere delle questure, delle prefetture, degli uffici comunali; i non luoghi come le zone di transito degli aeroporti e i centri di detenzione per gli irregolari da espellere, oggi rinominati CPR (centri per i rimpatri). Ma anche i fortini delle nostre rappresentanze diplomatiche nei paesi d’origine degli stranieri.

A maggior ragione dopo la lettura del libro di Alessandro Leogrande “La frontiera” e la visione del docu-film di Gabriele Del Grande “Io sto con la sposa”, sono sempre più convinto che noi avvocati dovremmo batterci per avere un ruolo, come difensori, anche ai valichi di frontiera, sulle rinate frontiere interne tra stati europei, e su quelle esterne. Perché è lì che si consumano le violazioni più arbitrarie.

Lavorare sulle frontiere esterne, in Italia, oggi significa anche misurarsi con gli “hotspot”, anomali centri di accoglienza trasformati in luoghi di detenzione, zone grigie senza base giuridica legittimate dal decreto Minniti-Orlando dell’aprile 2017 e rinforzate dal decreto Salvini tra il 2018 e il 2019.

Il racconto dei casi che verranno via via presentati può indurre anche una riflessione sulle frontiere, nel senso che gli avvocati immigrazionisti si occupano delle tante frontiere, fisiche o immateriali, che si sono moltiplicate negli anni con il pretesto dell’invasione

Voglio infine sottolineare che in ogni caso che racconterò è sempre in gioco la dignità della persona dello straniero.

La dignità nel solco della lettura che di questo concetto dà Stefano Rodotà[4] e che ha trovato massima espressione nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che al suo articolo 1 recita «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».

Le storie degli stranieri si intrecciano spesso con le vite degli italiani che li accompagnano e così difendere i primi significa solidarizzare anche con i secondi.

I “casi” mi bussano alla porta o al telefono, con una lingua spesso sgangherata se sono i diretti interessati a presentarmeli. Mi vengono anche raccontati confusamente e ansiosamente dai loro accompagnatori, italiani o stranieri che siano. Mi arrivano smozzicati per whatsapp, via skype o per email.

Li incontro in studio, in carcere e nei centri per i rimpatri e hanno sempre un qualcosa in più di drammatico, di eccezionale, spesso per gli innumerevoli abusi subìti dagli stranieri e per l’orizzonte di incertezza giuridica che li accompagna. Anche un di più di paradossale.

Le storie degli stranieri si intrecciano spesso con le vite degli italiani che li accompagnano e così difendere i primi significa solidarizzare anche con i secondi

Ogni caso parla di uno o più diritti negati.

I casi saranno accompagnati da brevi note giuridiche che inquadreranno, di volta in volta, le questioni trattate.

I nomi sono di fantasia ma le storie sono pura realtà.

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[1] D.l. 17 febbraio 2017, n. 13, recante Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale.

[2] D.l. 4 ottobre 2018, n. 113, recante Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; d.l. 14 giugno 2019, n. 53, recante Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica.

[3] L. 30 luglio 2002, n. 18.

[4] S. Rodotà, La rivoluzione della dignità, La scuola di Pitagora, 2013.

 

Altro

A meeting of knowledge on individual and society
to bring out the unexpected and the unspoken in criminal law

 

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