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20.01.2021
Elisa Padoan - Giovanna Marcolongo

Soldi sporchi. Intervista a Giovanna Marcolongo – pt. 2

Lo scandalo dei Fincen Files

Fascicolo 1/2021

Qual è l’entità del fenomeno del riciclaggio di denaro sporco? Quali sono i settori dell’economia più colpiti? Perché non si interviene in modo efficace sul fronte del controllo e della repressione? Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Giovanna Marcolongo, ricercatrice del Centro CLEAN – Crime: Law and Economic Analysis – dell’Università Bocconi di Milano. Il centro, nato nel 2015 sotto la direzione del Prof. Paolo Pinotti, rappresenta uno spazio di dialogo e confronto tra professionisti coinvolti in prima linea nell’attività di analisi del crimine.

Guarda il video del secondo capitolo dell’intervista a Giovanna Marcolongo, effettuata l’11 novembre 2020.

Il video del primo capitolo è disponibile a questo link

Pubblichiamo qui il una sintesi di questo secondo capitolo dell’intervista, a firma di Elisa Padoan.

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Dopo aver tracciato, nella prima parte dell’intervista[1], le coordinate principali del fenomeno del riciclaggio di denaro e del quadro normativo oggi esistente, in Italia e all’estero, per contrastarne la diffusione, Marcolongo si concentra ora sul recente scandalo dei FinCEN Files, portato alla luce da un’inchiesta giornalistica di respiro internazionale e del quale questa rivista ha già avuto modo di occuparsi nelle scorse settimane[2].

Ricordiamo, in estrema sintesi, i termini della vicenda: il sito di notizie statunitense BuzzFeed News ha ottenuto dal Dipartimento del Tesoro USA – e poi passato al Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ) – documenti riservati contenenti oltre 2.100 segnalazioni di operazioni sospette (le cd. SAR) effettuate tra il 2000 e il 2017 ed elaborate dal Financial crimes enforcement network (FinCEN), l’agenzia anti-riciclaggio degli Stati Uniti.

Oltre 400 giornalisti dell’Icij, provenienti da 88 nazioni, hanno potuto così portare alla luce e analizzare bonifici sospetti per un totale di 2.099 miliardi di dollari: una cifra enorme, che tuttavia è probabile rappresenti solo la punta dell’iceberg di una movimentazione di denaro di incalcolabile entità.

Dove sono andati a finire questi soldi? Chi li ha spostati e per quali scopi? Come è possibile che quantità di denaro tanto ingenti siano state movimentate in modo a dir poco sospetto senza che nessuno – né le banche né le autorità preposte alla repressione di questi fenomeni – facesse nulla per impedirlo?

Sono domande di vitale importanza, perché il riciclaggio è un fenomeno di carattere globale che impatta su tutto il sistema economico, sottraendo risorse e benessere alle comunità; comunità che, tra l’altro, pagano sistemi di controllo spesso inadeguati, per descrivere i quali potremmo ricorrere all’esempio di una rete da pesca paradossale, le cui maglie sono abbastanza strette da trattenere i pesci piccoli, ma sufficientemente larghe da far scappare gli squali.

Dove sono andati a finire questi soldi? Chi li ha spostati e per quali scopi? Come è possibile che quantità di denaro tanto ingenti siano state movimentate in modo a dir poco sospetto senza che nessuno […] facesse nulla per impedirlo?

Tra i vari aspetti della vicenda, Marcolongo mette in evidenza quello che potremmo definire “paralizzante sovrabbondanza di informazioni”: in alcuni Stati gli operatori finanziari, per non incorrere nelle pesanti sanzioni previste dal sistema, segnalano qualsiasi operazione anche solo lontanamente sospetta, scaricando sulle unità di informazione finanziaria una quantità enorme di dati che queste, con le risorse umane disponibili, non riescono a processare.

«L’anno scorso, il FinCEN (Financial crimes enforcement network) ha ricevuto 2,3 milioni di segnalazioni[3], circa 44mila a settimana, analizzate da 300 dipendenti. Per avere un termine di confronto consideriamo che, nello scandalo FinCEN di cui stiamo parlando, 400 giornalisti hanno analizzato 2000 segnalazioni in totale».

In alcuni Stati gli operatori finanziari, per non incorrere nelle pesanti sanzioni previste dal sistema, segnalano qualsiasi operazione anche solo lontanamente sospetta, scaricando sulle unità di informazione finanziaria una quantità enorme di dati che queste, con le risorse umane disponibili, non riescono a processare

Ma il punto fondamentale è, non dobbiamo mai dimenticarlo, che il traffico di denaro sporco crea e approfondisce disuguaglianze sociali, come emerso in modo chiaro in occasione di un altro scandalo internazionale, quello dei Panama Papers, scoppiato nel 2016, di cui Marcolongo si è occupata[4].

«Abbiamo scoperto come la ricchezza nei paradisi fiscali sia concentrata nelle mani di pochi (circa il 50% appartiene a persone con una ricchezza media di 50 milioni di dollari, e questi ultra ricchi sono lo 0,01% della popolazione delle economie avanzate[5]), con una forbice sociale ancora più ampia di quella che immaginavamo».

Aldilà dei numeri, pure impressionanti, è necessario prendere coscienza delle conseguenze a lungo termine del riciclaggio, proprio sul fronte delle disuguaglianze:

«I soldi che vengono riciclati, spostati in paradisi fiscali, sottratti alla tassazione del paese di origine, privano i cittadini e gli Stati di tasse e quindi di risorse che potrebbero essere utilizzate per costruire scuole, ospedali, strade ed essere quindi strumento di sviluppo».

Abbiamo scoperto come la ricchezza nei paradisi fiscali sia concentrata nelle mani di pochi (circa il 50% appartiene a persone con una ricchezza media di 50 milioni di dollari, e questi ultra ricchi sono lo 0,01% della popolazione delle economie avanzate)

Nella sua ricerca[6] Marcolongo si è focalizzata sui proventi derivanti dalle risorse naturali e dalle commodity, beni estratti e commercializzati, in molte economie, con il diretto coinvolgimento dei governi. I Panama Papers hanno rappresentato l’opportunità di identificare i Paesi di provenienza dei beneficiari delle entità offshore e di osservare che, quando le commodity prodotte diventavano più profittevoli (il loro prezzo saliva), quegli stessi Stati intensificavano la propria attività di apertura di società offshore e ciò avveniva – e questo è uno degli aspetti più interessanti dell’indagine – in modo particolare nei Paesi con minore “accountability”, le cosiddette autocrazie. Una possibile spiegazione potrebbe essere che, in queste nazioni, le élite al potere possono con più facilità appropriarsi dei proventi dall’estrazione di risorse naturali, proprio a causa dell’assenza o debolezza dei meccanismi di monitoraggio da parte dei cittadini.

Le élite al potere possono con più facilità appropriarsi dei proventi dall’estrazione di risorse naturali, proprio a causa dell’assenza o debolezza dei meccanismi di monitoraggio da parte dei cittadini

Al termine di questo dialogo, possiamo così sintetizzare gli elementi essenziali per un più efficace contrasto al riciclaggio di denaro:

  • garantire l’indipendenza delle autorità preposte al monitoraggio, per limitare al massimo i conflitti di interesse;
  • mettere a disposizione delle stesse autorità risorse economiche e tecnologiche adeguate agli incarichi;
  • uniformare il più possibile le normative, a partire da quelle europee;
  • migliorare la cooperazione internazionale;
  • applicare in modo severo le sanzioni previste dal sistema, ed eventualmente valutarne l’inasprimento.

Tutto questo, aggiungiamo noi, non può prescindere da un lavoro capillare di diffusione della cultura della legalità e dalla difesa dei valori della democrazia che, per quanto imperfetta, resta il miglior antidoto contro le prevaricazioni che l’uomo abbia mai scoperto.

 

 

(Fine)

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[1] Disponibile a questo link.

[2] Si veda S. Arcieri, R. Bianchetti, «Abbiamo due sistemi di applicazione della legge e della giustizia nel paese», 30 settembre 2020. Sullo stesso tema si rinvia altresì agli ulteriori articoli: Sei proposte urgenti per il contrasto al riciclaggio internazionale di denaro, del 23 ottobre 2020, Fincen Files: i numeri della maxi-inchiesta, del 9 ottobre 2020 e Abusi fiscali, riciclaggio di denaro e corruzione: le piaghe della finanza globale, del 30 settembre 2020, tutti su DPU – il blog.

[3] Cfr. Y.Y.J. Surane, Y. Onaran, Big banks let $2 trn in illicit funds move around world: FinCEN Files, in Business Standard, 22 settembre 2020.

[4] Per una sintesi della vicenda si veda, tra i molti articoli pubblicati, I Panama Papers, spiegati, in Il Post, 4 aprile 2016.

[5] A. Alstadsæter, N. Johannesen, G. Zucman, Who Owns the Wealth in Tax Havens? Macro Evidence and Implications for Global Inequality, in Journal of Public Economics, 162, 2018, pp. 89 ss.

[6] G. Marcolongo, Natural Resources, Corrupt Intermediaries, Hidden Wealth, Working Paper, 2020.

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